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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Licia Amaduzzi



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LICIA AMADUZZI

Sono passati 40 anni da quando incontrai per la prima volta Don Lino. Ero in IV ginnasio ed in una delle primissime lezioni di religione arrivò con un piccolo registratore, ci dettò delle parole che scrissi su un quaderno che ancora conservo, poi accese il registratore e ci invitò ad imparare la canzone di cui ci aveva appena dettato il testo. Fu la prima provocazione che Don Lino fece a me, ragazzina di 14 anni, timida e timorosa in una scuola nuova.
Non mi tirai indietro, però, imparai e cantai la canzone, anche perché fin dai primi incontri ci diceva che per capire il significato delle cose bisognava innanzitutto farle.
Seguire le sue lezioni non era sempre facile, perché a tema c’era sempre il vivere con o senza un senso: la vita e la morte, l’amore, l’amicizia, lo studio, la cultura, l’attenzione al bisogno, ed eri interpellato in prima persona, perché venisse fuori se eri serio con la vita o se ti prendevi in giro.

Mentre scrivo mi si affollano alla mente tantissimi ricordi degli anni vissuti in compagnia di don Lino: i campi di GS con le passeggiate in montagna, il rispetto dell’ordine e del silenzio, le serate di canti sotto le stelle, i raggi, le tre giorni, le “scuole alternative”, le lodi e la Messa prima di entrare a scuola, le verifiche e le confessioni, l’essere stata sua segretaria in seconda liceo, i momenti di sconforto o tristezza in cui con un “Vin a què, babina” e un abbraccio mi aiutava a rialzare lo sguardo a Gesù, i momenti di canto in cui meglio che un maestro di musica ci aiutava a capire il perché cantare insieme educa (a questo proposito ho un ricordo vivissimo di quando sulla cima di una montagna, sotto lo sguardo di Dio, ci insegnò “La leggenda della Grigna”), o quando gli chiedevo: “Perché anche quanto tutto va bene sono insoddisfatta?” e lui rispondeva: “E’ la nostalgia del Paradiso”; poi San Domenico dove mi invitò per fare dottrina ai ragazzini che si preparavano al sacramento della Cresima, i canti alla messa delle 11,30…

E infine, ricordo con grandissima tenerezza quando lasciata ormai la parrocchia di San Domenico, celebrava Messa in Duomo: era come se non avesse più nulla da difendere, l’unica cosa che gli interessava era testimoniare la sua risposta all’amore sconfinato di Gesù, dicendo: “Guardate che questa è l’unica cosa che conta”.

Nelle vicende belle o tristi della mia vita questa sua certezza mi è stata spesso di conforto e di sostegno.





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