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Walter Amaducci: Testimonianze su don Lino



Giorgio Zoffoli



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TESTIMONIANZA DI GIORGIO ZOFFOLI

Il clero cesenate, a metà del secolo non brillava certo dal punto di vista culturale.
Unica eccezione era il vecchio polemista Giovanni Ravaglia, parroco del Duomo, seguito a distanza dal musicista don Antonio Benini e a distanza ancora da Mons. Antonio Chiesa, autore di anacronistici poemetti in esametri latini, che nell’intenzione volevano rinverdire i fasti dell’umanista settecentesco D. Cesare Montalti.
Capitò inatteso, ricco di studi biblici, il giovane nipote del parroco di S. Cristina, don Lino Mancini, accolto in diocesi all’inizio con non pochi sospetti. Come eredità di un forte movimento ecclesiale antimodernista si leggevano allora esclusivamente i libri del Nuovo Testamento.
Il resto della Scrittura era conosciuto solo per sommi capi e i fedeli erano tacitamente diffidati dal prendere confidenza con testi ritenuti pericolosi per gente non sufficentemente vaccinata.
Don Lino cominciò in sordina a tenere delle letture scritturistiche a gruppi ristretti di amici, studenti in prevalenza, letture alle quali seguivano eventuali discussioni e chiarimenti.
Questi incentivi avvenivano in una stanzetta messa a disposizione da Don De Paoli nella casa che si trovava di fronte al palazzo Braschi-Salvi e di fianco alla libreria cattolica Faggioli. Fu così che ci conoscemmo e cominciammo a frequentarci.
Entrò nella mia famiglia, che considerò una scoperta preziosa (“sapevo che doveva esistere la famiglia cristiana”).
Prese parte alle nostre feste natalizie, alle ricorrenze di onomastici e compleanni, conobbe i nostri amici, diventò padrino di battesimo di mio figlio Donato, organizzammo insieme dei corsi di conferenza da esportare per tutta la Romagna e le Marche (Forlì - Cesena - Rimini - Pesaro - Fano - Urbino - Ancona - Jesi) con la collaborazione di mons Flick, di Duilio Sgreccia e di un sacerdote di Jesi di cui non ricordo il nome.
La mia casa in viale Carducci era un luogo di incontro per amici e scolari.
Avevo un impianto stereofonico abbastanza raro a quei tempi, e una raccolta abbastanza ricca di musica classica da ascoltare con amici.
La mente di Don Lino, vissuto sempre in seminario, scoprì ricchezze umane, anche se in maniera ingenua agli inizi.
Traduceva i valori fonici in immagini visive e dopo aver ascoltato un pezzo di Bach o di Mozart o di Beethoven o di Bramhs diceva: “ho visto un ghiacciaio immacolato, oppure: mi si è presentato alla mente il mare nella sua infinità” ... e così via.
Poi andavamo ogni anno in vacanza sulle Alpi e fu così che egli scoprì l’alta montagna e se ne innamorò.
Avevamo un anno preso in affitto la grande casa del prof. Antonio Corti di Chiareggio, sotto il Bernina e gliela cedemmo per un mese, cioè finchè io e la famiglia dei miei cognati non fossimo liberi da impegni. Ci portò su, con un camioncino, giovani conoscenti e si fermò con noi, più tardi, per grande tempo.
Come tutti i neofiti non mancò di commettere imprudenze. Una volta, con una piccola comitiva, giunto al passo del …, volle per scherzo affrontare una parete, seguito in cordata da alcuni ragazzi e da mia moglie incinta al quinto mese. Saliti fino a un certo punto si accorsero che la roccia era fradicia e che gli appigli si sgretolavano sotto le loro mani. Tornare indietro voleva dire suicidarsi, salire sembrava impossibile. I ragazzi si misero a piangere e la situazione pareva disperata. Poi, centimetro per centimetro, con estrema prudenza giunsero in cima (ma non sapevano cosa li attendeva lassù).
Per fortuna c’era un bel nevaio, sia pure in forte pendenza e tutto si risolse per il meglio. (Io non c’ero, impegnato in esami di maturità) ma il vecchio prof. Corti, alpinista di vecchia data, si mangiò vivo il povero pretino chiamandolo incosciente, irresponsabile e impartendogli una lezione epica.
Altra cosa che imparò da noi furono i canti alpini di cui divenne cultore appassionato.
Anni dopo, passando per Mazzin, in val di Fassa, dove aveva fondato una colonia estiva di giovani, fu molto fiero di farmi ascoltare il coro da lui diretto in un repertorio vastissimo che spaziava da canti del Trentino a quelli valdostani francesi.
Quando poi io dovetti trasferirmi a Bologna, per qualche anno lui e i Simoncelli continuarono a venire nel pomeriggio del Natale per partecipare alla nostra festa.
E voleva sapere insaziabilmente di tutte le mie nuove esperienze dell’amicizia con Pippo Dossetti, della presidenza diocesana della Azione Cattolica voluta dal Cardinale Lercaro, della direzione del Centro di Studi religiosi, ereditata da Dossetti e così via.
Poi la lontananza rese più rarefatti i legami, riducendoli a cenversazioni telefoniche ma è certo che nella nostra vita l’incontro con Don Lino è stato prezioso e, spero, non inutile anche per lui.





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