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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Roberto Iacuzzi



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ROBERTO IACUZZI

Carissimo Barone,
il 22 maggio 1983, quando cominciasti l’omelia del nostro matrimonio, all’Anna e a me dicesti esattamente così:
“Qui sembra che siamo presenti soltanto noi, invece sono presenti miliardi di persone, anche quelli che noi chiamiamo “morti”. Perchè la Comunione che ci lega non conosce distanze spaziali o temporali e non viene infranta neanche dalla morte!”.
E, richiamando il canto dell’”Alleluia!” appena concluso, nella chiesa di San Domenico, gremita e silenziosa, proclamasti a gran voce:
“Cristo Signore è risorto!”. La sua morte come prova suprema del suo amore, e la sua resurrezione come affermazione definitiva della vita su una vita disperata perchè conclusa necessariamente nella morte”.
Subito dopo, quasi a scusarti per aver toccato, nel cuore di una festa di matrimonio, il tema della morte, aggiungesti: “Ma io non volevo dir questo! Mi è venuto in mente intanto che cantavate, e mi è sembrato di doverlo dire”.
Anche quel giorno, Barone, fosti come sei sempre stato: un uomo vero, che non badava a compiacere, aborriva le apparenze e le convenienze e non sopportava di costringere la verità dentro agli schemi, fossero pure quelli di un certo modo ecclesiastico e ripetitivo di fare l’omelia.
La verità delle parole di quell’omelia – che, registrata dal vivo, l’Anna ed io conserviamo gelosamente come il regalo di nozze più caro e prezioso – fà di questa mia testimonianza l’occasione, nuova e inattesa, di un colloquio con te carico di affetto e di umanissima nostalgia, nella certezza, però, che dal cuore di Dio tu ci ascolti e ci comprendi, oggi, in una misura ancora più profonda di quando ci accoglievi, per parlare con te, nel tuo studiolo - strapieno di libri, fazzolettoni scout, fotografie di montagne e tanto altro ancora - di Palazzo Ghini o di San Domenico. Nella certezza inoltre - e non è illusione, nè retorica – che tu sei qui con noi, questa sera, “perchè la Comunione che ci lega”, come dicevi, “non conosce distanze spaziali o temporali e non viene infranta neanche dalla morte!”.
Che dirti, Barone, alla presenza di tante persone che ti hanno conosciuto ed amato, se non ancora una volta e con commozione il nostro “grazie” per tutto quello che la tua grande umanità, la tua fede forte ed esigente, la tua appassionata azione educativa, la tua acuta intelligenza dei cuori e delle cose e la tua grande cultura hanno rappresentato per me e per tanti di noi!.
Come per tanti (presenti sicuramente anche in questa sala) ti ho incontrato e conosciuto al Liceo Classico “V. Monti”, in quarta ginnasio come mio insegnante di religione, quando – come ricordasti all’omelia del nostro Matrimonio – “è nata un’amicizia piuttosto rara che non si è mai non dico rotta, ma non si è mai attenuata e che mi ha aiutato moltissimo”.
In realtà fosti proprio tu in quegli anni, con le tue indimenticabili lezioni di religione (“le più belle ore della settimana”, ricordava proprio in questi giorni Giovanni Maroni), con la proposta - mediante Gioventù Studentesca e la Comunità cristiana di Istituto - di una esperienza di vita cristiana concreta e visibile “dentro” la scuola, con l’invito ripetuto e vigoroso ad iniziare ogni giorno la scuola insieme al Signore con le “Lodi”, e con la tua costante disponibilità alla “verifica” personale (come chiamavi, allora, la direzione spirituale), ad aiutare me ed una schiera vastissima di adolescenti e di giovani ad accogliere Gesù Cristo come l’unico significato della vita e come il solo a cui l’uomo può affidare la sua vita, sapendo di non venire deluso nè tradito.
Ricorda la Flavia, tua carissima amica fin dalla quinta ginnasio, la grande commozione che ci prendeva quando affermavi, con la forza di una fede non solo pensata e studiata, ma anzitutto intensamente vissuta, che “Gesù Cristo prende sul serio ogni persona, ognuno di noi è unico e irripetibile nella storia e ai suoi occhi. Gesù considera ognuno di noi una persona speciale che lui ha amato prima ancora della sua nascita fino a dare la sua vita per lei”.
Tu sapevi condurci – sempre! - alle radici più profonde della nostra umanità. Ci costringevi ad essere persone “vere” e a guardare in faccia, senza censure nè menzogne, ciò che costituisce della vita dell’uomo il limite radicale e più drammatico: la morte.
“Senza Gesù Cristo,” – ricordavi spesso con un’immagine “forte” e paradossale rimasta impressa nella memoria di tanti – “quando nasce un bambino non ha senso far festa perchè viene al mondo soltanto uno che allunga la fila dei condannati a morte!”.
Quando con accenti indimenticabili ci parlavi della condizione umana, costringevi i tuoi ascoltatori, giovani o adulti, a far “piazza pulita” di ogni illusione e a non eludere le domande più profonde sul senso della vita e della morte che un uomo, quando è vero, deve porsi se vuol essere autenticamente uomo.
Tu sei stato per noi, Barone, un grande educatore, intransigente sulla verità ed esigentissimo per il nostro bene, ma sempre capace, nel rapporto personale, di ascolto vero, di consiglio autorevole, di paziente incoraggiamento e di autentica tenerezza.
Come scriveva Franco Casadei all’indomani della tua morte, “eri talora insopportabile perchè ogni tuo dire o fare ci “schiodava”, ci obbligava a pensare, a schierarci, a seguirti o a detestarti” (.....) “tanto da non lasciare vie di fuga: prendere o lasciare; scomodo, ci scuotevi dall’inerzia. Se, dall’esterno, potevi apparire “freddo e duro, (.....) dietro la scorza del tuo viso ossuto si coglieva che la passione nasceva da un amore alla verità e a chi avevi di fronte” (“Corriere Cesenate” 9/11/2001, pag. 15).
Sei stato un educatore credibile e vigoroso di ogni dimensione della persona: dell’intelligenza e della libertà, dell’amicizia e dell’affettività, della cultura e dell’impegno sociale e politico.
Come per tanti, la tua presenza e la tua amicizia, il tuo insegnamento chiaro ed esigente, la testimonianza limpida e forte del tuo amore per Gesù Cristo e per la Chiesa, e anche la tua umana fragilità hanno avuto per me, negli anni dell’adolescenza e della giovinezza, un peso decisivo nella scoperta del senso della vita e di Colui che la realizza, nella mia formazione umana e cristiana.
Alla tua “scuola”, Barone, abbiamo imparato valori forti ed esigenti, che non passano di moda. Anzitutto l’amore per la verità: non una verità intellettualistica ed astratta, o moralistica, fatta di precetti e di divieti; ma la verità fatta persona umana, Dio stesso fattosi incredibilmente uno di noi, Gesù Cristo che sta alla porta della libertà di ogni uomo e bussa e che l’uomo, se vuole, può incontrare ed accogliere come il suo unico Liberatore.
E ancora: la gioia di appartenere alla Chiesa e di spendersi per essa, assumendo concretamente servizi e responsabilità; un impegno sociale e politico inteso come servizio alla società, obbediente al Magistero della Chiesa, maturato nella fatica dello studio e nel rischio della libertà, sempre fedele all’uomo e con la preferenza per i più deboli, incapace di attaccarsi al potere o ai soldi. E poi la gioia dell’amicizia profonda e sincera; il rifiuto ad ogni costo, nella vita pubblica e privata, del ricorso a furberie, ruberie ed altre simili “scorciatoie”; la forza e la bellezza della natura, in particolare della montagna.
E, ancora, l’amore per i giovani e la passione per la loro educazione. Li sentiremo vibrare, con accenti forti e toccanti, nell’omelia della notte di Natale che ascolteremo fra poco: quel bambino, incontrino quell’uomo che si chiama Gesù Cristo!”. “Io voglio, io desidero, io bramo, io lavoro, fino alla morte voglio lavorare perchè i giovani incontrino
E, non ultima, la appassionata difesa del valore della libertà.
Nel memorabile tuo intervento del 20 ottobre 1994 al Palazzo del Ridotto, a cinquant’anni dalla Liberazione di Cesena, dicesti che “la fede cristiana mi ha reso radicalmente libero da ideologie, partiti, schemi e schieramenti, e mi ha permesso di giudicare queste realtà alla luce di un criterio quasi assoluto: questo criterio è l’uomo. Per questo abbiamo aiutato, allora, tutti quelli che avevano bisogno e abbiamo detto la verità a tutti quando andavano contro l’uomo. E dobbiamo continuare a farlo! (.....) Per questa fedeltà all’uomo al di sopra delle parti sono stato minacciato più volte da opposti schieramenti e, talora, lusingato dagli uni e dagli altri. Per questa fedeltà ho combattuto per non cadere sotto un nuovo padrone (.....) Io, come cristiano, non ho padroni e non voglio averne mai perchè dipendo solo da Dio che è mio Padre”.
Caro Barone, nelle crisi dell’adolescenza come nei momenti difficili e nelle prove della vita, il tuo aiuto, la tua guida ed il tuo affetto sono stati spesso decisivi per non perdere, o per ritrovare, fiducia e speranza nell’amore di Dio.
“Dio è tutto e solo Amore!” ci ricordasti il giorno del nostro matrimonio. Questa certezza, che hai continuato a testimoniare e ad annunciare con lucidità e passione anche al tempo della solitudine, delle incomprensioni (da parte di sacerdoti non meno che di laici) e della malattia, resta ora, per noi, come una stella polare.
Di tutto questo e del molto di più che, da te e per tuo tramite, noi abbiamo ricevuto, vogliamo questa sera e con semplicità ringraziarti.
Nel 1994, da poco uscito dall’ospedale dopo la grave emorragia subìta, e con la sofferenza palpabile di aver dovuto rinunciare, per le condizioni di salute, alla parrocchia di San Domenico che tanto hai amato, presenziasti per l’ultima volta ai “passaggi” dei tuoi scouts. Quella sera nel cortile di San Domenico, intorno al cerchio, ci ripetesti con forza: “Non deludete Colui che vi ha inventato!”.
Quelle parole risuonarono, in noi, come il tuo testamento spirituale. Comprendemmo che ci affidavi una consegna e con essa, in qualche modo, il tuo cuore di padre, di maestro e di educatore.
Come allora anche questa sera, Barone, vogliamo dire al Signore che non Lo deluderemo!. Tu dalla “casa sulla montagna” verso la quale anche noi stiamo salendo, insieme ad Anna Maria Mescolini, a Nadiella Campana, a Gualtiero Piraccini e ai molti altri amici che ci hanno preceduto e che tu sicuramente hai già ritrovato, aiutaci a rimanere fedeli a questa promessa fino all’ultimo.







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