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Walter Amaducci: Conferenze



Il seminario ha cinquant'anni



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Walter Amaducci

CELEBRAZIONI PER I 50 ANNI DEL SEMINARIO ‘GIOVANNI XXIII’

Seminario di Cesena - Comunicazione al Presbiterio
Giovedì 22 novembre 2012


Questo 22 novembre 2012 vede riunito il Presbiterio, come ogni anno in questo periodo, per la giornata del Seminario. Ma come ben sappiamo iniziamo anche, con questo appuntamento, le celebrazioni per i 50 anni del Seminario ‘Giovanni XXIII’ che si concluderanno nel settembre 2013. Questo edificio, infatti, fu inaugurato il 15 settembre 1963.
Nel 1963 si ricordavano tra l’altro i 400 anni dall’istituzione dei seminari (il decreto della XXIII sessione del Concilio di Trento porta la data del 15 luglio 1563). La disposizione fu attuata abbastanza celermente a Cesena, sei anni dopo, nel 1569, ad opera del vescovo Edoardo Gualandi. L’anno prossimo saranno trascorsi dunque 450 anni da quella decisione.
Fare memoria di una decisione, per usare una metafora, è come richiamarsi al momento del concepimento rispetto alla data di una nascita. Questo vale anche per il seminario Giovanni XXIII, che trova la sua prima spiegazione in una convinzione ampiamente condivisa dal clero cesenate, quella di trasferire fuori città il vecchio seminario di via Verdoni e di via Roverella.

Questa convinzione è registrata nel verbale di una riunione del capitolo, datata 30 maggio 1960, a firma del canonico Silvio Bersani. Il primo punto all’ordine del giorno prevedeva la valutazione di un eventuale acquisto di area per il nuovo seminario. Il vescovo Augusto Gianfranceschi in persona relazionò sull’argomento, riconoscendo innanzi tutto che mantenere l’ubicazione del seminario presso la cattedrale avrebbe sicuramente facilitato la presenza dei seminaristi alle sacre funzioni che lì si svolgevano, sarebbe stato più comodo per gli insegnanti, avrebbe garantito vicinanza reciproca tra vescovo e comunità del seminario.
Ma a queste si opponevano altre ragioni che suggerivano invece di costruire il seminario fuori città: «l’angustia dello spazio attuale disponibile presso la cattedrale, il frastuono della vita cittadina e soprattutto il fatto che il Seminario attuale costruito 30 anni or sono dal compianto Mons. Alfonso Archi coll’ausilio del benemerito Mons. A. Severi, è in piedi solo per un terzo e sarebbe ora urgentissimo ricostruire la parte vecchia perché le strutture rimaste sono ora completamente pericolanti. Reperire i mezzi per tale ricostruzione è impossibile, mentre alienando l’immobile e l’area, si può ricavare quanto basta per la ricostruzione del nuovo edificio fuori città. Il Clero a suo tempo, interessato della cosa, approvò l’idea del trasferimento».

Racconta Mons. Casadei che assentatosi per pochi giorni nel settembre 1960 per accompagnare don Primo Ricci in Svizzera, rientrando apprese con viva sorpresa dall’economo don Alfeo Guidi che nel frattempo il seminario era stato venduto. La sorpresa non era totale perché L’eventuale acquisto di area per il nuovo seminario era stato il tema all’ordine del giorno della riunione appena ricordata; ma qualche perplessità permaneva, soprattutto per ragioni di ordine economico. Ricorda don Mario Morigi: «In quegli stessi anni, i Gesuiti decisero di lasciare la presenza in diocesi, che aveva residenza a palazzo Ghini. Ci fu molta discussione: se lasciare perdere o se fare di tutto per assicurare all’uso della diocesi il palazzo, acquistandolo. Mons. Casadei, insieme a Mons. Alessandro Tonti si recarono – presente anche don Mario – a Roma un paio di giorni per avere un incontro con il superiore dei gesuiti per l’Italia, circa l’acquisto del Ghini. Il vescovo Gianfranceschi era d’accordo, ma alcuni preti influenti s’opponevano perché non si poteva gravare la diocesi della spesa del nuovo seminario e dell’acquisto del Ghini. Mons. Casadei che era vicario, spinse la cosa verso l’esito positivo».
Il 10 ottobre 1960 l’affare era concluso: nel verbale del Consiglio amministrativo leggiamo: «è stata venduta per due terzi l’area su cui sorge il seminario a £ 60.000 al mq. L’area dovrà esser consegnata libera da tutte le costruzioni che su di essa sorgono. La vendita impone la costruzione di un nuovo seminario». Una clausola del contratto di vendita, in particolare, obbligava ad abbandonare il vecchio seminario al termine dell’anno scolastico 1961-1962.

Si pose quindi il problema dell’area, di soluzione tutt’altro che facile, sia per l’idoneità del luogo che per l’urgenza dei tempi. Fino al 29 gennaio 1961 si passò da un’ipotesi all’altra. La prima fu quella di Villa Belvedere o Villa Bianchi. Mons. Gianfranceschi aveva pensato subito a questa soluzione e preso contatti con la proprietaria, senza esiti soddisfacenti. La seconda riguardò il colle Garampo, lungo la strada che porta al convento dei Cappuccini (offerta dal fattore Giorgi) nei pressi di villa Zaccherini. La terza ipotesi fu quella dell’area Cattoli, sotto il Convento dei Cappuccini sul versante Cesuola, presso il cimitero urbano, che poteva andare dai 10.000 ai 20.000 mq. Questa fu l’ipotesi che raccolse il parere unanime del Capitolo.

Per motivi vari i tre progetti caddero l’uno dopo l’altro, finché non giunse quella domenica 29 gennaio 1961 che mons. Casadei annota tra le date firmate di proprio pugno dalla Provvidenza:
«Ma la Provvidenza venne nuovamente incontro presentandoci una possibilità del tutto nuova ed inaspettata, e sotto molti aspetti preferibile a quella che si era dovuta scartare. Si trattava di Case Finali! Con grande riservatezza il mediatore Lombardini informò il Rettore ch’era in vendita un poderetto sull’altura sovrastante il complesso parrocchiale di Case Finali. La notizia riaccese i cuori di speranza e mise le ali ai piedi... Il Rettore e il vice Rettore di allora, Don Mario Morigi, non dimenticheranno mai quella tersa mattina di fine gennaio (domenica 29 gennaio 1961) quando, furtivamente, si affacciarono su quella collinetta tutta coperta di ulivi con al centro una vecchia casa colonica che appariva disabitata. Una siepe impedì di andare oltre, ma quello sguardo fu sufficiente per restarne conquistati e gridare: «Oh, se il Signore ce la concedesse per il nuovo Seminario!».

Non era trascorso un mese che il sogno s’era avverato! L’economo don Alfeo Guidi si recò quanto prima in Lombardia dai Dall’Oca, proprietari del terreno, e tornò con l’affare praticamente concluso. Già il 17 febbraio successivo se ne poté parlare alla riunione del Consiglio amministrativo diocesano nei seguenti termini: «Mons. Vicario e il Can. co Guidi illustrano il progetto di acquisto dell’area di 22.000 mq. circa, in località Case Finali per il nuovo Seminario. Considerata l’ottima posizione ed il prezzo buono, il Consiglio dà la sua piena approvazione». E alla riunione capitolare del 3 marzo 1961 si precisò: «Sul secondo punto presenta relazione Mons. Vicario Generale, che è pure Rettore del Ven. Seminario. L’area per la costruzione del nuovo Seminario viene offerta nelle immediate vicinanze di Cesena, a Case Finali. Si tratta di due appezzamenti attigui di complessivi mq. 22.271, di proprietà di certo Dall’Oca Enrico e di Baronio Primo. La spesa è di £. 35.500.000. Si farà fronte alla stessa con parte del ricavato dall’alienazione del vecchio Seminario. Il Capitolo approva».

Le previsioni di spesa non spaventarono più di tanto, come si è visto, fin dalla prima ora del progetto. Abbiamo letto infatti nel verbale del 30 maggio 1960: «Alienando l’immobile e l’area, si può ricavare quanto basta per la ricostruzione del nuovo edificio fuori città».
Le cose non andarono esattamente così, come dovette verificare mons. Casadei a lavoro ultimato: «La spesa complessiva raggiunse i 315 milioni, in gran parte coperti con le vendite, con i contributi, le offerte e con un mutuo».

L’approvazione del capitolo risale dunque al 3 marzo 1961. A questo punto colpisce la rapidità dei tempi di esecuzione. Il comune rinuncia al verde pubblico che il piano regolatore prevede proprio in cima alla collina; Prefettura e Congregazione dei Seminari concedono le rispettive autorizzazioni; l’Ufficio tecnico del comune rilascia un preventivo “nulla osta” al progetto dell’ing. Pietro Paglia di Milano. Il 21 giugno 1961 il lavoro viene aggiudicato alla ditta “Società fra operai e muratori” di Cesena che ai primi di luglio apre il cantiere. Il 3 settembre si ha la solenne posa della prima pietra.
I termini di consegna prevedono: un primo lotto (il corpo principale) entro il 1° ottobre 1962;
un secondo lotto (auditorium, cappella e corridoi di collegamento) entro il 1° aprile 1963.
La coda dei lavori spuntò puntuale. Come si diceva all’inizio, e vedremo ora più in dettaglio, i seminaristi poterono entrare solo l’8 novembre. Ma questa coda a conti fatti non risultò eccessivamente lunga. Il 15 settembre1963 infatti si poté fare la solenne inaugurazione del nuovo seminario.

Oggi è il 22 novembre 2012. Questi dieci mesi che ci stanno davanti possono ricalcare anche le vicende di cinquant’anni fa, che molti di noi ricordano bene per averle vissute in prima persona e tanti altri per esserne stati testimoni o spettatori ravvicinati.
Era un giovedì e pioveva a dirotto quell’8 novembre 1962 quando entrammo in questo edificio, ancora incompleto. Io appartenevo alla camerata della seconda media che aveva come prefetto lo studente di Teologia Giancarlo Biguzzi. Gli altri tre prefetti erano Primo Battistini, Guido Rossi e Giancarlo Sacchetti. Tra alunni delle medie e del ginnasio eravamo 85. Vicerettore era don Mario Morigi, proprio quel giorno assente perché a letto con la febbre. Padre spirituale era don Corrado Mongiusti. Regista di tutta l’operazione fu il rettore mons. Aldo Casadei.
Vent’anni fa, in occasione del trentesimo, chiesi a mons. Casadei una testimonianza particolareggiata su quegli anni e su quegli avvenimenti, preceduta da un racconto sintetico della storia del seminario dagli anni di don Praconi a quelli di mons. Aldo Severi. Quelle preziose pagine furono raccolte nella pubblicazione “I trent’anni del seminario Giovanni XXIII – 1963-1993”. Tra le righe illuminanti del suo stato d’animo egli citava il testo di una lettera inviata al vescovo Gianfranceschi, anch’egli assente in quei giorni perché impegnato a Roma nella prima sessione del Concilio Vaticano II.

La lettera di mons. Casadei porta la data del 16 ottobre:
«Sono molto preoccupato per i nostri seminaristi che devono trattenersi così a lungo fuori del seminario. Intanto, da sabato scorso abbiamo iniziato un po’ di scuola per le singole classi a giorni alterni (un giorno due, un giorno tre classi) data anche la mancanza di ambienti nel vecchio Seminario. I ragazzi vengono volentieri e si sono fatti onore anche quelli di I media, venuti in circa una ventina quest’oggi per la prima volta, nonostante che piovesse a dirotto (piove già da ieri sera)».

Mi inserisco con un ricordo personale. A metà ottobre iniziò la scuola in alcune stanze del primo seminario, quello che dava su via Verdoni. Ebbi proprio in una di quelle sale fatiscenti il mio primo impatto con la lingua francese, insegnata da don Matteo Bono. Ero in seconda media e quel piano del vecchio seminario lo conoscevo abbastanza bene perché lì abitavano padre spirituale e professori, mentre al pian terreno c’era il refettorio, in quella che era stata l’antica cappella. Il 20 gennaio del corrente anno 2012 don Matteo, la memoria vivente più longeva e completa riguardante questi fatti, ci ha lasciati portando con sé un patrimonio di ricordi che avremo più volte l’occasione di rimpiangere.

Ma riprendiamo a scorrere la lettera di Mons. Casadei: «La settimana scorsa venne l’Ing. Paglia ed è tornato ancora oggi. Le cose che preoccupavano maggiormente sono ormai in via di soluzione. Per il lanternino della Cappella è stato deciso di montarlo in pezzi, così è stato possibile rimuovere la gru e fra giorni si potrà dare inizio al lavoro degli scarichi. Pure le porte (una delle nostre preoccupazioni) sono arrivate sabato scorso e le attrezzature della cucina sono ormai al completo. I serbatoi per la nafta hanno subito un ritardo per lo sciopero dei metallurgici ma la settimana prossima verranno consegnati (sono stato anche stamane a Forlimpopoli). Pare quindi che si intraveda la fine dei lavori considerati indispensabili e che si possa entrare».

Racconterà poi don Aldo che si entrò effettivamente nel nuovo edificio il giorno 8 del mese successivo, dopo un ulteriore rimando. «Solo la vigilia gli operai riuscirono a montare una scalinata in legno davanti all’entrata principale per permettere di salire all’atrio di ingresso, che si presentava tuttavia bello e spazioso nel suo marmo macchiato di nero che ripagava del fango incontrato sul piazzale esterno. Le novità dell’ambiente contribuirono a galvanizzare i Seminaristi che si trovarono subito a proprio agio, mentre fu un po’ più difficile per il personale, specie di cucina, che dovette iniziare con le finestre ancora senza vetri».

Un anno dopo i quattro Prefetti pionieri (Battistini, Biguzzi, Rossi e Sacchetti) rievocavano quell’ingresso epico in tono allegro e “scanzonato” (l’aggettivo è di mons. Casadei) in una lettera inviata da Bologna e datata 4 novembre 1963. In essa tra l’altro scrivevano:
«In quel giorno indimenticabile, piovoso, uggioso, dell’8 novembre 1962, in quel Seminario senza porte, senza ingresso, senza vetri, senza luce, senza cucina, senza cuoche..., senza Economo, senza Vescovo, con molta confusione, con molti muratori, molto chiasso, molto freddo..., e molta buona volontà, in cui dopo un’agape fraterna al Ghini, la compera di attaccapanni e vario materiale plastico, verso le ore 14 fecero il loro ingresso su una misera scala di gradini di legno. «Ragazzi, ciascuno è responsabile di 2 milioni e mezzo! Che i posteri non dicano - come li hanno rovinati! Ora ci siamo e ci resteremo! Questo bel Seminario sorge in questa amena collina, punto di riferimento per i montanari (che diranno: "È finita la montagna!"), per i naviganti del mare, per chi percorre la Via Emilia da Rimini e da Forlì, immersi nella bella natura romagnola». Così, o pressappoco ebbe inizio l’avventura: l’entusiasmo di tutti supplisce la deficienza di tutto! L’importante fu che si mangiò la prima sera e, cosa ancora più importante, senza la lettura e, cosa deplorevole, ancora senza Superiori in Refettorio …».

Ho citato la lettera del rettore Casadei al vescovo Gianfranceschi, impegnato a Roma nei lavori del Concilio. In due delle sue lettere da Roma Gianfranceschi ricorda il seminario. La prima menzione si trova nella lettera n. 9 datata 29 novembre 1962 nella quale egli parla dei sacrifici richiesti dal Concilio:

«Ebbene credete che partecipare al Concilio non costi sacrificio? A vedere le cose da lontano, forse lo si direbbe. E infatti gli aspetti più evidenti sono quelli che danno tante soddisfazioni, e non occorre che ve li enumeri che già li conoscete. Ma ci sono pure gli altri aspetti. Rimanere per tanto tempo fuori di casa propria, avulsi dalle proprie occupazioni; lontani dai luoghi e dalle persone care; privi della amabile compagnia dei collaboratori che condividono con te giorno per giorno, ideali sentimenti e preoccupazioni; senza poter seguire da vicino la vita della Diocesi che è come parte della tua vita; e dover rimandare a chi sa quando l’esecuzione dei cari progetti...
Credete che io possa pensare con fredda indifferenza ai seminaristi che sono entrati nel nuovo Seminario senza che li abbia potuti nemmeno vedere; e ai loro superiori che ho lasciati soli a districare una matassa cosi confusa come quella di avviare la vita di una comunità numerosa in una casa nuova e bella si, ma ancora non del tutto finita, in coabitazione… non piacevole con gli operai;
…oppure ai sacerdoti che erano soliti visitare il Vescovo … tutti gli studenti che il Vescovo avrebbe incontrati in questo periodo, …, vedere con i propri occhi i progressi di imprese avviate; visitare le nuove parrocchie; presenziare a convegni; celebrare funzioni e conferire sacramenti; parlare ai propri figli... sono tutti motivi di conforto per un Vescovo. Ma finché il Concilio ti tiene a Roma... »

Nella seconda lettera – la n. 18 – il vescovo ricorda il recente incontro avuto con i seminaristi durante il suo breve rientro in diocesi. La data è quella del 4 novembre 1963.

«Dilettissimi, nel tono confidenziale che sono solito usare in queste corrispondenze, lasciatemi dire delle soddisfazioni pastorali che la buona Provvidenza mi ha preparato nei due giorni poco più che ho trascorso con voi in occasione delle commemorazioni dei Santi e dei Morti. E le ricordo qui a gloria di Dio ed a vostra e mia consolazione.
Il primo incontro l’ho avuto venerdì mattina con l’alunnato del Seminario tanto numeroso e promettente, assai bene ambientato nella nuova sede veramente invidiabile sotto ogni aspetto. La vita vi si svolge ordinata, serena, laboriosa, gioiosa; trova il suo centro di energia nella Cappella dove si celebrano le belle Liturgie decorate di canti e di riti molto bene eseguiti, attorno all’altare di Cristo sommo eterno Sacerdote, ad espressione ed elevazione della fede di questi cari figliuoli; in essi si ravviva l’amore di Dio e la loro vicendevole fraterna unione di carità, si accende l’entusiasmo per la vocazione sacerdotale di cui comprendono ed apprezzano sempre più la grandezza e la fecondità di salvezza per il mondo intero e si matura nel fervore del cuore semplice e puro la loro generosa donazione a Dio e ai fratelli».

Vorrei partire proprio da queste ultime annotazioni del vescovo Gianfranceschi per indicare una tematica ancora più importante e stimolante rispetto alla rievocazione delle vicende relative all’edificio, anche se in questa sede dovrò limitarmi ad un semplice accenno. Mi riferisco al Seminario come ambiente umano, come comunità educativa, come percorso di formazione al Sacerdozio ministeriale.
Don Mario Morigi, in un suo breve memoriale (Ricordi e osservazioni sulla storia del seminario) che mi auguro possa integrare e ampliare quanto prima, annota tra le altre cose:

«Il «nuovo seminario» nacque in una stagione di imprevisti e forti cambiamenti. Nei primi anni da prete, ho vissuto e proposto l’ambiente del seminario dei tempi passati: le camerate, i cameroni, l’andare in fila, i prefetti, le punizioni, ecc.
Dal 19 marzo del 1960 prese la direzione del seminario Mons. Aldo Casadei, al posto di Primo Brighi. Entrambi ricchi a modo proprio. Don Primo: fantasia e spinte inusuali associate a discontinuità sorprendenti. Don Aldo: compostezza sobria e un’impronta che lasciava sempre posto alla sorpresa simpatica e alla novità. Regolarità e tradizione, ma in uno spirito di ulteriore cordialità delle relazioni tra gli alunni e i superiori, che teneva alta e vivace l’attesa e la realizzazione di rinnovamento. La presenza come padre spirituale in quegli stessi anni di d. Corrado Mongiusti portò vivacità, apertura conciliare, liturgica e buona accoglienza verso ogni segnale di rinnovamento».

Dopo aver ricordato la costruzione del seminario nuovo che assorbì tante energie del rettore Casadei, dovendo questi svolgere anche il compito di economo, per il trasferimento di Don Alfeo Guidi, don Mario torna a tratteggiare la storia formativa del seminario, mettendo in rilievo la personalità di Don Oreste Benzi, padre spirituale del Seminario di Rimini, che invitato a tenere un corso di esercizi spirituali ai seminaristi, aveva proposto «una visione del seminario totalmente rinnovata, in chiave conciliare. I ragazzi del gruppo dei più grandi rimasero – durante un incontro di riflessione comunitaria guidata da D. Oreste – entusiasti e commossi».

Tutto il sistema educativo cominciò ad essere rivisto e aggiornato. «A noi sembrava - scrive don Mario - che anche il vescovo, che nei precedenti anni era stato assai rigido e duro, desse segni chiari di apertura al rinnovamento ed anche circa il seminario aveva assunto atteggiamenti più scorrevoli. …scomparve la vecchia nomenclatura di regole, camerate, ecc.; prese importanza la celebrazione della messa nella rinnovata forma di partecipazione; si cominciò a fare uso delle letture della messa, al posto di diffusi libretti di meditazione; i singoli gruppi dei ragazzi acquisirono i «motivi» dominanti di comunità; anche la messa varie volte veniva celebrata nel «gruppo»; così pure la meditazione; i gruppi avevano vita autonoma con percorsi formativi differenziati;… la vita spirituale si fondava sempre più sulla liturgia, la Bibbia e uno spirito di sapore comunitario».

I muri del seminario non riuscirono certo a riparare gli alunni dal “vento della contestazione studentesca”: «vari ragazzi frequentavano gli istituti scolastici pubblici; e nelle medie, alcuni ragazzi frequentavano la scuola del seminario come alunni esterni; dal sabato pomeriggio i seminaristi cominciarono a rientrare in famiglia fino all’ora della scuola del lunedì. … Credo si possa dire che, dentro al seminario nuovo, era nato un nuovo modo di fare seminario. Ciò in linea con altri seminari della regione. I rettori s’incontravano. Anche i padri spirituali s’incontrarono per qualche anno al seminario di Ravenna o a Cesena. L’anima era don Benzi…».

Edifici e ambienti, persone e stili di vita: la parola seminario racchiude un intero mondo, ricco, variegato e in evoluzione. In certi periodi il cambiamento è stato lento e quasi impercettibile, in altri più rapido e addirittura vorticoso. Tutti noi potremmo dare vita ad un intreccio di ricordi e paragoni assai vivace e interessante.
Con questa osservazione mi avvio a concludere il mio intervento e faccio una proposta. Ho già sperimentato l’opportunità di fare tesoro dei ricordi, delle letture dei fatti, del materiale e della documentazione (scritti, documenti, lettere , appunti) in alcune ricerche da me condotte: Il concilio, Il seminario, La parrocchia di Case Finali, La figura di Don Lino Mancini, Il bombardamento della chiesa di San Pietro. Tempus fugit e… i testimoni uno dopo l’altro ci lasciano portando con sé le loro conoscenze e i loro ricordi. Per chi resta talora rimane anche il rammarico di non aver approfittato per tempo di un patrimonio così ricco ancora a disposizione. Poco fa ho ricordato a questo proposito la scomparsa di don Matteo Bono.

Così propongo e chiedo al vescovo e al rettore che il Cinquantesimo sia l’occasione per una ricognizione ricca, possibilmente completa, della storia del seminario, sia per le epoche per le quali disponiamo solo di documenti scritti, sia per gran parte dei decenni del XX secolo che hanno ancora tra noi testimoni e protagonisti. Faccio un esempio riguardante le foto: oggi è possibile una scansione che qualunque ragazzo capace di maneggiare uno scanner riesce a fare (meglio ancora se direttamente alla Stilgraf, considerati i mezzi di qualità assai più elevata a disposizione della tipografia). Ma sempre più spesso le foto rischiano di presentarci personaggi anonimi perché chi li poteva riconoscere non c’è più. Risulta indispensabile perciò quella decifrazione di persone, situazione e date che ormai solo alcuni dei presenti sono in grado di fare.

Torno con un ultimo pensiero a questa casa, che per un anno accolse anche un gruppo di ragazzini di quinta elementare, registrando un numero complessivo di ospiti che superò il centinaio. Talora paragoni simili possono farci ripiegare sul rimpianto anziché indirizzarci al discernimento di nuove vie che si aprono o al bisogno di rianimare la speranza e alla necessità di confermare con rinnovata lena la nostra opera nella vigna del Signore.
Trovo edificanti in tal senso le parole di mons. Casadei, nella lettura sapienziale di ciò che accadde negli anni successivi.

«La crisi che sopraggiunse più tardi fu il riflesso di un fenomeno pressoché generale, che non risparmiò purtroppo quasi nessuna delle nostre diocesi e fu provocata da cause soprattutto esterne. Considerando la storia più volte secolare del nostro Seminario troviamo che periodi di crisi, a carattere vocazionale od altro, se ne ebbero anche in passato e, più vicino a noi, dall’inizio del presente secolo fin verso la fine degli anni ’20, ma che essi furono sempre felicemente superati. Altrettanto vogliamo sperare che lo sia per l’attuale crisi, anche se più complessa ed estesa che le precedenti, e complicata da una realtà in profondo mutamento. Il Signore che ama la sua Chiesa e che per essa ha donato la sua vita, non le lascerà certo mancare quanto appare indispensabile per la sua vita e per la sua missione!».


















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