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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Raffaele Bisulli



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RAFFAELE BISULLI

Se qualcuno mi chiedesse a bruciapelo “Chi era per te don Lino Mancini?” io risponderei senza esitazioni: “In primo luogo è stato il mio insegnante di religione al Liceo Classico”. Don Lino, infatti, pur essendo l’insegnante di una materia che non prevedeva il voto di profitto, e pur avendo a disposizione solo un’ora settimanale, era un punto di riferimento per tutti, era una presenza con cui non si poteva non fare i conti e che ha, in qualche modo, dato un orientamento alla mia vita.
Certo il suo modo di condurre l’ora era assolutamente originale: non tutto i corrispondeva; per esempio. Quando si ostinava all’ultima ora a farci ascoltare le registrazioni di alcune conferenze di qualche illustre personaggio, noi reagivamo negativamente. Rimane il fatto, però, che la sua personalità s’imponeva ed affascinava, per cui quando entrava in class, noi tutti eravamo desiderosi di ascoltarlo.
Per quello che mi riguarda, però, io fino all’ultimo anno del Liceo non l’ho seguito in quello che mi proponeva. Lo ascoltavo sempre con attenzione, lo stimavo, ma non lo seguivo in quella proposta di guardare Cristo come unica risposta alla domanda dell’uomo che, lui diceva, è”un condannato a morte in attesa dell’esecuzione”: la sua pedagogia insisteva molto sul fatto che l’uomo è “un fascio di esigenze irrisolte” che solo in Cristo trovano una risposta: per Don Lino la fede non era una dottrina, non era una morale, ma era una persona, un fatto storico da seguire.
Fu appunto nel mio ultimo anno del liceo che vivendo, per un evento particolare, l’esperienza di questo mio fallimento, andai da lui e gli dissi: “Don Lino, ho capito, quello che lei ci va dicendo da cinque anni è vero: voglio prendere sul serio Cristo”. “Hai un’unica possibilità per non far morire questo desiderio buono” mi rispose: “Quella di appartenere ad una compagnia che ti aiuti nel cammino che inizi ora”.
Fu così che io iniziai da allora a vivere l’esperienza di Gioventù Studentesca e a conoscere Don Lino non più solo come il mio insegnante di Religione, ma come la guida educativa, con l’autorità che ci aiutava a crescere.
Di quei tempi ho vivo in particolare il ricordo di come Don Lino ci educava a vivere la montagna: lui infatti amava la montagna in un modo davvero intenso, perché la considerava uno tra i doni più belli che il buon Dio aveva fatto all’uomo. Per questo aveva un approccio alla montagna molto personale e originale, per cui non accettava che si camminasse come un branco di sbandati, voleva che ci fossero momenti di silenzio durante il cammino: esigeva che quando l’acqua o il cibo scarseggiavano ,li condividessimo in modo tale che nessuno ne rimanesse privo.
A tanti anni di distanza conservo un ricordo bellissimo di quelle passeggiate ed anche delle vere e proprie scalate guidate da lui: sono state veramente un’esperienza educativa importante perché come lui diceva: “La montagna educa a vivere la vita”.
Questo suo grande amore per la montagna fu messo a dura prova per un fatto accaduto nell’agosto del 1964: in occasione di una gita dei giessini alla Marmolada che non era guidata da lui, per una tragica serie di circostanze morì l’Anna Maria Mescolini, una ragazza di sedici anni colpita da una frana di sassi che la scaraventò in un crepaccio. Ricordo bene il giorno della morte dell’Anna e quelli che seguirono: eravamo tutti molto provati e don Lino forse più di tutti: fu in quella occasione che don Giussani su invito di don Lino e di don Ezio venne a dirci parole di conforto.
Ma le vacanze in montagna erano anche l’occasione per un approfondimento della fede: e don Lino era ancora una volta il protagonista di questi momenti; ci proponeva infatti delle lezioni di vera e propria catechesi che erano davvero di una chiarezza eccezionale ed esprimevano la capacità che don Lino aveva di rendere chiari concetti teologici di una certa complessità.
Il suo carisma era quello di rendere la teologia affascinante ed entusiasmante, facendo un po’ quello che san Paolo dice di sé nelle sue lettere, rendendole cioè cibo digeribile per dei lattanti.
Diciamolo pure, senza paura di cadere nella retorica: don Lino era un maestro, un vero e grande maestro di teologia. Era un grande appassionato della Bibbia che continuava a studiare con meticolosità e passione; però non era, non lo è mai stato un accademico, un professore, un intellettuale puro: per lui lo studio e l’approfondimento non erano attività fini a se stesse, ma erano in qualche modo in rapporto con la missione: erano per il bene delle persone che incontrava. In questo senso verrebbe spontaneo accostare don Lino al nostro attuale papa: entrambi infaticabili studiosi, ma tutti e due preoccupati di non rendere i propri studi conoscenze astratte, ma strumenti per la crescita del Popolo di Dio.
Quante altre cose si potrebbero dire e raccontare di don Lino e, proprio per non cadere nella retorica, bisognerebbe parlare anche dei limiti del suo temperamento, che gli hanno procurato tante sofferenze e incomprensioni, e di cui lui stesso era ben consapevole.
In ogni caso, quello che è certo è che don Lino è stato una vera persona che, così come era, quindi anche attraverso i suoi difetti, ha amato Cristo e che in forza di questo amore è stato capace di volgere tanti uomini, in particolare giovani, verso questa delectatio victrix, verso questa attrattiva vincente.








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