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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Ebe Domenichini



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EBE DOMENICHINI

È con molta gioia e gratitudine che desidero fissare in poche righe chi era don Lino e cosa è stato per me e per la mia vita. Non nascondo che la mia mente è affollata di ricordi e il mio cuore, nel ricordare, si riempie di emozioni.
Don Lino è presente nella mia vita dal lontano 1960, dall’età di quindici anni - ho molto vivo il primo incontro a Santa Cristina - fino alla sua morte e comunque ora è parte di me. Se sono quello che sono lo devo a lui e a Don Giussani, le due figure che più di tutti hanno illuminato, educato, sostenuto la mia persona: guarda caso si stimavano reciprocamente molto. Lo conosco bene il Barone - così spesso noi lo chiamavamo - come si conosce bene un padre, un amico, un testimone della fede, un maestro: per me lui è stato tutto questo. Abbiamo lavorato per molti anni nell’associazione scout (“lui era il mio assistente…” ), abbiamo condiviso l’esperienza di C.L., abbiamo fatto tanti “campi” e molte vacanze insieme. In tutto questo posso dire che Don Lino ha sempre annunciato la fede senza mezze misure, senza riduzioni, senza moralismi, con una semplicità e profondità non comuni. La sua fede era certa e ne sapeva render ragione: ha continuato a studiare finché la testa glielo ha consentito. Don Lino era di casa nella mia famiglia, conservo dei ricordi teneri e profondi dei dialoghi di lui con mia mamma, donna semplice, ma pure di grande fede e statura umana. Allo stesso modo ricordo i dialoghi con degli amici di casa su alcune figure della Bibbia. Che “godimento”! Sembrava che le avessero incontrate. In compenso, però, si arrabbiava molto quando sentiva alcune fumose, generiche e qualunquiste omelie di alcuni confratelli ed un’espressione tipica era: “l’è un ignurént, l’ha scùrs, l’ha scùrs par no dì gnént”. Era convinto fino alle midolla che l’uomo, anche quando non lo sa, cerca il Signore e perciò non annunciarlo era un peccato. Di lui infatti, diceva mia madre: “l’è znìn, ma l’è garnè”.
Le spigolosità del suo carattere, le sue debolezze, le sue visceralità nei rapporti non gli hanno mai impedito di annunciare che il cristianesimo è una persona, è un incontro con Gesù presente qui ed ora. La sua chiarezza, il suo coraggio, la sua integrità nel dire all’uomo da dove veniva, chi era e dove andava, uniti alle sue grandi doti di comunicazione, hanno fatto sì che fosse molto amato o molto avversato. Io però sono testimone che nei momenti più duri della vita, quando la prova ti sorprende, lo cercavano sia gli uni che gli altri, perché lì trovavano un porto sicuro, una parola vera, un’accoglienza piena.
Mi ha cresciuta, mi ha insegnato a gustare la vita, ha valorizzato la mia persona, a volte con una correzione affettuosa e paterna. Con lui ho scoperto la bellezza della montagna, del camminare per i sentieri come di scalare le vette. Mi ha insegnato a gustare il canto: abbiamo cantato molto. Conservo gelosamente il ricordo dell’ultimo canto insieme. Era sul finire della sua vita terrena, una settimana prima di morire e, strano a dirsi, era molto confuso e disorientato; in occasione di una visita al Don Baronio, dove era ospite, non sapendo più di che cosa parlare, gli ho proposto di cantare: abbiamo cantato per un’ora e lui era felice.
Io gli sono molto riconoscente e sono grata al Signore di questo incontro che ha accompagnato la mia vita: è stato per me di grande aiuto nei momenti più rischiosi e difficili della mia esistenza. Mi ha indicato la strada con il rigore che la fede esige, volendomi molto bene.
Vorrei dire un’ultima cosa: per me è stato possibile vivere con Don Lino un’amicizia grande, dove anche lui poteva essere corretto nelle sue asperità, nelle sue difficoltà, sofferte, di rapporti.
Era un grande, ma come tutti i grandi aveva le debolezze dei piccoli: aveva bisogno di percepire che era voluto bene. Io gli ne ho voluto molto, conservo di lui tante cose, posso vivere di rendita, ma mi manca molto.






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