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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Franco Casadei



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FRANCO CASADEI

DON LINO: UN PRETE E UN PADRE DALLA MISURA INTERA

Caro don Lino, eri talora insopportabile, perché ogni tuo dire o fare ci “schiodava”, ci obbligava a pensare, a schierarci, a seguirti o a detestarti. Eri troppo chiaro, razionale, anche nel campo della fede, del pensiero, tanto da non lasciare vie di fuga; prendere o lasciare; scomodo, ci scuotevi dall’inerzia. Non restava che pedalare, contro di te o a tuo favore, fermi mai!
L’ora di religione al liceo classico era un avvenimento, sempre uguale (appena entrato in classe tracciavi con il gesso il famoso bivio: morte o resurrezione) e sempre diverso. Ogni ora si dipanava in tesi, ipotesi, sottolineature, squarci sulla realtà che affascinavano, o indignavano: e allora discussioni, difese, polemiche, anche se la tua chiarezza, la tua cultura e la tua razionalità erano troppo superiori alle nostre capacità dialettiche; e allora chi remava contro annaspava e chi invece si sentiva corrispondere era fiero di avere un maestro di tal fatta. Freddo e duro, ma dietro la scorza del tuo viso ossuto si coglieva che la passione nasceva da un amore alla verità e a chi avevi di fronte.
La tua non era l’ora di religione, ma l’ora della ragione. Affermare negli anni ’60 (come già don Giussani al liceo Berchet di Milano dal ’54) che il cristianesimo non era una dottrina o una serie di precetti cui sottostare; non era una religione, ma un fatto, cioè la persona di Gesù di Nazareth, era un modo quasi provocatorio di presentare il cristianesimo stesso. Cristo come fatto storico, non come opzione: uno poteva dire sì o no a Cristo, seguirlo o rifiutarlo, ma non eluderlo e questo a partire dall’uso corretto della ragione e non perché lo dicevi tu, che amavi definirti un povero prete “scazonte”.
Il tuo temperamento tosto si manifestava non solo a scuola o nei pubblici dibattiti (ricordo un tuo intervento memorabile nella primavera del ’66 sul caso «Zanzara» nella sala del Ridotto), ma ovunque. In montagna, durante le “scalate” c’imponevi il passo giusto; il canto doveva essere all’unisono, sfumato o deciso, mai sguaiato o solitario; ci chiedevi puntualità, ordine, silenzio. Noi, ragazzi di G.S. o giovani della FUCI, talora sbuffavamo, ma non ce n’era per nessuno: o così o via.
Ma la tua intransigenza non era formale, era forgiata da una fedeltà all’ortodossia della fede cattolica. Quando negli anni della contestazione anche nel mondo cattolico si subì la tentazione di una lettura marxista della realtà, ed anche molti preti furono ammaliati e tanti timorosi tacevano, tu rimanesti fermo, chiaro, deciso a difendere la posizione cristiana. Il cristianesimo, a tuo dire, non aveva bisogno di delegare a nessuno l’interpretazione del reale, perché nella Chiesa di Cristo e nella sua dottrina sociale c’era già la posizione culturale più vera per la liberazione dell’uomo. A Cesena, durante un’infuocata assemblea della FUCI nel maggio del ‘70, all’affermazione di alcuni di noi che sostenevano, sui problemi sociali, di fidarsi di più della posizione del Manifesto e di Pintòr piuttosto che dei giudizi della Chiesa, esplodesti intimandoci in dialetto: “e aloura andì cun Pintòr”. Era un invito pressante ad andarcene. Fu un momento drammatico, ma decisivo: anche i più irrequieti riconobbero l’autorevolezza del giudizio e la tua sofferenza e obbedimmo anche senza capire fino in fondo, e fu la nostra salvezza averti dato credito. Poi abbiamo capito e soprattutto c’è stata conservata la fede.
Ma, “uomo di marmo” in pubblico, eri, nei rapporti personali, capace d’ascolto, di tenerezza. Di fronte alla debolezza più grande, agli errori ed al peccato, non ci affliggevi con pesi ulteriori o con giudizi disperanti, ma ci facevi avvertire la misericordia che Gesù ebbe per Zaccheo, la Samaritana, il ladrone di destra.
E ci hai fatto amare le cose belle, la natura, l’arte, la musica, il canto, la compagnia degli amici, la Chiesa di Cristo. Uomo che sapevi appassionare, rendere capaci di sacrificio per un ideale, ma anche dividere e accendere polemiche. Ma ci sarà stato un motivo valido per tanti se, per anni, alla messa delle 11,30 a San Domenico prima, poi in cattedrale, centinaia di tuoi ex allievi, giovani o attempati, ti hanno seguito per ascoltare la tua parola chiara, la proposta di un Cristo senza fronzoli, ma anche dolce e sicuro compagno di cammino! Significherà poi qualcosa che al tuo funerale (1000-2000 persone?) ci fosse tutta la Chiesa di Cesena, Associazioni, Movimenti per cui hai speso la vita (A.C., G.S., C.L., Scout), i tuoi parrocchiani; e fra gli altri centinaia di visi e facce che non si vedevano da decenni, che magari in gioventù ti detestavano! Insomma un popolo che ti ha espresso una gratitudine che, così schivo, forse tu non t’attendevi.
Hai seminato a destra e a manca, senza preoccuparti di raccogliere. Questo popolo è il frutto che, per mezzo tuo, Dio ha coltivato. Grazie don Lino, piccolo grande uomo.





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