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Walter Amaducci: Conferenze



Il concilio a Cesena-Sarsina



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Walter Amaducci

IL CONCILIO A CESENA-SARSINA

Lezione al Master della Scuola diocesana di Teologia
Cesena, 23 ottobre 2012



Ho dedicato una ricerca alla ricezione del concilio ecumenico Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina in occasione di un convegno di studi promosso dal Dipartimento di Teologia dell'Evangelizzazione della Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna tenutosi a Bologna il 13-14 dicembre 2006. Il tema del convegno era "L'apporto della Chiesa di Bologna al Concilio Vaticano II e la recezione del Concilio nelle Chiese dell'Emilia Romagna" ed io fui invitato a presentare una comunicazione sulla ricezione del Vaticano II nella nostra diocesi.

L'opportunità di ampliare la ricerca e di pubblicarla in diocesi si presentò all'inizio dell'anno successivo, in occasione di due ricorrenze collegate al ministero episcopale di Augusto Gianfranceschi: il 24 marzo 1957 egli faceva il suo ingresso a Cesena e il 2 giugno 1977 riceveva la cittadinanza onoraria di Cesena, prima di ritirarsi a riposo sul colle Belvedere. Dunque il 2007 si prestava a rievocare i cinquant'anni dell'inizio e i trent'anni della conclusione di quell'episcopato. Nella ricezione del concilio a Cesena-Sarsina è facile vedere come Gianfranceschi abbia giocato un ruolo da protagonista e come l'opera di Gianfranceschi sia stata tutta connotata, come ebbe a dire lui stesso, dall'evento del concilio.

I risultati di questo studio sono raccolti nel volume "Il concilio a Cesena. La ricezione del Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina" pubblicato dalla Società di studi romagnoli (collana Saggi e repertori, n. 35) a Cesena, nel novembre 2007. Rinvio a quel testo per le citazioni che farò e per ogni altro elemento di documentazione.

Questa lezione su Il concilio a Cesena-Sarsina si inquadra nel contesto del master della nostra Scuola di Teologia dedicato quest'anno all'Ecclesiologia, dal titolo La Chiesa del concilio. Il vescovo Regattieri, martedì scorso, nella sua articolata lezione, ha ripercorso i momenti che portarono all'indizione della straordinaria assise e ne ha messo rilievo la portata storica, anche con riferimenti personali e menzioni riguardanti la nostra diocesi; ma soprattutto lo ha collegato con l'Anno della fede che resta il vero scopo nella nostra rievocazione. Tutto quello che attingeremo dai fatti e dai documenti del concilio dovrà ravvivare la nostra fede come chiesa di Cesena-Sarsina, chiamata a fare propria oggi quell'opera di aggiornamento che costituisce la vera fedeltà al vangelo di Cristo e alla missione da lui affidata ai suoi discepoli.


1. INTERESSE PER IL CONCILIO

Il mio interesse per il concilio, come dicevo, non è di questi giorni e tra le altre ragioni ne individuo una di carattere affettivo legata alla personalità del vescovo Augusto Gianfranceschi, il vescovo che mi ha ordinato prete in quella che fu la trentacinquesima e ultima ordinazione da lui conferita nel ventennio cesenate-sarsinate (per un totale di sessanta ordinati).
Pertanto in queste prime battute, farò riferimento a vari ricordi personali per spiegare questo interesse e anche per dare una testimonianza ormai possibile solo a chi a metà del secolo scorso era ancora abbastanza giovane.

Cinquant'anni fa si apriva il Concilio ecumenico Vaticano II (11.10.1962) e dalla chiusura del Concilio (8 dicembre 1965) ne sono trascorsi ormai quarantasette; eppure la sua attuazione continua ad essere oggetto di rinnovati propositi e verifiche.
Nel solco del Concilio, ad esempio, è il titolo del paragrafo n. 3 della Nota pastorale dell'Episcopato italiano dopo il quarto Convegno ecclesiale di Verona "Rigenerati per una speranza viva" (1 Pt 1,3): testimoni del grande "sì" di Dio all'uomo. Vi si legge: "In questi primi anni del nuovo millennio, spinta dall'eredità del grande Giubileo, che Giovanni Paolo II indicò nella contemplazione del volto di Cristo, la Chiesa italiana ha scelto di mettere al centro della sua azione l'impegno a comunicare il Vangelo in un mondo in profondo cambiamento. E' questo un orientamento di cui ancora oggi siamo debitori al Concilio e il 4° Convegno ecclesiale ha costituito una nuova tappa nel cammino di attuazione del Vaticano II, nella perenne continuità della vita della Chiesa".

Una nuova tappa nel cammino di attuazione: quando a metà degli anni sessanta iniziavo il liceo, nella Bologna di Lercaro e Dossetti, mi sembravano inconcepibili certe previsioni sulla necessità di tempi lunghi per la traduzione del Vaticano II. La mia personale esperienza, trent'anni dopo a Cesena, durante i lavori di preparazione e di celebrazione del sinodo diocesano, doveva confermare in pieno quelle previsioni. I grandi rivolgimenti del 1968 avevano trovato una Chiesa vigile, all'erta, già impegnata nell'opera di aggiornamento, ma nonostante questo riuscirono ugualmente a provocare turbamento e dissesto in molte comunità. Strutture, mentalità, persone marciano sulla via del rinnovamento a velocità diverse, e i risultati appaiono quasi sempre scarsi e tardivi.

Ricordo che le aspettative suscitate dall'annuncio del concilio erano tante e largamente diffuse. Il fervore entusiasta coinvolgeva anche i ragazzini, o almeno quelli che come me erano a contatto con adulti consapevoli del momento storico e pervasi da quella effervescenza. La preghiera quotidiana allo Spirito Santo per il concilio, voluta da papa Giovanni, ebbe tra i primi effetti anche quello di creare un forte senso di attesa, come si vedrà più avanti; e a quei seminaristi che segnalarono al papa la loro pronta adesione ottenendo una risposta di compiacimento a firma del cardinale Tardini, mi aggregai presto anch'io entrando in seminario il 2 ottobre 1961.

Per continuare ad attingere al deposito dei ricordi personali, posso aggiungere che l'immediata vigilia dell'apertura del concilio si cristallizza attorno a due scenari indimenticabili. Il 4 ottobre 1962 sono a Loreto, quasi schiacciato tra la gente nella gremitissima piazza del santuario; ma issato sulle spalle del mio parroco riesco a vedere in tre momenti successivi papa Giovanni, protagonista di quello storico viaggio a Loreto e Assisi. Con altrettanta nitidezza rivedo un grande striscione che annuncia la vicinissima apertura del concilio ecumenico.
Il secondo scenario si riferisce a tre giorni dopo, alla sera di domenica 7 ottobre 1962 e ha come sfondo la facciata della cattedrale di Cesena. Il Vescovo Augusto Gianfranceschi è in partenza per Roma e la città gli porge il suo saluto per bocca del sindaco Antonio Manuzzi. Resto quasi scandalizzato nel sentire pronunciare dal sindaco l'espressione "consiglio ecumenico", sorpreso che addirittura un sindaco possa permettersi una simile imprecisione, mentre mi pare ovvia la solennità riservata alla partenza per quella che ha tutti i connotati di una vera e propria "missione speciale".

A causa dei lavori di ristrutturazione dell'episcopio, Gianfranceschi dimorò in seminario durante tutto il periodo conciliare, cosicché la sua presenza a Cesena, negli intervalli in cui erano sospese le sessioni romane, fu porta a porta con noi seminaristi oltre che con i superiori sacerdoti. Questo ci permise di vivere con rinnovata partecipazione la vicenda del concilio e di seguirne gli sviluppi in maniera privilegiata.
Alcuni episodi gustosi ma emblematici costellano i miei ricordi di quegli anni, come il premio di capocannoniere del campionato interno di calcio che si materializzò per me in una copia della costituzione Sacrosanctum concilium sulla Liturgia, o la raccolta di autografi dei vescovi stranieri dai colori più vari che Gianfranceschi invitava e ospitava a Cesena proprio negli ambienti del seminario; durante un'inchiesta a base di interviste sul concilio, fui investito da una fiumana verbale e mi sentii incriminato, come complice di tradimento, per l'abbandono della lingua latina; la pubblicazione dei documenti conciliari significava l'arricchimento di una vera e propria collezione di libretti quadrotti dalla lucida copertina bianca e dalle scritte gigantesche, quelli dell'editrice AVE, mentre le prime riforme liturgiche o la diffusione dei testi della Bibbia già mi davano la netta sensazione di appartenere ad una generazione nuova.

A questo punto capisco che dovrei saper scindere, nella rievocazione personale, la figura del vescovo Augusto dall'evento del concilio; effettivamente il mio legame con Gianfranceschi si è costruito ed approfondito in tante, svariatissime occasioni, fino al momento culminante della mia ordinazione presbiterale. Ma anche gli anni successivi al suo ritiro dal ministero furono ricchi di una significativa frequentazione da entrambi gradita e custodita.
Ed è proprio questa la prima ragione che mi ha spinto ad interessarmi con vera passione degli anni del concilio a Cesena-Sarsina e in particolare del ruolo svolto dal vescovo Gianfranceschi nella gestione di quell'impresa. Ho conosciuto o riscoperto lo zelo di questo vescovo e ripercorso, in particolare, la sua personale conversione ai tempi e ai contenuti del Vaticano II. Con crescente sorpresa e ammirazione ho avuto modo di leggere e talora meditare tanti suoi scritti, di seguire lo sviluppo di svariate vicende non sempre gratificanti, anzi talvolta spinose e dolorose. "Non mi sono mai pentito di essere prete - confidava - ma più di una volta mi sono rammaricato di essere vescovo".

Di tutte le pagine scritte da Gianfranceschi, in relazione all'argomento che è stato oggetto della mia ricerca, mi hanno particolarmente colpito le Lettere dal Concilio. Avere avuto il dovere e la possibilità di leggerle tutte e più volte si è rivelata un'opportunità rara, ora che quei testi sono disseminati in raccolte di periodici accessibili solo a prezzo di una discreta dose di pazienza. Così ho pensato che l'avere di fatto già curato per me la raccolta completa delle Lettere poteva avere un seguito nel metterle a disposizione di altri, a loro volta interessati all'argomento o incuriositi e spinti ad interessarsene dalla stessa possibilità offerta. Si tratta di una raccolta completa e verificata delle Lettere dal Concilio. Il criterio della selezione ricalca quello adottato da Gianfranceschi stesso nel Giornale di servizio, riassumibile nello slogan "non tutte le lettere da Roma e non solo le lettere da Roma", bensì quelle riguardanti in maniera diretta e significativa il concilio Vaticano II.
Le lettere ammontano a quarantaquattro contro le quaranta - in realtà trentanove - elencate da Gianfranceschi. Questa scelta risponde a criteri soggettivi in certa misura opinabili; ma questo non è che un dettaglio all'interno della complessa chiave di lettura di tutto l'evento. Infatti la stessa interpretazione del concilio in tutte le sue fasi pone il problema dell'ermeneutica in termini molto seri. Il mio punto di osservazione, in ogni caso, sui fonda su quella che intende essere una lettura ecclesiale, secondo un'ermeneutica della continuità e della riforma (e non della discontinuità e della rottura - la distinzione e la terminologia sono di Ratzinger), che cerca e legge il rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa.

La celebrazione del concilio ecumenico Vaticano II, l'attuazione delle indicazioni pastorali contenute nei suoi 16 documenti e l'applicazione delle successive disposizioni emanate dalla Santa Sede o formulate nell'ambito della Conferenza Episcopale Italiana trovano il loro perno nella personalitò e nel servizio pastorale di Augusto Gianfranceschi, vescovo a Cesena dal 1957 al 1977. Tale riferimento è essenziale e va messo subito in evidenza proprio nella consapevolezza che egli non fu l'unico vescovo impegnato in questa opera. E se, da un lato, la storia di un episcopato può essere facilmente ricondotta alla storia di un vescovo le cui scelte e direttive talora riescono a modellare il volto di una diocesi con effetti che durano nel tempo, dall'altro è fin troppo ovvio che gli intenti, gli intereventi e le azioni di un vescovo riguardano solo un aspetto, per quanto fondamentale, della vita di una Chiesa.

Oltre a quello di Gianfranceschi va ricordato il ministero episcopale di Carlo Bandini, che resse la diocesi di Sarsina fino al 1968 e quello di Abele Conigli, vescovo di Sansepolcro dal 1963 al 1967. Solo il 3 settembre 1968, infatti, Gianfranceschi divenne amministratore apostolico della diocesi di Sarsina che fu unita a Cesena in persona episcopi il 24 maggio 1976. La diocesi unica di Cesena-Sarsina esiste dal 30 settembre 1986. Quattordici parrocchie della diocesi di San Sepolcro furono unite a Cesena con il decreto del 7 ottobre 1975 (nel comune di Bagno di Romagna: Bagno di Romagna, Crocesanta, Larciano, Montegranelli, Paganico, Selvapiana, San Piero in Bagno, San Silvestro, Valgianna, Vessa; nel comune di Verghereto: Alfero, Donicilio, Mazzi, Riofreddo).
Si devono menzionare anche gli episcopati di Luigi Amaducci e di Lino Garavaglia, successori di Gianfranceschi rispettivamente negli anni 1977-1990 e 1991-2003; fu il vescovo Garavaglia a indire e celebrare il primo sinodo della diocesi di Cesena-Sarsina, che ho scelto come riferimento conclusivo di questa verifica (la pubblicazione del Libro sinodale porta la data del 25 marzo 1999).

Lo svolgimento del concilio e il patrimonio dei suoi documenti trovano una prima vera e propria guida alla lettura nella seconda Assemblea generale straordinaria del sinodo dei vescovi, in sessione dal 24 novembre all'8 dicembre 1985 sul tema: Il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II.
Anche il Convegno di studio sull'attuazione del concilio ecumenico Vaticano II, promosso dal Comitato centrale del grande giubileo dell'anno 2000 svoltosi nell'aula del sinodo, in Vaticano, dal 25 al 27 febbraio 2000 fu importante. Nel suo discorso conclusivo di questa seconda verifica, Giovanni Paolo II affermava che l'insegnamento conciliare "richiede una conoscenza sempre più profonda. All'interno di questa dinamica, comunque, è necessario che non vada persa la genuina intenzione dei Padri conciliari; essa, piuttosto, deve essere recuperata superando interpretazioni prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità del Magistero conciliare. (...) Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura col passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di sempre,è decisamente fuorviante".

La prospettiva ermeneutica come tale, e in base a questa un bilancio sintetico del concilio a quarant'anni dalla sua conclusione, furono oggetto del celebre discorso di Benedetto XVI alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, giovedì 22 dicembre 2005: "E' proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma. Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa". "I problemi della ricezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa".

E'proprio questo l'orizzonte interpretativo dal quale non è possibile, in questa sede, prendere le distanze, nella piena consapevolezza che il cantiere dell'attuazione del Vaticano II è ancora aperto e che la sua celebrazione è stata, in ogni caso, un evento provvidenziale per la Chiesa e per l'intera umanità come autorevolmente sintetizzò Giovanni Paolo II al n. 57 della Novo millennio ineunte: "A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre". Neppure pesanti effetti collaterali, come quelli indicati dall'allora card. Ratzinger in un intervento dell'8 marzo 2000 ("Il secondo Concilio Vaticano ha comportato un enorme turbamento nella Chiesa cattolica come pure in tutta la cristianità. Personalmente ritengo che, fino a quando questo disagio non sarà del tutto superato, un altro intervento di questa natura comporterebbe attualmente più travaglio che miglioramento") possono oscurare il valore del concilio e il giudizio storico sulla sua opportunità.


2. INDIZIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

Nell'omelia per la beatificazione di Giovanni XXIII (27 febbraio 2000) Giovanni Paolo II ricordava che "La ventata di novità da lui portata non riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo era lo stile nel parlare e nell'agire, nuova la carica di simpatia con cui egli avvicinava le persone comuni e i potenti della terra. Fu con questo spirito che egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, col quale aprì una nuova pagina nella storia della Chiesa: i cristiani si sentirono chiamati ad annunciare il Vangelo con rinnovato coraggio e con più vigile attenzione ai "segni" dei tempi. Il Concilio fu davvero un'intuizione profetica di questo anziano Pontefice che inaugurò, pur tra non poche difficoltà, una stagione di speranza per i cristiani e per l'umanità.

Mons. Gianfranceschi era stato vescovo ausiliare del cardinal Roncalli a Venezia per quattro anni, dal 1953 al 1957, allorché fu trasferito alla cattedra di san Mauro in Cesena. Quando il 28 ottobre 1958 Roncalli fu eletto papa, appena appresa la notizia ci fu chi poté cogliere, in tempo reale, recandosi con comprensibile eccitazione in episcopio dall'adiacente seminario, la prima reazione di Gianfranceschi, tutt'altro che entusiasta: "State sicuri che Roncalli a nessuno pesterà i calli".

Altrettanto fredda e compassata - e tale reazione non sfuggì allo stesso papa - fu l'accoglienza del collegio cardinalizio il 25 gennaio 1959 in San Paolo fuori le mura quando Giovanni XXIII annunciò il concilio. Secondo lo storico G. Martina è certo che l'idea "affacciatasi immediatamente dopo l'elezione, già alla fine di ottobre, maturò nei mesi di novembre, dicembre e gennaio, durante i quali papa Giovanni ne parlò con il suo segretario particolare mons. Capovilla, con qualche altro intimo, con pochissimi prelati di curia.
Lo stesso segretario di Stato Card. Domenico Tardini venne a conoscenza del proposito solo il 20 gennaio, quando il pontefice aveva già irrevocabilmente deciso l'iniziativa ed aveva steso il primo abbozzo del discorso ai cardinali del 25 gennaio seguente. E' noto l'atteggiamento riservato se non proprio contrario mostrato dai porporati presenti a S. Paolo il 25 gennaio 1959: l'ipotesi di un papato di transizione si mostrava fallita. Ai cardinali non restava ormai che allinearsi al fatto compiuto, come si verificò più o meno rapidamente".

"Papa di transizione" non è un'etichetta ipotetica coniata da osservatori esterni, ma un'espressione ben familiare allo steso pontefice come si legge nel suo Giornale dell'anima: "Quando il 28 ottobre 1858 i cardinali della santa Chiesa romana mi designarono alla suprema responsabilità del governo del gregge universale di Cristo Gesù, a settantasette anni di età, la convinzione si diffuse che sarei stato un papa di provvisoria transizione. Invece eccomi già alla vigilia del quarto anno di pontificato, e nella visione di un robusto programma da svolgere in faccia al mondo intero che guarda e aspetta. Quanto a me mi trovo come San Martino: "nec mori timuit, nec vivere recusavit"".

Sorpreso come e forse più degli altri fu il suo ex ausiliare che però prontamente messosi in sintonia e sinceramente partecipe fin dalla prima ora dell'evento conciliare, venticinque anni dopo la sua apertura così ne rievocava gli esordi:
"Reputo una grazia l'essere vissuto per circa quattro anni vicino al Card. Roncalli, Patriarca di Venezia (1953-1957). Non credo che allora egli pensasse ad un concilio e, tanto meno, ad essere lui ad indirlo, sebbene quei semi di cui il concilio avrebbe rivelato tutta la pregnanza e quella apertura della Chiesa sul mondo e al mondo (il riconoscimento e il diritto alla libertà religiosa, l'aggiornamento della Chiesa, il suo "balzo innanzi", la fermezza nell'integrità della fede con la possibilità di adattarne la espressione, l'accettazione dell'equilibrato pluralismo e la passione ecumenica con la fedeltà alla santa dottrina e alla buona tradizione) fossero le grandi idee in lui maturate attraverso la lunga esperienza acquistata in Oriente e in Occidente, radicata nell'"humus" del suo felice temperamento, del suo equilibrio e nella serena fiducia nella azione dello Spirito Santo "in humilitate et simplicitate cordis". Sul settimanale diocesano Corriere Cesenate il vescovo Augusto Gianfranceschi racconta come ricorda l'inizio del concilio a 25 anni di distanza. (CC n. 36, 24 ottobre 1987, p. 7).

Che poi il concilio si sia rivelato impresa ben più ampia di quella immaginata fu la prima scoperta dello stesso papa Roncalli che la vigilia dell'Assunta del 1961 annotava "il vastissimo movimento di proporzioni imprevedute ed imponentissime del Concilio ecumenico".
Anche il vescovo Gianfranceschi avvertì e manifestò il peso del protrarsi dei lavori in diverse circostanze. Nella lunga lettera dal concilio del 29 novembre 1963, "a pochi giorni di distanza dalla storica votazione della costituzione "de Sacra Liturgia" la prima, lungamente discussa e triturata in Aula, con pazienza e saggezza rielaborata dalla Commissione e finalmente approvata, quasi all'unanimità, dai Padri Conciliari" egli dubita perfino, con una certa mestizia, di riuscire a vedere la conclusione del concilio: "Del lavoro previsto per il Concilio il più resta ancora da fare. Non so se ritornerò alla prossima Sessione: una ventina di Padri, durante questi due mesi, hanno conchiuso il loro pellegrinaggio e sono giunti alla Chiesa celeste: i loro nomi venerati risuonavano nell'Aula all'inizio delle congregazioni seguiti dalle preghiere di tutti i confratelli".

Mi è sembrato opportuno soffermarmi su questa prima ricezione mentale del vescovo Gianfranceschi nei confronti del Vaticano II perché, come ebbe egli stesso più volte l'umiltà di ammettere, per quanto tempestiva e senza ripensamenti, la sua fu una vera e propria conversione al concilio. Si può anche aggiungere che, come per tanti convertiti, il successivo entusiasmo durante lo svolgimento delle sessioni romane e lo zelo nella fase di attuazione riuscirono a coinvolgere per molti aspetti tutta la sua Chiesa. La sua conversione, infine, riguardò anche alcune importanti questioni di contenuto, come quella relativa alla "collegialità: per lui i vescovi erano da intendersi come i "prefetti" del papa. Solo un poò alla volta egli assimilò il concetto di "Collegio" e non dovette certo apparirgli superflua la Nota esplicativa previa posta in calce alla costituzione Lumen Gentium.


3. LA FASE PREPARATORIA

"Dopo l'annuncio del Concilio - ero già a Cesena da circa due anni - dietro richiesta della Commissione Centrale, ho diligentemente steso la lettera con le mie umili proposte, come era stato richiesto a tutti i vescovi. Con la parola e con gli scritti e, soprattutto, con la preghiera la comunità diocesana è stata interessata al Concilio".
Quella della comunicazione è stata da sempre una viva preoccupazione di Gianfranceschi, come documentano in particolare i suoi interventi a favore della promozione della stampa cattolica; e se insieme alla costituzione Sacrosanctum Concilium il primo documento ad essere approvato fu l'Inter mirifica, bisogna prendere atto che fu lo stesso concilio a dare questo segnale.
Non ho trovato riscontri sul ruolo giocato da radio e televisione negli anni del concilio: forse questa è solo una curiosità, ma non del tutto banale, credo. Le immagini e le parole registrate la sera dell'inaugurazione del concilio - la sera del discorso con l'accenno alla luna, l'invito della carezza ai bambini, del conforto ai malati, i toni della speranza - evocano ancora oggi qualcosa che forse va oltre la pura emotività. La stampa fu senza dubbio protagonista e proprio dalle pagine della Voce con le sue Lettere dal concilio Gianfranceschi ebbe modo di rispondere ben più che ad un'esigenza di informazione: la sua fu vera sensibilizzazione e volontà di ampio coinvolgimento.
Di qualcuna delle sue lettere o comunicazioni il vescovo chiedeva che si desse lettura in una determinata domenica, al termine di ogni Messa. E' vero che ad essere raggiunti in tal modo erano direttamente i praticanti, ma questa forma capillare mi sembra di grande rilievo e sul piano numerico non va dimenticato l'alto numero di fedeli così contattati. Se anche grazie al concilio raddoppiò in pochi anni il numero degli abbonati a L'Avvenire d'Italia (circa 600), nella relazione quinquennale del 1966 si sottolinea come il settimanale La famiglia cristiana avesse una diffusione di 15.000 copie entrando così nelle famiglie per una media del 30 per cento.

Riuscì certamente a creare un forte senso di attesa, ma fu ovviamente ben più di un mezzo informativo, la diffusione della preghiera per il concilio, che la Sacra Penitenzieria Apostolica aveva arricchito di indulgenze (plenaria una volta al mese se recitata ogni giorno). Larga e sentita accoglienza ebbe questo invito del papa in tutte le comunità parrocchiali della diocesi, fin dall'inizio del 1960, e in particolare la pronta adesione dei seminaristi notificata al pontefice dal vescovo ebbe riscontro in un cordiale messaggio fatto pervenire a nome del papa dal cardinale Tardini.
L'annuale festa del papa, fissata nella diocesi di Cesena alla terza domenica di Quaresima, diventava occasione privilegiata per pregare per le sue intenzioni, prime fra tutte quelle riguardanti il concilio.
In seguito alla pubblicazione dell'enciclica Paenitentiam agere, apparve chiaro che alla preghiera doveva aggiungersi la penitenza. Varie disposizioni relative alla penitenza venivano indicate nella lettera del 3 agosto 1962 tra cui digiuno e astinenza alla vigilia dell'Assunzione.
Rispondendo a questo appello le direzioni di quasi tutte le colonie di Cesenatico prepararono i fanciulli a celebrare una giornata di preghiere e sacrifici in preparazione al concilio. Celebrata la giornata, furono i fanciulli stessi a darne relazione con le loro lettere al S. Padre che rispose per mezzo della Segreteria di Stato a firma del sostituto Angelo Dell'Acqua.
Va notato che in seguito questo fervore di preghiera andò attenuandosi. Già l'anno successivo, nella lettera del 27 settembre 1963, Gianfranceschi scriveva: "Non possiamo dire che il lungo intervallo dalla fine della I Sessione ad oggi abbia favorito l'interesse del popolo per il Concilio" tra i fedeli, almeno qui da noi, non si è notato - e diciamolo pure, nemmeno promosso - quel fervore di preghiere e di altre forme di partecipazione che pure avevano preceduto la prima sessione. Spero che la stampa (...) ridesterà in tutti l'interesse per il grande avvenimento".

Domenica 7 ottobre, dopo la Messa celebrata in cattedrale alle ore 17, il vescovo in partenza per Roma fu salutato dalla città. Alle 18 suonarono le campane di tutte le chiese della diocesi e alla porta della cattedrale fu il sindaco Antonio Manuzzi a rivolgere l'indirizzo ufficiale di saluto.
Il vescovo fu accompagnato da un corteo di auto fino ai confini della diocesi, a Gualdo, ricevendo lungo il percorso il saluto e l'augurio della popolazione nelle frazioni di San Mauro, Tipano, San Vittore, San Carlo e Borello. I sacerdoti avevano fatto dono al vescovo di un bel calice da usare durante la permanenza a Roma a significare la presenza spirituale di tutta la Chiesa cesenate.
Il governo della diocesi era stato affidato al vicario generale coadiuvato dal direttore dell'Ufficio amministrativo. Presso le organizzazioni dei laici era stato designato a rappresentare il vescovo mons. Lino Mancini, al quale competeva anche la promozione di tutte le iniziative di partecipazione della diocesi allo svolgimento del concilio, unitamente a mons. Tonti e ai laici Vittorio Farabegoli e Giuseppe Andreucci.


4. IL MEMORIALE PER I SACERDOTI CESENATI

"Gli anni trascorsi al suo servizio (Papa Giovanni) mi hanno giovato ad aprirmi al Concilio "ante litteram" e ad assecondare la mia tendenza a non chiudermi alle novità e, qualche volta, a modestamente anticiparle. Me lo riconosceva sorridendo anche Papa Giovanni il quale, degnandosi "comparare minima maximis", ricordava il Sinodo di Venezia che egli, accettando la mia proposta, aveva deciso di indire e per il quale mi aveva incaricato di stendere lo schema rimesso nelle sue mani quando sono passato a Cesena".

Quello del sinodo fu per due volte il sogno frustrato di Gianfranceschi. L'aveva suggerito a Venezia e ne aveva predisposto lo schema ma si ritrovò a Cesena. Qui, terminata la sua prima visita pastorale "Siamo stati attenti all'azione pastorale di Diocesi più progredite, quelle che oggi si chiamerebbero Diocesi pilota" nella direzione di un sinodo diocesano: "Infatti ci eravamo proposti di convocarlo dopo la S. Visita, sennonché avendo il S. Padre manifestato la sua volontà di indire il Concilio Ecumenico, ci siamo chiesti se non sarebbe stato più conveniente attendere le decisioni conciliari per conformarci ad esse.

Non so quanta e quale novità si attendesse Gianfranceschi dalle decisioni conciliari. Non è motivo di sorpresa che, come tutti i vescovi, pensasse ad un concilio di breve durata e che in fondo condividesse l'intento dello stesso papa Giovanni di una riforma nel sistema. Lo stesso Paolo VI, nella sua allocuzione alla CEI del 1964 parlando del concilio ammetterà: "Voi vedete che grande avvenimento esso sia, voi conoscete la gravità e la complessità che esso presenta e che solleva in crescente misura a mano a mano che il Concilio procede. Il fatto stesso della sua lentezza a raggiungere plausibili conclusioni genera qualche stanchezza, qualche impazienza, qualche arbitraria previsione".

Le 283 proposizioni ordinate secondo dieci titoli, che compongono il Memoriale per i sacerdoti cesenati, pubblicato in data 1° marzo 1962, hanno tutte le caratteristiche di un libro sinodale, benché più modestamente lo stesso Gianfranceschi ne precisi l'indole: "Non è un trattato di pastorale, né un direttorio, né un vero e proprio corpo di leggi; è, vi ripeto, come il memoriale di quanto, in questo quinquennio di comune lavoro, siamo andati dicendo e facendo e di quanto desidererei che tutti esperimentassimo".
Senza le prospettive inattese che il Vaticano II aveva in serbo, il Memoriale nasceva oggettivamente vecchio, come lo sarebbe stato un sinodo concepito verosimilmente ancora alla maniera tridentina. Ma si deve anche prendere atto che molti aspetti di novità presenti nel Memoriale precorrono il concilio o forse meglio ne rivelano l'anima emergente e crescente già nella fase della sua preparazione. Non è escluso che il materiale preparatorio inviato in visione ai vescovi, come servì a Gianfranceschi quale traccia per insegnamenti e omelie (che duravano anche 45 minuti, tutte scritte), abbia ispirato e sia confluito in varie parti del Memoriale.

Il Memoriale fu inviato al Santo Padre che fece pervenire al vescovo Gianfranceschi per mezzo del sostituto Dell'Acqua un segnale di apprezzamento non formale.
Il Memoriale divenne la traccia di riferimento della seconda Visita pastorale (Visita del concilio o Visita breve, come venne chiamata da Gianfranceschi) e non ebbe alcun aggiornamento successivo, nell'attesa che i tempi maturassero per un sinodo diocesano vero e proprio al quale affidare la traduzione locale delle grandi direttive conciliari.
Le Lettere pastorali preparavano intanto il terreno in questa direzione. Presentata anche nel titolo come un modesto apporto all'attuazione del concilio, la lettera pastorale "Contributo all'aggiornamento di strutture e di metodi pastorali" del 22 agosto 1966 è in realtà una prima sintesi di notevole spessore e manifesta la chiara volontà di Gianfranceschi di procedere con decisione sulla strada delle riforme. Queste le prime battute della conclusione: "Abbiamo coscienza di poter dire che noi non auspichiamo l'affossamento del Concilio. Con le nostre modeste forze noi attendiamo alla prudente ma genuina e rapida sua attuazione".
Ancora più chiaramente tale intento troverà espressione nell'organico disegno della lettera pastorale "Parrocchia-Comunità della Quaresima 1969 introdotta dalle parole programmatiche di Paolo VI "la Chiesa ora si ricompone nelle nuove norme che il Concilio le ha dato" una novità le qualifica, quella della accresciuta coscienza della comunità ecclesiale, della sua meravigliosa compagine, della maggiore carità che deve unire, attivare, santificare la comunione gerarchica della Chiesa". Gianfranceschi si accinge alla sua impegnativa esposizione con la consueta umiltà:"è per portare il mio modesto contributo alla realizzazione della "novità" preconizzata dal Papa che vi presento queste semplici note".
L'attenzione alla "novità di impostazione della pastorale parrocchiale, compendio emblematico di ogni progetto pastorale, non verrà mai meno in Gianfranceschi, come dimostra la sua ultima lettera su questo argomento, "La comunità parrocchiale nella prospettiva del 2000, presentazione della quarta Visita pastorale che egli non riuscì ad ultimare per la sopravvenuta scadenza del mandato.


5. LO SVOLGIMENTO DEL CONCILIO

Gli animatori non solo diligenti ma, bisogna dire, entusiasti del coinvolgimento diocesano all'avventura conciliare furono lo stesso Gianfranceschi (da Roma durante le sessioni attraverso le sue Lettere dal concilio e in diocesi, ad ogni rientro, attraverso tempestive iniziative di attuazione) e mons. Lino Mancini, vero maestro di varie generazioni di laici e prima ancora autorevole riferimento per lo stesso clero (non si contano le scuole, i corsi e le conferenze messe in opera per impulso di don Lino, tese a divulgare senza indugio la rinnovata visione ecclesiologica del concilio e i contenuti dei vari documenti man mano che venivano approvati e pubblicati).

Le 44 Lettere dal concilio meriterebbero uno studio approfondito. Sono tutt'ora ricordate dai sacerdoti più anziani come un appuntamento di grande impatto. La preoccupazione informativa non era assente, ma il vescovo rimandava per questo alla stampa, raccomandando in particolare L'Avvenire d'Italia e il settimanale La Voce sul quale le sue lettere venivano pubblicate. L'ordinario proposito era quello di "mettere in rilievo questo o quello dei momenti religiosi della vita diocesana", ma visti e sentiti sempre alla luce di quanto nel concilio veniva emergendo.

Più che le molteplici novità che egli pure non mancava di sottolineare era una prospettiva nuova di Chiesa che veniva colta dal vescovo come importante e tale da richiedere disponibile accoglienza. Il 29 novembre 1963 Gianfranceschi scrive: 2Ma quanta luce non è già emanata dal Concilio! Quali effetti possiamo fin d'ora intravedere! La riforma liturgica, l'evoluzione della dottrina dell'Episcopato in rapporto alla Chiesa Universale e agli organi del governo ecclesiastico e al suo Capo; la posizione dei laici nella Chiesa, i loro diritti e doveri, le loro responsabilità; l'universale vocazione alla santità; i rapporti della Gerarchia e dei fedeli con i fratelli cristiani diversamente adunati; la vera situazione del popolo giudaico di fronte al cristianesimo e la sua liberazione da pesantissime accuse; la proclamazione dei diritti alla libertà religiosa e finalmente l'atteggiamento della Chiesa di fronte ai così detti strumenti di diffusione. Non tutto questo ricchissimo dottrinale è stato definitivamente pronunciato e suffragato, quanto però è stato detto e fatto basta a destare il più vivo interesse e l'ammirazione, la riconoscenza e l'aspettazione degli ulteriori sviluppi, nel mondo intero; basta a metterci in faccia ad un'era nuova per la Chiesa e per 1'umanità.

Le prevedibili opposte fatiche non si erano fatte attendere: "le reazioni dei così detti immobilisti contrari a qualunque innovazione come se costituisse un pericolo per la esistenza della Chiesa e degli altri che, sfiduciati o spregiatori di tutto ciò che è tradizionale, apprezzano soltanto le novità ed arriverebbero perfino "ad intaccare cose e forme essenziali e intangibili della Chiesa, come se si dovesse cominciare oggi a costruirla" (Paolo VI)".

Il cuore della novità era ecclesiale e veniva individuato, in particolare, nel superamento di un duplice dualismo che aveva segnato la Chiesa al suo interno e nel rapporto col mondo. Nelle categorie della comunione e della missione si concentrava ora l'identità della Chiesa.
Rivolgendosi ai sacerdoti forlivesi mons. Mancini sintetizzava così la sua convinzione: "Dopo diversi tentativi e fatiche, il Concilio ha ritrovato un'unità di fondo proprio sul tema della Chiesa". "Il Concilio Vaticano II (...) ha superato due forme di dualismo: un dualismo interno per così dire alla Chiesa, cioè dualismo tra gerarchia e gli altri fedeli" e poi il dualismo Chiesa-mondo. Dopo aver rimarcato la collocazione del capitolo III dopo quelli sulla Chiesa mistero e sul Popolo di Dio che "contiene un discorso indirizzato indistintamente a tutti i fedeli laici, religiosi, sacerdoti, vescovi, papa", ritiene importante che "attraverso una sottolineatura fortissima della struttura battesimale della Chiesa, cioè della struttura di comunione, si siano fatte delle affermazioni così chiare e quindi siano state poste le premesse anche per una conversione della nostra psicologia e della nostra mentalità. Anche se per quelli meno giovani di noi questa fatica è piuttosto grossa, dobbiamo accettarla con umiltà, con pazienza, con lealtà".

Anche il superamento del dualismo Chiesa-mondo "sotto molti aspetti era veramente un fatto nuovo, perché per molti secoli la Chiesa era stata di fronte a un mondo che era cresciuto fuori di lei e spesso anche contro di lei". Ora il mondo si sentiva interpellare: "Lo sappia il mondo: la Chiesa lo guarda adesso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito, non di conquistarlo, ma di valorizzarlo, non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo".

Non dimentichiamo che il dna della concezione rinnovata di Chiesa del Vaticano II si legge proprio al n. 2 del primo documento, la Sacrosanctum Concilium.
"E' la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati" SC 2.

Anche a Cesena-Sarsina le prime novità percepite e le prime riforme attuate riguardarono la Liturgia e a questo tema andrà dedicato un apposito paragrafo. Ma la collocazione della Sacrosanctum Concilium - prima delle quattro costituzioni conciliari - non esprime semplicemente in nuce una concezione ecclesiologica grezza che si sarebbe sviluppata in seguito fino a maturare nella Lumen Gentium; indicava, in realtà, la chiara volontà del Vaticano II di inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio e se la formula "Popolo di Dio" assunse in seguito tanto rilievo fu per una lettura fatta "assai presto totalmente a partire dall'uso linguistico politico generale della parola "popolo", sempre più in termini sociologici, fino a toccare il senso della sovranità del popolo", in una rapida dimenticanza, per stare al linguaggio dell'ordine dei capitoli, proprio del primo capitolo della Lumen Gentium sul Mistero della Chiesa (Questa è la tesi illustrata dal card. Ratzinger nel suo intervento sull'ecclesiologia della costituzione Lumen Gentium al convegno internazionale sull'attuazione del concilio ecumenico Vaticano II promosso dal Comitato del grande giubileo dell'anno 2000; domenica, 27 febbraio 2000)

Questo appare nitidamente a Cesena-Sarsina nel non semplice, talora tormentato cammino di costituzione e di attività degli organismi di partecipazione, in particolare dei Consigli pastorali sia a livello diocesano che parrocchiale. Questo è ugualmente alla base del fenomeno del dissenso cattolico che ha registrato, anche nella nostra diocesi, qualche sporadica adesione con relativi accenni di manifestazione.

La diocesi di Cesena chiudeva il tempo dedicato al concilio ecumenico Vaticano II e inaugurava l'epoca della traduzione dei documenti conciliari con una solenne concelebrazione presieduta dal vescovo Gianfranceschi, domenica 12 dicembre 1965, in cattedrale. Erano stati convocati i sacerdoti e i laici più impegnati, con in prima fila i presidenti delle associazioni del mondo cattolico organizzato, ai quali fu consegnata dal vescovo una copia del decreto Apostolicam Actuositatem, sull'apostolato dei laici.


6. IL RINNOVAMENTO LITURGICO

La Messa celebrata in lingua italiana dal sacerdote che non gira più le spalle all'assemblea ma l'ha davanti a sè, al di là dell'altare che richiama più una tavola che non un'ara. Questi primi immediati segnali della riforma liturgica furono immediatamente percepiti nella loro semplicità, come arrivati all'appuntamento dopo un ritardo durato fin troppo a lungo.

"Avremo pluralità di forme liturgiche secondo la diversa natura e le esigenze dei popoli" Ciò comporta innanzi tutto l'introduzione delle lingue parlate (e ormai la Chiesa ha già fatto tante concessioni particolari in questa materia) nelle parti didattiche della Liturgia, come le lezioni dell'Antico e del Nuovo Testamento che saranno bene scelte, varie ed abbondanti ... Più naturale sarà la posizione del sacerdote o del ministro che si rivolgerà veramente al popolo quando leggerà per esso; ché, diciamolo pure, non è conveniente voltargli le spalle quando si parla con uno" Qualche parte verrà aggiunta alla Messa e qualche parte abbreviata o soppressa. Certo è che le Messe lampo o alla cacciatora preferite da alcuni cristiani, non dovranno esistere più; e nemmeno cristiani che stiano fuori alla porta in attesa che il sacerdote "la smetta di parlare" per entrare in chiesa appena appena in tempo perché la Messa "sia buona", né cristiani che in fondo la chiesa, più in fondo possibile, o in sacrestia, come si usa ancora presso di noi in qualche parte, cercano di ingannare il tempo meno peggio che possono, in attesa di quel benedetto "ite Missa est" che non viene mai. Queste sono parodie di culto, altro che conscia, pia, actuosa, fructuosa partecipatio!" (Gianfranceschi, Lettera del 5 dicembre 1962).

Il 13 novembre precedente aveva scritto: "Le determinazioni in questa materia verranno più tardi. Ora non le conosciamo. Certo è che ci impegneremo tutti, sacerdoti e laici, a progredire per la strada per la quale la nostra diocesi è già incamminata".
Questo "già incamminata" non deve sembrare frutto di supponenza: Gianfranceschi era un appassionato di Liturgia ed era già un po' dentro a questo spirito da tempo e molto aperto alla novità. Ricordava che a Venezia lo tacciavano come uno che "sa di Nord", cioè di aria protestantica. Ma ora quasi se ne vantava. Era molto "schusteriano", conosceva Guardini, conosceva Maria Laach. Lui che aveva studiato diritto "era più nella liturgia, per la Parola di Dio, per la vita pastorale".
L'amore per la liturgia l'accompagnò fino ai suoi ultimi giorni quando, divenuto oblato benedettino, trascorreva le sue giornate al monastero di S. Maria del Monte immerso nella meditazione di quella che il concilio aveva chiamato culmine e fonte della vita della Chiesa. Il vescovo Bertozzi ricordava "quel suo incedere con solennità e precisione di gesti nella varietà dei riti e nelle tante forme di culto; dopo averlo ascoltato nel canto gregoriano, che rivelava tutta la sua interiore partecipazione e commozione, ci rimane del vescovo Augusto dominate su ogni altra immagine quella del pontefice"
.
Gianfranceschi stimava e seguiva molto Lercaro. Nel 1968 lo chiamò a predicare gli esercizi spirituali ai preti, in coincidenza con l'inaugurazione dell'albergo Fumaiolo. Lercaro espose le meditazioni contenute nel volume La Messa nelle nostre mani. I sacerdoti più giovani avevano conosciuto e stimato l'arcivescovo di Bologna durante i loro studi al seminario regionale; furono loro in tal modo i più pronti ad accogliere la riforma liturgica conciliare.

La rinnovata celebrazione della S. Messa e quella dei vari Sacramenti incontrò un'accoglienza entusiasta anche in molti laici. I testi della Sacra Scrittura e dei Padri diventarono più familiari, la preghiera liturgica (la recita delle Lodi, dei Vespri, della Compieta) conquistò e divenne appuntamento stabile di molti giovani.
Forse va rimarcato quello che il card. Ratzinger ha considerato un errore di prospettiva: "La Costituzione sulla liturgia non fu più compresa a partire da questo fondamentale primato dell'adorazione, ma piuttosto come un libro di ricette su ciò che possiamo fare con la liturgia. Nel frattempo ai creatori della liturgia sembra che sia uscito di mente, occupati come sono in modo sempre più incalzante a riflettere come si possa configurare la liturgia in modo sempre più attraente, comunicativo, coinvolgendovi attivamente sempre più gente, che la liturgia in realtà è "fatta" per Dio e non per noi stessi. Quanto più però noi la facciamo per noi stessi, tanto meno attraente essa è, perché tutti avvertono chiaramente che l'essenziale va sempre più perduto" (27 febbraio 2000).

Questo spiega dunque l'aspetto più serio delle resistenze che la riforma liturgica incontrò.
La reazione di immobilisti e tradizionalisti era facile da prevedere; � meno facile ancora oggi spiegarcela in coloro che vivevano e amavano profondamente, anche per speciale vocazione, l�azione liturgica. �L�odierna pastorale, e cio� il metodo dell�azione che i pastori delle anime vostre compiono per voi, consiste soprattutto in una rivalutazione dell�Anno Liturgico, un toglierlo dal museo � per usare l�immagine di papa Giovanni � in cui purtroppo era stato riposto, per ricollocarlo, come fontana zampillante, sulla piazza del villaggio alla quale tutti vengano ad attingere e a dissetarsi�.

Ebbene non si pu� certo dire che una comunit� monastica come quella benedettina del monastero di S. Maria del Monte costituisse un museo liturgico. Infatti i passi della riforma conciliare trovavano puntualmente riscontro in una convinta accoglienza dei monaci, come possiamo leggere sulle colonne del loro bollettino: �Incominciano le novit� liturgiche, e non finiranno tanto presto. Ci� non significa che quel che si faceva prima fosse sbagliato; andava tutto bene, per� adesso andr� anche meglio�. Gi� due anni prima, alla vigilia del concilio, le innovazioni nella Messa non sorprendevano la comunit� monastica (�Cose semplici e ragionevoli, ma che hanno il grave torto di comparire delle novit�, pur essendo antiche e, quel che � peggio, di allungare di un minuto o due la celebrazione!�).
�Deve scomparire la situazione tradizionale di un sacerdote che all�altare, o al battistero, o presso il letto d�un malato, o in un rito nuziale o funerale, borbotta o grida, o canta per conto suo cose incomprensibili, e un uditorio che non ci bada, e pensa a tutt�altro, sta distratto, irriverente o, nella migliore delle ipotesi, dice il rosario o legge un libro devoto che non ha niente a che vedere col sacro rito che si sta celebrando. Il Sacro Concilio, cio� il Papa con pi� di duemila vescovi, ha deciso di regolare i riti sacri in modo da renderli pi� semplici, pi� chiari, pi� vantaggiosi per le anime�.
Dopo una puntuale ricognizione delle caratteristiche peculiari del Vaticano II il testo continua: � Ci sono ora due pericoli, oltre quello della ostilit� dei nemici di Dio; il primo � di quelli che sono chiusi come le chiocciole o le tartarughe nel guscio delle loro abitudini o della loro pigrizia spirituale e che faranno il possibile per minimizzare le conseguenze del Concilio in tutti i campi: liturgico, sacerdotale, missionario, laicale, ecumenico, biblico ecc.
L�altro estremo, quello degli entusiasti, smaniosi di novit�, portati ad esagerare fino all�inverosimile le buone e sante novit� del Concilio. Gli uni e gli altri si proclameranno interpreti autorizzati e fedeli del pensiero della Chiesa, e saranno convinti che, uscito da San Pietro, lo Spirito Santo sia passato ad abitare nelle loro teste, rendendole ispirate e infallibili. A Concilio finito, di infallibile resta solo il Romano Pontefice, soltanto nei limiti definiti dal Concilio Vaticano primo. (�) A noi poi basta ringraziare il Signore per questa immensa grazia fatta alla sua Chiesa, e disporci con lealt�, e fiducia e generosa dedizione all�obbedienza, allo studio e al lavoro per la gloria di Cristo, il trionfo della sua Chiesa, la salvezza di tutta l�umanit�.
�Molti, troppi anche tra quelli che non dovrebbero, dimenticano che la Messa non � solo la Cena del Signore, ma anzitutto e soprattutto la rinnovazione del sacrificio della Croce per cui fummo redenti e questo lo dimostrano da piccoli particolari che stanno entrando in deplorevoli usi, preparando tempi peggiori�.
Non fu pertanto, quella dei benedettini cesenati, una pregiudiziale chiusura alle novit� del concilio, anche se tanti videro nell�abbazia la roccaforte di una liturgia incontaminata. L� il canto gregoriano continuava ad essere coltivato, le chitarre dei gruppi giovanili non avevano facile accesso. L� si poteva ancora partecipare ad una celebrazione in lingua latina quando altrove non ne era rimasta traccia e qualcuno era disposto a percorrere decine di chilometri per non perdersi questa opportunit�.
Anche la purificazione della piet� popolare, in particolare la collocazione della devozione mariana in un contesto pi� ecclesiologico e cristologico, non trovarono n� chiusura n� riserve nei custodi di uno dei santuari mariani pi� celebri della Romagna.
Ma altrettanto convinta si rivela la difesa della piet� autentica: �Ultimamente, in questa marea di ipercritica, di saccenteria, di malinteso, esagerato liturgismo, non � mancato chi ha voluto fare propaganda depressiva contro il Rosario, o chi ci ha voluto vedere quasi un nemico della purissima spiritualit� liturgica. Non spenderemo neppure una parola a confutare simile mentalit�.

�Durante le interruzioni delle congregazioni sono sempre ritornato in diocesi. Fu in occasione di uno di questi rientri che ho presieduto in Cattedrale alla prima concelebrazione eucaristica - avvenimento storico - concelebranti un vescovo colombiano e uno africano con qualche nostro presbitero. Il popolo vi ha preso parte con commosso interesse: alcuni l�hanno chiamata �messa dell�ultima cena��.
A venticinque anni di distanza Gianfranceschi rivive la forte emozione della Concelebrazione eucaristica. La prima a cui aveva assistito nell�aula conciliare era stata da lui descritta con accenti quasi lirici, il giorno dopo, nella lettera del 15 settembre 1964. Ma l�intensit� emotiva super� ogni limite in occasione della festa di Cristo Re del 1964, giorno dell�inizio dell�Anno Eucaristico, con la prima Concelebrazione della Santa Messa nella cattedrale di Cesena �alla presenza cara ed ambita di tre Vescovi: uno dell�Africa, l�altro della Cina, il terzo dell�India� efficace richiamo all�universalit� della Chiesa.
A parte questo solenne momento iniziale, la celebrazione del Congresso Eucaristico costitu� un�esperienza davvero unica per la diocesi: �Il momento culminante di questo periodo ventennale, � stato, a mio giudizio, il Congresso Eucaristico diocesano celebrato nel 1965, in cui la nostra Chiesa si � presentata veramente unita, fervida, spinta dallo Spirito alla missione presso i fratelli ridottisi ai margini, gi� avviata alla progressiva attuazione del Concilio�.

I luoghi di culto, le nuove chiese, la ristrutturazione di presbiteri, furono ben presto piccole-grandi imprese di tante comunit� e soprattutto di numerosi sacerdoti. Girare l�altare verso la gente divent� ben pi� di un luogo comune: risult� quasi un emblematico banco di prova, una cartina al tornasole della prontezza o della lentezza di fonte alla riforma; l�altare posticcio, leggero e rimovibile divent� in vari casi emblema di un�adesione con riserva o bandiera del diffusissimo e interdiocesano motto: �ultimo oggi, sar� il primo domani, quando si torner� indietro�.
Ma complessivamente la riforma fu accolta con grande prontezza e convinzione. Gianfranceschi osserva che �L�entusiasmo � generale: ne ho avuta l�impressione celebrando io stesso, durante il periodo di preparazione, almeno una trentina di Messe secondo il rito riformato. (�) posso dire che dovunque si fa il possibile per adeguarsi e ci si riesce�.


7. UNA NUOVA SENSIBILITA' PASTORALE

Sulla scia del rinnovamento liturgico, fu tutta l�azione pastorale a imboccare un cammino di verifica e di riforma. Si fece strada uno stile di semplicit� e di autenticit� che fece maturare in tanti l�esigenza di una maggiore sobriet� nei luoghi di culto o nei centri dei servizi pastorali dei nuovi insediamenti. Si pu� collocare questo aspetto all�interno della programmatica espressione �Chiesa dei poveri� che interpell� lo stile di vita del prete, la gestione economica delle parrocchie, le strutture in genere della Chiesa cattolica. Il consiglio presbiterale si occup� pi� volte di questo tema, cos� caro al card. Lercaro e da lui strenuamente sostenuto in concilio.

Il vescovo � sempre all�insegna di un dialogo non formale � dovette pubblicamente giustificare un programma di costruzioni in atto da anni (in tale circostanza egli stesso informa che le chiese di nuova costruzione sono sedici, due stanno per essere ultimate, quattro hanno solo locali di fortuna) rispondendo sulla stampa a domande sull�argomento: �Da taluni si contesta il �boom� delle costruzioni fatte nella nostra Diocesi in questi ultimi anni. In qual conto crede di poter tenere tale critica? Nella nostra diocesi sono state costruite troppe chiese, ce n�erano gi� tante. Era proprio necessario costruirle? Pare che in questi casi si dovrebbe prima costituire la comunit� cristiana, attendere che essa senta il bisogno della chiesa e di tutto il resto e quindi provvedere da s� alle costruzioni. Ammesso che un luogo di raccolta dei fedeli sia necessario, occorre sia proprio una chiesa e che questa sia grande, bella, artistica, lussuosa? La chiesa non darebbe pi� evidente testimonianza di povert� e di fiducia nei soli mezzi soprannaturali se avesse piccole e povere chiese o non ne avesse affatto? Quante centinaia di milioni sono stati profusi per costruire chiese? Non sarebbe stato preferibile costruire con quel denaro case popolari, scuole e ospedali? Non � distraente per il sacerdote, - tanto pi� per il vescovo - e quasi scandaloso occuparsi di acquisti, di pratiche, di costruzioni, di amministrazione a danno dell�orazione e della predicazione?�.

Il problema del lusso in chiesa e il dibattito sulla povert� dei mezzi della pastorale non si pu� certo limitare al decennio che segu� la chiusura del concilio� Allora per� fu pi� acuto e pi� sentito. Nessuno poteva tirarsene fuori, essendo questo uno degli aspetti pi� provocatori dentro quell�opera di aggiornamento che in gran parte significava ritorno alle origini, restauro nel significato morale pi� alto, recupero di semplicit� e autenticit� evangelica. (Nella rubrica Lettere al Corriere - CC n. 15 (17 aprile) 1971, p. 2 - il venerando monaco benedettino Bonifacio Borghini, che aveva da poco festeggiato il 50� di sacerdozio, si sent� in dovere di fare un forte intervento, non privo di classiche battute sul tema, citando le antiche basiliche �di solida ed artistica fattura� e decorate con mosaici che diventarono la Bibbia degli analfabeti. �Ne abbiamo esempi a Ravenna e voglio sperare che l�autore sconosciuto della (lettera firmata) non proponga di demolirle per sostituirle con tettoie�).

Il bisogno di prendere le distanze dalle pi� svariate forme di trionfalismo, come spesso accade, fin� per mettere in discussione davvero tutto. Non � solo il vescovo Gianfranceschi, ad esempio, a porsi la domanda se conservare la processione del Corpus Domini; parte addirittura dall�Istruzione Eucharisticum Mysterium n. 59 il richiamo a ponderarne bene l�opportunit� �nelle circostanze attuali� affinch� essa si svolga con dignit�. Il vescovo si pone seriamente il quesito e seriamente risponde. Nella lettera del 25 maggio 1969 tratta ampiamente la questione e giunge al nocciolo: �Dovendo io giudicare dell�opportunit� della processione del Corpus Domini che da circa sette secoli, credo, si ripete a Cesena tutti gli anni, non mi sento proprio di abolirla e, se lo facessi, ne sono sicuro, avrei contro la maggior parte della cittadinanza che, non tutti in modo perfetto, ma credente lo �.
Ma la difficolt� � comprensibile e, ramificata, intacca le tradizioni delle parrocchie, dei loro appuntamenti religiosi, delle loro feste. Pertanto la soluzione indicata, in altri casi, non pu� che essere di segno opposto. In certe feste la processione eucaristica, per scarsezza di clero e di popolo che la segue, per povert� di mezzi e per l�indifferenza della gente in mezzo alla quale passa, �appare cosa ben meschina per non dire poco degna�; allora � senza dubbio preferibile che non si programmi la processione, ma piuttosto la si sostituisca con una celebrazione dell�adorazione: �Una esposizione del Santissimo con adorazione condotta secondo il metodo altre volte presentato, potr� sostituire pi� decorosamente e proficuamente certe processioni�.

La riscoperta biblica ha portato non solo alla diffusione del testo della Sacra Scrittura, ma al suo studio, ad una sua utilizzazione nella preghiera. Gruppi spontanei si raccolgono attorno ad essa. Si organizzano incontri e corsi di introduzione alla Bibbia. La lettura diretta del testo biblico diventa la grande scoperta dei primi gruppi giovanili spontanei che fioriscono verso la fine degli anni Sessanta. Si diffondono le veglie bibliche e le liturgie della Parola; nelle parrocchie si organizzano �settimane liturgiche� e �settimane bibliche� con la diffusione della Bibbia nelle famiglie.
Esperienze nuove di vita comunitaria, o �piccole famiglie� orientate alla vita consacrata hanno nella meditazione della S. Scrittura e degli scritti dei Padri della Chiesa la loro sorgente fondamentale.

Nascono e maturano nel post concilio le intuizioni personali di padre Natale Montalti (che collegato al cappuccino padre Guglielmo Gattiani sar� l�anima dell�esperienza contemplativa di Lagrimone) e di padre Orfeo Povero (Suzzi), che fonder� nel 1978 la Piccola famiglia della Risurrezione. Dal movimento di padre Lino Ruscelli ha origine nel 1980 la Comunit� del Padre Nostro. In campo caritativo nasce nel 1974 la Piccola famiglia Grazia e pace ad opera di don Agostino Grassi. Proprio all�interno dell�attivit� di Grazia e Pace iniziano a Saiano, nel 1986, le Settimane Bibliche, guidate da don Giancarlo Biguzzi, che diventeranno diocesane a cominciare dalla XVI edizione del 2001.

Si avverte il bisogno di una catechesi rinnovata, che attinga anch�essa al testo biblico. �In questo settore siamo ancora lontani dalle mete desiderate soprattutto per la mancanza di un catechismo moderno che adottando i nuovi criteri di catechesi e usufruendo delle esperienze fatte fin qui all�estero e in Italia, ci permetta finalmente di uscire dalla fase dei tentativi e della provvisoriet�. Il mio umile parere sarebbe che si debba risolvere �quam primum� il problema di un preciso e determinato programma ufficiale di catechesi che si estenda dal corso elementare a tutte le scuole medie superiori e di un metodo di esposizione. Su questo fondamento, gli autori, in concorrenza, potranno prepararci i testi e insegnare ad usarli. Siamo in attesa del catechismo del Concilio Ecumenico Vaticano II� ( Relazione quinquennale 1962-1966)
Che si trattasse della catechesi, dei corsi di cultura religiosa o dell�insegnamento della religione nelle scuole, l�educazione alla fede e la formazione permanente furono una preoccupazione centrale della pastorale post conciliare in diocesi. Furono anni di �laboratorio catechistico�, di sperimentazione che continu� anche dopo la pubblicazione del Documento base, pur con linee pi� definite.

Fu seguita con cura la pastorale della famiglia, che registr� un salto di qualit� nell�ottobre del 1971 quando don Adolfo Giorgini assunse la responsabilit� della pastorale familiare, imprimendo a questo settore un notevole impulso. Un anno dopo, nel novembre 1972, su iniziativa del CIF diretto da Giorgia Bazzocchi Andreucci, era costituito il �Consultorio per la Famiglia � UPICEM� (Unione Consultori Italiani Prematrimoniali de Matrimoniali) con una �quipe in grado di offrire un prezioso aiuto di carattere medico, psicologico, sociale e pedagogico. Il 6 febbraio 1973 inizi� a Cesena il primo corso di preparazione al matrimonio con una pubblica conferenza sul tema: Famiglia nuova per una societ� nuova.


8. L'APERTURA MISSIONARIA

�Fatto notevole, potremmo dire storico, per la nostra diocesi, � stato l�incontro con Mons. Jos� Calderon vescovo di Cartago in Colombia (America Latina), il quale mi parl� delle necessit� della sua diocesi di nuova istituzione e mi preg� di aiutarlo permettendo a qualche nostro sacerdote di trasferirsi col�. Fu cos� che la Chiesa di Cesena si apr� alla collaborazione con altre chiese: Don Dante Moretti e poi anche Don Crescenzio Moretti e Don Giorgio Bissoni partirono per la diocesi di Cartago. In seguito, Don Primo Ricci che era gi� stato in Svizzera cappellano degli emigranti, part� per il Mozambico dove lo raggiunsero Don Tarcisio De Giovanni e Don Antonio Spinelli e fondarono la missione di Mokubela in diocesi di Quelimane.
Don Luigi Moretti, dopo aver avviato una missione in Olanda, part� per la diocesi di Conception in Paraguay e don Derno Giorgetti per quella di La Guaira in Venezuela dove s�era gi� trasferito da Cartago don Giorgio Bissoni. Don Virgilio Resi � poi partito per la diocesi di Belo Horizonte, in Brasile. Quando gi� i tre sacerdoti stavano nella diocesi di Cartago, la madre Giuditta Bucci superiora generale delle suore della S. Famiglia, apr� una casa a Cartago e una a Duitama. Dopo qualche anno ne fu aperta una terza a Bogot�, questa per la cura delle vocazioni.
... Questa apertura alla collaborazione con Cartago, e con altre diocesi, della nostra che aveva gi� dato molti missionari e missionarie e sacerdoti per l�emigrazione, ma non ancora preti diocesani �fidei donum� la iscrivo tra i frutti del Concilio ed � per me una delle pi� care soddisfazioni anche perch� i nostri preti si sono distinti per il contegno esemplare e per l�azione apostolica�.

La presenza in diocesi di un seminario minore dell�Istituto Missioni Consolata, a Gambettola, ha sempre costituito un richiamo forte all�ideale della missione ad gentes che si � concretizzato nella partenza di religiosi, religiose e laici inseriti o collegati coi vari Istituti missionari: una presenza di qualche decina di diocesani, ricordati non solo ogni anno in ottobre, ma spesso in comunicazione con la loro Chiesa di origine attraverso il settimanale diocesano (In occasione dell�ottobre missionario 1971 vengono elencati i nomi di 16 religiosi, 9 religiose, 4 laici e otto sacerdoti). Anche nel seminario diocesano erano frequentemente accolti missionari provenienti da diversi istituti; pi� di un seminarista, proprio in seguito a questi incontri, si sent� chiamato alla vita missionaria e orient� ad essa la sua successiva formazione.

Ma nonostante questo non aveva ancora trovato accoglienza a Cesena l�appello della Fidei donum coi suoi principi e le sue preoccupazioni: �sentiamo l�ardente desiderio di esortarvi, Venerabili Fratelli, a sostenere con il vostro zelo la causa santa della espansione della Chiesa nel mondo. Voglia Iddio che in seguito al nostro appello lo spirito missionario penetri pi� a fondo nel cuore di tutti i sacerdoti, e, attraverso il loro ministero, infiammi tutti i fedeli!�.

Per testimonianza diretta e ribadita del vescovo Gianfranceschi, la riscoperta forte della comunione tra le Chiese e il conseguente risveglio di una azione missionaria da parte della diocesi come tale, sono stati favoriti proprio dall�esperienza di condivisione fatta tra vescovi durante i lavori del concilio. Fin dalla prima ora infatti, Gianfranceschi assunse come proprie le preoccupazioni di mons. Jos� Calderon, vescovo di Cartago in Colombia, con il quale strinse un legame di autentica fraternit�.

L�altra zona di missione fu quasi contemporaneamente individuata da don Primo Ricci a Mokubela in Mozambico. Cartago e Mokubela divennero ben presto nomi noti non solo ai sacerdoti di Cesena ma a molte comunit�. Si percepiva ovunque un interesse crescente, si prendeva atto di scelte concrete ormai acquisite o di prossima attuazione. L�ottobre missionario e in particolare la Giornata Missionaria Mondiale diventavano occasioni di informazione, di verifica e di rilancio di nuovi progetti. D�altra parte gi� al concilio Gianfranceschi era stato tra i firmatari di una richiesta di riconoscimento del carattere missionario proprio di tutti i fedeli fin dall�infanzia.

Anche alcuni laici partirono per la missione. Dopo l�esperienza del dott. Valerio Pagliarani agli inizi degli anni Cinquanta, nel 1965 il dott. Nello Guidi e sua moglie Adriana Costa si recarono in Nigeria e successivamente prestarono la loro opera in Tanzania, dove si fermarono fino all�inizio degli anni Settanta. Adriana aveva ricevuto la sua formazione in Azione Cattolica, come anche Nello che, inoltre, aveva frequentato l�ambiente dei padri Giuseppini all�Istituto Lugaresi; qui egli aveva maturato una vera e propria vocazione laicale di carattere missionario, gi� orientata verso gli studi di medicina.
Nell�ottobre del 1971 il giovane medico Arturo Alberti, laureato da un anno, insieme alla moglie Valeria e a Mariangela Lucchi, part� per Kiringye, Repubblica del Congo, per collaborare alla realizzazione di un Centro medico-sociale promosso dalla Comunit� dell�attesa, un gruppo missionario a cui partecipavano due amici del movimento di CL (Letizia Vaccari ed Ezio Castelli), il padre Saveriano Meo Elia e altri laici di diversa appartenenza ecclesiale. Al rientro dall�Africa, con alcuni amici di Cesena Alberti costitu� l�Avsi per sostenere il lavoro delle persone che continuavano il loro impegno missionario a Kiringye in Congo. L�Avsi ebbe successivi sviluppi in Africa, America Latina, Medio Oriente, Europa dell�Est.

Nel 1973 Maria Assunta Riva raggiunse a Wajir, in Kenia, Annalena Tonelli e le sue amiche, vicine alla spiritualit� di Carlo Carretto e dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld. Maria Assunta rimase in Africa fino al 1984.
Ai primi di novembre del 1968 in un articolo intitolato: �Suore della Sacra Famiglia vanno nell�America Latina� mons. Gianfranceschi scriveva: �Non si tratta di una decisione affrettata. � la conclusione di un processo di idee, di aspirazioni da parte della Congregazione. In seguito al potente slancio missionario impresso dal Concilio, in un�epoca in cui la sensibilit� verso i grossi ed urgenti problemi dell�umanit� povera e sofferente, si sono fatti pi� acuti, anche l�Istituto della Sacra Famiglia, sebbene non molto sviluppato, vuol dare la sua generosa risposta. Come si far� ad inviare suore della Sacra Famiglia nell�America Latina, se quelle gi� operanti qui non bastano a tutto? L�Istituto si muove nel segno della fiducia nella Provvidenza. La Chiesa chiama a raccolta tutte le forze disponibili. Interi continenti aspettano. Il contributo da principio sar� modesto, umile, ma generoso ed entusiasta�.
Devono per� trascorrere ancora tre anni, impiegati in una preparazione accurata, compresa la partecipazione allo specifico corso organizzato a Verona. Il 21 novembre 1971 viene celebrata una solenne cerimonia nel duomo di Cesena per il saluto ufficiale alle quattro suore che sono in procinto di partire per la Colombia: suor M. Domitilla Samor�, suor M. Stefania Zamparini, suor M. Antonina Contestabile e suor M. Gabriella Piccinini. Un anno dopo parte suor M. Damiana Bosi. Il 20 settembre 1974 partiranno per la Colombia suor M. Eletta Di Piero e suor M. Laura Perini, dirette a Duitama dove con suor M. Damiana formeranno una nuova comunit� per le giovani.

In un�intervista la Presidente dell�Unione Diocesana delle Religiose, Sr. M. Luisa Barchi della Carit�, preparandosi a far parte del Consiglio pastorale diocesano, affermava: �Come � stato gi� osservato nei nostri capitoli, si sente il bisogno di un apostolato pi� diretto, e pi� inserito nelle famiglie, mediante frequenti contatti, che ci facciano partecipare alle loro vicende tristi e liete, nonch� ai loro problemi, sempre in diretta dipendenza dai parroci ed in fraterna collaborazione con i laici, disposte ad abbandonare le opere �che non fossero pi� consone alle esigenze dei tempi��.

Periodicamente, spesso settimanalmente, sul Corriere Cesenate veniva pubblicata la corrispondenza con i missionari. I loro racconti circostanziati, ricchi di dettagli ma soprattutto di esperienza, erano una testimonianza importante; la vita della nostra Chiesa, d�altra parte, era da loro seguita con costanza e interesse ancora maggiori. I viaggi del vescovo e soprattutto i lunghi periodi di permanenza di mons. Tarcisio Bertozzi consentivano di rafforzare la nuova visione di �comunione tra le Chiese�, dentro la logica di un vero scambio di doni. (Leggiamo in un comunicato della segreteria del Consiglio Presbiterale �C�� stata nel Concilio Vaticano II una evoluzione importante sul concetto di �Missione� che, sorpassando una mentalit� piuttosto paternalistica, si qualifica per un maggior rispetto ai valori propri delle diverse civilt� e si trasforma in una collaborazione tra Chiese, in uno scambio reciproco di persone, di servizi, di valori e di esperienze�. BDC n. 4 (settembre-dicembre) 1974).


9. IL LAICATO E L'ASSOCIAZIONISMO CATTOLICO

Se l�indizione del concilio aveva colto di sorpresa il collegio cardinalizio, l�episcopato e il clero della Chiesa cattolica, non si pu� dire che il laicato cattolico manifestasse qualche esigenza di aggiornamento o di riforma. Esisteva in Italia una forte presenza di laici associati, soprattutto all�interno dell�Azione Cattolica che, capillarmente ramificata attraverso l�organizzazione parrocchiale, costituiva per ogni diocesi la struttura base dell�azione pastorale.

A Cesena l�associazione contava numerosi iscritti in ogni settore, dai fanciulli agli adulti (nel 1960/1961 si contavano 9.597 soci, che divennero 10.726 nel 1961/1962, salirono a quota 11.039 nel 1962/1963 e a quella di 11.132 nel 1963/1964. Nel 1964/1965 erano 10.697). La formazione era un�esigenza permanente e gli strumenti erano puntuali e adeguati. Anche lo scoutismo e altre associazioni di orientamento pi� specifico, come ad esempio la San Vincenzo, costituivano ambiti di impegno intenso e sistematico. La presenza in campo sociale e politico scaturiva spesso da tale impegno come ovvia e coerente conseguenza.

Esisteva un vero e proprio coordinamento del laicato cattolico a livello diocesano, affidato a don Lino Mancini, delegato del vescovo con compiti che andavano ben oltre gli ambiti dell�Azione Cattolica e dello scoutismo. Tale riferimento e le relative attivit� trovarono una sede adeguata all�inizio degli anni Sessanta; infatti nel 1962 la diocesi acquist�, dai padri Gesuiti, palazzo Ghini che, opportunamente restaurato e in parte ristrutturato, divent� il �Centro Opere Cattoliche� sotto la direzione di don Tarcisio Bertozzi, che aveva lasciato l�incarico di segretario del vescovo e che, di l� a quattro anni, sarebbe divenuto vicario generale. Mentre nella zona di Case Finali si apriva il nuovo seminario, Palazzo Ghini nel cuore della citt� divenne un animato luogo di presenze ed iniziative cattoliche tanto da essere denominato il �seminario dei laici�.
Per quanto riguarda le aggregazioni laicali, il vescovo Gianfranceschi fu sempre sostenitore dell�Azione Cattolica. �I suoi organismi dirigenziali, e in particolare la giunta parrocchiale, erano per lui anche i naturali propulsori della vita delle parrocchie e l�associazione doveva essere il nucleo destinato ad evolversi e ad espandersi� ma avverte che �nessuna associazione e neppure l�Azione Cattolica pu� nutrire l�ambizione di sostituire, presso il vescovo nella diocesi e presso il parroco nella parrocchia, l�impegno della comunit� ecclesiale o la sua voce accanto ai pastori. Per questo il Concilio ha previsto i Consigli Pastorali, ma � ben facile comprendere quale collaborazione possa dare l�Azione Cattolica per promuovere la costituzione e il buon funzionamento dei Consigli Pastorali. Di fatto, da queste premesse l�Azione Cattolica riprese vita, lentamente dapprima, per conoscere, poi, una grande fioritura��.( Nel novembre 1962 Gianfranceschi aveva costituito La Consulta diocesana dell�apostolato dei laici, rappresentativa non solo dell�AC ma anche delle altre Associazioni, Istituzioni ed Opere Cattoliche esistenti nella Diocesi).

Gi� durante il concilio, ma soprattutto dopo la sua conclusione, si fecero strada e si consolidarono nuove forme di vita aggregativa, indicate come movimenti o gruppi ecclesiali. Per Gianfranceschi accoglierle voleva dire �trovare ad esse una precisa collocazione diocesana e parrocchiale secondo le sue programmazioni, anche se non del tutto consone alla �specificit�� (ben presto si sarebbe detto al �carisma�) delle medesime. Cos� cerc� di comportarsi nei riguardi di Giovent� Studentesca, divenuta poi Comunione e Liberazione che deriv� dall�adesione degli assistenti e di membri dell�Azione Cattolica. I primi preti che vi si impegnarono furono don Lino Mancini e don Ezio Casadei. Nella problematica e negli attriti che ne nacquero, prima che le due organizzazioni prendessero ognuna la propria strada, Gianfranceschi si paragon� al patriarca Giacobbe che osservava, dapprima, in silenzio le tensioni dei figli, intervenendo poi contro l�invidia dei figli pi� grandi verso il pi� piccolo, ma biasimando di questo una certa impressione di saccenteria. Tent� anzi il passaggio di sacerdoti assistenti dall�una all�altra, peraltro senza successo�.
�Vero � che tali movimenti hanno esercitato una forte seduzione e, a quanto � dato di vedere, hanno conseguito buoni effetti � Per� lascia alquanto perplessi quel loro proselitismo, un integralismo quasi fanatico (sembra vogliano dire: �o con noi o niente�), uno spirito di corpo comunitario da iniziati. (�) sono convinti di dover dare non il loro apporto all�aggiornamento della Chiesa e alla sua ulteriore santificazione, ma di essere addirittura, e in senso esclusivo, la Chiesa di domani. Non si limitano a vivere secondo una certa spiritualit� e a diffonderla con la dovuta discrezione, ma tendono ad avviare nelle parrocchie un proprio tipo di pastorale molto diverso da quello indicato dal Concilio, generalmente seguito nella Diocesi e convalidato da buona esperienza, metodo non condiviso dalla nostra comunit�, motivo di qualche divisione e, a quanto si pu� giudicare, piuttosto rischioso e avventuroso. Insomma c�� il pericolo, da me pubblicamente denunciato in una Lettera pastorale, di fare una chiesa nella Chiesa mentre si usa un linguaggio di assoluta devozione al vescovo e di dipendenza dalla sua autorit�, si parla di comunione e di pastorale organica o d�insieme: � una vera fiera delle parole� (Relazione quinquennale 1967-1971).
�Le associazioni scoutistiche a Cesena erano da tempo fiorenti, anch�esse sostenute dalla lucida intraprendenza di don Lino Mancini, che sapeva guidare e rispettare ogni realt� secondo il proprio metodo. Anche Gianfranceschi le vedeva con favore. E per questo fu rammaricato e preoccupato negli anni della contestazione a motivo delle scelte di alcuni gruppi scoutistici a favore dei cosiddetti �Cristiani per il socialismo� e del mantenimento della legge sul divorzio nella campagna referendaria del 1974. Espresse la sua contrariet� in maniera vigorosa, ma senza rotture clamorose, preparando cos� una successiva, anche se lenta, ricomposizione.

L�atteggiamento del vescovo Gianfranceschi nei confronti della contestazione sociale, degenerata ben presto in ecclesiale, improntato a sforzo di comprensione del nuovo ma anche a prudenza critica e a fermezza contro l�inaccettabile, � certamente una delle cause per cui il fenomeno non conobbe, in diocesi di Cesena, la virulenza che ebbe altrove. Il vescovo seppe dare, al riguardo, anche il suo favore e la sua vigilanza a formazioni e programmi fuori dell�ambito strettamente ecclesiale. Il momento della crisi delle ACLI, che indusse l�autorit� gerarchica al ritiro degli assistenti, non segn� particolari lacerazioni e scissioni.
Gianfranceschi salut� la nascita, a Cesena, del Movimento Popolare che nei primi anni Settanta, si svilupp� in Italia su una vasta base di consensi contro il processo di secolarizzazione e di riduzione dell�esperienza cristiana a fatto puramente privato ed intimistico.
Il Movimento, a Cesena, fu promosso da persone provenienti da variegate esperienze politiche associative e religiose (DC, CISL, ACLI, Azione Cattolica, Comunione e Liberazione, Coldiretti, Unione Cooperative, ecc.). I settori di presenza furono la scuola, l�universit�, i quartieri, i comuni, il mondo del lavoro e della cooperazione per realizzarvi, come si usava dire, fatti di democrazia sostanziale, basata sul rispetto della persona e una consequenziale risposta alle sue esigenze�.

Ma l�edificio chiesa non era l�unico e talora neppure il primo nelle preoccupazioni del vescovo. �Accanto e, qualche volta, prima della chiesa parrocchiale in questi anni per impulso di Mons. Vescovo sono sorti in Diocesi i Centri Sociali per 1�istruzione, per la ricreazione e per il servizio sociale. � Egli senta il problema dell�assistenza nei termini pi� nuovi, per esempio, dell�occupazione del tempo libero. L�assistenza, come servizio per il tempo libero, � in gran parte esigenza recente, ma � certo che la Chiesa l�avverte come uno strumento oggi determinante perch� l�uomo ritrovi se stesso, si senta persona, ritorni ad essere qualcuno, dopo la massificazione del lavoro e in genere della vita sociale contemporanea�. Favorire come ha fatto il nostro Vescovo il sorgere dei Centri Sociali che svolgano il ruolo di ambiente predisposto per l�occupazione migliore del tempo libero vuol dire allora sentire i problemi del nostro tempo e promuovere soluzioni confacenti non solo con la missione della Chiesa ma anche con un vero progresso umano�.

Nel 1963 nasce il �Gruppo Studi� al quale prendono parte don Lino Mancini, il prof. Giobbe Gentili e l�avv. Samuele Andreucci. Come il precedente �Cenacolo sociale� sorto nel 1956 anche questo �Gruppo Studi� � un insieme di persone impegnate in un approfondimento teologico, culturale e politico per una presenza cristiana nella societ�. C�� anche chi vorrebbe spingersi oltre: �Forse sarebbe meglio che anche da noi, come in Olanda, ogni parrocchia avesse il suo circolo teologico, magari �spontaneo�, magari un po� �vivace� piuttosto che certe �adunanze� spesso ridotte a un monologo del sacerdote davanti a pochi e passivi uditori�.
�Da circa un anno si � costituito un �gruppo di ricerca teologico-culturale� che raccoglie alcuni laici e qualche sacerdote che non condividono la �linea diocesana�. Sono idealmente collegati con i gruppi del dissenso, di apertura al marxismo ecc. I tre o quattro sacerdoti che ne frequentano le riunioni sono, per un motivo o per l�altro, in qualche difficolt� col Vescovo. Il gruppo era stato accolto in un convento. Per amore di chiarezza, ed evitare che fosse ritenuto un gruppo ecclesiale, i religiosi sono stati pregati di invitarlo a radunarsi altrove. Il gruppo � poco numeroso e pressoch� ignorato; non provoca alcun turbamento e si pu� ritenere che non avr� lunga vita�.

L�unica libreria cattolica presente a tutt�oggi a Cesena porta ancora il nome del Gruppo studentesco San Paolo e fu avviata dal gruppo dei collaboratori Paolini che operarono con don Lino Mancini dal 1962 al 1965. �Ricordo che me ne feci promotore, quando ero presidente dell�Azione Cattolica, per un duplice motivo: in parte per raggranellare un po� di soldi perch� la vita era grama, tanto � vero che fu allestita una bacheca nell�atrio del palazzo, dove venivano messi in mostra i libri� Attraverso quella iniziativa molte delle pubblicazioni che sottolineavano il carattere di comunione della Chiesa, con gli autori prima citati, sono state in tal modo diffuse�.

La partecipazione dei cattolici alla vita politica mostra carenze sul piano della vivacit� e dell�unit�. � il vescovo stesso a sollecitare una presenza e una coerenza maggiori: �Molti sono invincibilmente convinti che si possa essere buoni cattolici e comunisti al tempo stesso, e che la politica non abbia nulla a che vedere con la religione e che la Chiesa combatte il comunismo perch� ne � avversaria politica� Qui poi la gente ritiene una infamia cambiare idea; � massima offesa dire ad uno �voltagabbana��. Col tempo, per�, il dialogo conciliare comincia a portare i primi frutti: �La distensione politica in questi anni ha avuto per conseguenza il miglioramento dei rapporti umani del clero e dei laici militanti con tutti, compresi i seguaci dei partiti politici come quelli dei repubblicani, dei comunisti, dei socialisti, senza cadere perci� nell�indifferentismo, con vantaggio dell�azione pastorale. Da notare che in Romagna la politicizzazione investe tutti gli aspetti della vita in modo incredibile. Essere usciti dalla convinzione che in chiesa ci vanno soltanto i democristiani, e Azione Cattolica significa sezione della DC, ci ha consentito di dialogare con tutti�.

�Dialogo� � senza dubbio una parola-chiave del clima conciliare: �Qualche parroco ci chiede: conviene fare visita di condoglianza alla famiglia di un defunto funerato secondo il cosiddetto rito civile? � la prima volta che ci viene posto il problema e non conosciamo quale fosse la prassi pastorale in questi casi, ma qualunque sia stata, nello spirito attuale della pastorale del dialogo, non esito a rispondere affermativamente�.


10. IL PRESBITERIO

I corsi di aggiornamento, a contenuto teologico o pastorale, erano momenti privilegiati di incontro, confronto e verifica del vescovo con i sacerdoti. Ma l�appuntamento pi� sentito e amato era quello annuale in occasione della festa di san Mauro. �Fervente nell�azione e dedito alla contemplazione� (la scritta �Actioni fervens et contemplazioni vacans�, che vuole sintetizzare la vita del vescovo Mauro, � illustrata da due mosaici posti da una parte e dall�altra dell�urna che custodisce il corpo del santo nella cripta della basilica cattedrale di Cesena), Mauro divenne il modello del vescovo; ma riassumendo in s� nientemeno che l�essenza della Chiesa, secondo il celebre numero 2 della costituzione Sacrosanctum Concilium, poteva essere additato come modello ad ogni presbitero e alle stesse comunit� cristiane come tali. Di san Mauro ravviv� cos�, con ogni mezzo, il culto; nuova cripta della cattedrale�.

La passione di una comunione profonda veniva talora offuscata non solo da alcuni episodi di contestazione ma soprattutto dal serpeggiare di una clima di scontentezza e di delusione, riguardante varie categorie di fedeli nei rapporti con la Chiesa istituzionale. �Esistono quegli stati d�animo tanto diffusi oggi tra i sacerdoti soprattutto per l�influsso di libri e di riviste e per la spinta che viene dalla presente situazione del mondo. Alcuni si collegano a Papa Giovanni come ad un mito, alterandone completamente la fisionomia. Miti sono pure padre Balducci, card. Suenens e Alfrink, Don Mazzi, Don Milani� per un�assoluta minoranza cui la maggioranza fortemente reagisce, ma che tuttavia crea tensioni, divisioni, scontri e, nel popolo di Dio, non poca confusione per il diverso comportamento dei sacerdoti specie in sede confessionale e nell�insegnamento religioso� Io sto col Concilio Concilio, impegnato fervorosamente nell�opera dell�autentico aggiornamento�.

Il numero dei sacerdoti, negli anni del concilio, � discretamente alto e l�et� media relativamente giovane. I preti sono 146 dei quali solo 13 sopra i 60 anni e 46 sotto i 40. Gli alunni del seminario minore sono 88, quelli del corso filosofico 22 e il corso teologico � frequentato da 8 chierici. Questa prosperit� vocazionale spiega da s� la decisione del vescovo di costruire un nuovo seminario, aperto l�8 novembre 1962 (gli 85 seminaristi delle classi medie e del ginnasio vi fecero l�ingresso solo l�8 novembre 1962 perch� neppure i lavori del corpo principale erano stai ultimati per l�inizio dell�anno scolastico), inaugurato il 15 settembre 1963 e intitolato al papa Giovanni XXIII. Scelte analoghe furono fatte in quegli anni da altre diocesi della Romagna, proprio perch� nessuno prevedeva la forte crisi vocazionale che si sarebbe rivelata negli anni Settanta e che avrebbe portato addirittura, di l� a poco, alla chiusura di qualche seminario minore.

L�ipotesi di una vita comune tra presbiteri non trov� insensibile il pur realista Gianfranceschi, che scrivendo ai sarsinati affermava: �Problema gravissimo � quello dell�isolamento del sacerdote con i gravi pericoli che comporta: impoverimento, tristezza, sfiducia, ozio, senso di frustrazione, spinta all�evasione, fossilizzazione della azione pastorale, ecc. Il rimedio sul quale si fa oggi pi� affidamento � quello della vita comune. Con rispettosa comprensione per i sacerdoti che da anni hanno impostato diversamente la propria vita, continuiamo a coltivare la speranza di veder sorgere qualche comunit� spontanea di tre o almeno due sacerdoti che accettino insieme la cura di cinque o sei parrocchie. Sacerdoti che preghino insieme, dispongano di una comune bibliotechina e di qualche seria rivista, siano forniti di automezzi, abitino in una povera ma confortevole canonica assistiti da una persona che sar� pi� facile trovare e compensare, in possesso di mezzi non lauti ma sufficienti provenienti dal cumulo dei proventi di ciascuno messi insieme. Quando arriveremo? Non rinunciamo a questo ideale e affrettiamone la realizzazione�.

Alla fine degli anni Sessanta, come si � visto, diventarono pi� palesi alcuni atteggiamenti di contestazione all�interno del Presbiterio, di sfiducia negli organismi di partecipazione, di obbedienza al vescovo sempre pi� problematica. In occasione del rinnovo del Consiglio Presbiterale �La segreteria ritiene doveroso sottolineare il grave distacco che di fatto si � verificato tra il CP e l�intero Presbiterio e questo non tanto per motivi di disaccordo quanto per sfiducia verso l�istituzione od anche forse per pigrizia�. Ma se si possono notare segni di tensione, altrettanto forte e sentito � il bisogno di una vera crescita, libera da animosit�, in un clima di dialogo e di ascolto.
Il vescovo stesso riconosce che in complesso il Presbiterio � costituito da buoni sacerdoti. �Le tensioni e le divisioni non mancano ma sono molto meno preoccupanti che altrove. Un solo sacerdote ha chiesto e ottenuto la dispensa dagli impegni del suo stato, per� si � comportato con molta seriet� e senso di responsabilit�� Di fronte a tanti sacerdoti di vita esemplare sono quattro o cinque quelli che fanno parlare di s�. Per uno o due si arriva a dire che sarebbe meno male se, regolati i rapporti con la Chiesa, lasciassero lo stato sacerdotale� (Relazione quinquennale 1967-1971).
Il vescovo annota che la situazione gli �d� occasione di esercitare, pi� che per il passato, le virt� della carit�, dell�umilt�, della pazienza e della fiducia in Dio�. �In questo periodo post conciliare, ho cercato, per quanto mi � stato possibile, di rinnegare me stesso per meglio seguire Ges�, usando un pi� rigido autocontrollo... prego tutti voi a dirmi in quali casi specifici ho peccato d�autoritarismo affinch� possa imparare quale significato date a questo termine e, se ho veramente mancato, con 1�aiuto di Dio possa correggermi�.


11. IL MOVIMENTO ECUMENICO

�Ma quanta luce non � gi� emanata dal Concilio! Quali effetti possiamo fin d�ora intravedere�. Abbiamo gi� rilevato che tra questi effetti Gianfranceschi pone subito �i rapporti della Gerarchia e dei fedeli con i fratelli cristiani diversamente adunati; la vera situazione del popolo giudaico di fronte al cristianesimo e la sua liberazione da pesantissime accuse; la proclamazione dei diritti alla libert� religiosa��.

Uno sguardo nuovo verso i �fratelli separati� si era immediatamente acceso nel mondo cattolico in seguito all�elezione di Roncalli. Del suo stile Gianfranceschi descrive qualche tratto ricorrendo ad alcune sue espressioni tipiche: �Mi piace riportare qui qualcuno degli �slogans� (mi si perdoni la parola) e delle immagini alle quali affidava il proprio modo di sentire: �attenti a ci� che ci unisce piuttosto che a ci� che ci divide - non rivolgere lo sguardo da una sola parte ma dall�una e dall�altra: front a dest, front a sinist - se ti offrono una bottiglia scarsa non dire � mezza vuota, ma � mezza piena�; il suo sempre ben fondato ottimismo: �Altro � l�errore provato, sempre condannabile finch� non venga corretto, altro l�errante che va rispettato, col quale bisogna dialogare - non voltarsi a raccogliere i sassi che ti tirano addosso per rilanciarli contro il lapidatore�; l�ascetica, la politica e la diplomazia del Pater Noster. Vorrei ricordarne anche altre e tutte insieme proverebbero che il Vaticano II (�) in definitiva, � proprio il Concilio di Papa Giovanni, che in esso ha riflesso la sua personalit� carismatica. Bisogna rileggere il �profetico� discorso di introduzione del quale ebbe a confidarmi di averlo scritto tutto lui personalmente �de verbo ad verbum�.... �.

�Non v�� dubbio che, soprattutto in connessione con il Concilio, il Signore ha operato a questo riguardo cose che hanno superato tutte le aspettative e che sembrerebbero miracolose� afferma Gianfranceschi, che nella settimana ecumenica di preghiera del 1968 presiede la Messa, giorno dopo giorno, in diverse chiese della citt�.
Anche i grandi gesti avevano giovato a imprimere uno stile e un affetto. Il 26 giugno 1964 il patriarca Athenagoras aveva risposto con una cordiale lettera al Consiglio diocesano della GIAC che gli aveva inviato un messaggio di auguri. Ricordava l�incontro di Gerusalemme con Paolo VI e confermava la sua �brama� di vedere unificata la Chiesa di Cristo sulla terra.
Una mentalit� nuova, un atteggiamento riconfermato, anche se Cesena, a parte una Chiesa Avventista del settimo giorno, non aveva altre comunit� separate con cui dialogare. �Il vescovo Gianfranceschi le riforme del concilio le voleva tutte. Noi in diocesi non avevamo ancora l�ambiente e la possibilit� di fare dell�ecumenismo, come il concilio invece si era proposto fin dall�inizio. Per� il vescovo Gianfranceschi le cose le voleva, e volle anche un gesto ecumenico. Io fui il primo ad essere chiamato da lui appunto per sondare il terreno. Gli Avventisti, l�unica comunit� che avevamo a Cesena, erano molto distanti non solo dalla Chiesa cattolica ma anche dai teologi protestanti; per� la cosa and� bene, e a lui non parve vero di poter partecipare. Al primo incontro che facemmo volle partecipare insieme al pastore avventista, e ci furono piccoli gesti; io andai a predicare nella chiesa degli Avventisti, un sabato. Alla fine un avventista venne da me e mi disse: �Ma lei ha parlato come il nostro pastore!�. �Io ho parlato da prete cattolico;� risposi � ma questo � bello che lei lo dica��. Anche chi scrive, negli anni del sinodo, fu invitato a fare una catechesi nella nuova chiesa avventista, accolto e ascoltato con grande disponibilit�.

Nella relazione del 1971 Gianfranceschi riconosce che �il loro comportamento risulta molto serio per non dire esemplare nella coerenza�.
Quello maturato da Gianfranceschi, grazie al concilio, fu uno spirito autenticamente ecumenico, alla base del quale stava la libert� religiosa (sul tema della libert� religiosa tenne una indimenticabile conferenza a Cesena, il 13 novembre 1965, il cardinale J. Beran, arcivescovo di Praga esiliato a Roma) riconosciuta e rivendicata senza tentennamenti: �La Chiesa non vuole entrare in competizione con nessuno, tanto � singolare il suo fine� La Santa Sede che di recente si � pronunciata per la legittimit� dell�erezione di una moschea in Roma (e questo � accogliere il Concilio senza pigrizia) nulla avrebbe da dire ad un giusto pluralismo in cui fosse salvaguardato, sul serio e non per beffa, il diritto alla libert� di sostenere e scegliere istituzioni di ispirazione cristiana, di coloro che le preferiscono�.


12. SARSINA

Nella lettera del 3 settembre 1968 Bandini rivolge il suo saluto alla diocesi di Sarsina che lo aveva accolto quindici anni prima. Ha ormai settantaquattro anni, si sente stanco, ma soprattutto comprende che la sua piccola diocesi non ha futuro come tale, dovr� aggregarsi ad un�altra Chiesa e conviene accelerare questo momento di innesto che pu� risultare benefico.
�Cari diocesani, ..Sono convinto che il bene della Diocesi esiga che non si ritardi il suo inserimento in quel pi� vasto piano, che former� domani la nuova carta geografica ecclesiastica d�Italia. Le esigenze di un ministero pastorale aggiornato ai tempi impongono urgenze, cui � diventata impari la pur buona volont� di un operaio vecchio di anni e modesto di attitudini�.

�Le piccole Diocesi, anche se ricche di storia per un glorioso passato, come la nostra, non reggono pi� di fronte alle esigenze dei nuovi tempi. Tuttavia, siamo sinceri, per quella umanit� che � in noi, la fine della nostra Diocesi antichissima ci rattrista. E siamo vicini con cuore riconoscente al nostro Vescovo, che ci lascia, e chiude la lunga gloriosa serie dei Vescovi Sarsinati, iniziatasi con San Vicini�. Gi� al concilio questo tema � indicato da molti vescovi di diocesi piccole e grandi, ma viene inteso in maniera differente: se, ad esempio, c�� che si pone il problema dei rapporti dell�autorit� civile con un eccessivo numero di autorit� ecclesiastiche, il vescovo di Amelia, Vincenzo Lojali, propone una revisione dei confini delle diocesi pi� piccole, �che non sono da sopprimere, ma da rendere tali da poter vivere degnamente e autonomamente�. Il benedettino Giuseppe Placido Nicolini, vescovo di Assisi, suggerisce nel numero di 100.000 abitanti la soglia minima per una diocesi, ma parla di modifiche di confini e non di soppressioni.

Uomo di poche parole ma di fedele, tenace e concretissima azione pastorale, Bandini ha chiamato la sua Chiesa ad una preparazione al concilio incentrata sulla preghiera e su una catechesi esposta nella lettera pastorale per la S. Quaresima, datata 11 febbraio1962. In calce egli chiede che �La presente lettera pastorale sia letta e commentata in tutte le chiese e a tutte le S. Messe, anche a quelle pomeridiane, in una o pi� domeniche della S. Quaresima�. Sottolinea, infine, la necessit� di una riforma; cita a questo proposito le voci allarmanti levatesi in occasione dell�apertura dell�anno giudiziario nelle principali citt� italiane, ma soprattutto l�espressione di Pio XII �il maggior peccato del nostro tempo � quello di non credere pi� al peccato�.

Anche la partenza di Bandini per il concilio, preparata alla vigilia, il giorno 8 ottobre 1962 da una solenne Messa in cattedrale, all�altare di san Vicinio, fu un avvenimento cittadino.
I sacerdoti pi� anziani non si mostrarono molto coinvolti e il vescovo, da parte sua, non cerc� di forzare troppo la situazione. Per la Quaresima del 1965 scrisse per� una lettera pastorale dal titolo �La riforma liturgica� in previsione della prima tappa di applicazione della riforma conciliare che si sarebbe aperta il 7 marzo seguente.

Ma arriv� abbastanza presto quel 3 settembre del 1968, il giorno del saluto e di La Chiesa vive oggi tempi difficili, che esigono la fedelt� di tutti i suoi figli. In questa ansia di riforma, che prende un po� tutti, ogni sacerdote rammenti che ha davanti a s� un primo e vastissimo campo di azione: la riforma di se stesso�. Le ultime espressioni: �Confido fermamente che la veneranda Basilica non si riduca a un semplice monumento, da ammirarsi dai turisti, ma, per lo zelo indefesso del suo clero, e per il decoro delle sacre azioni liturgiche, diventi sempre pi� casa di preghiera, luogo desiderato di salutare incontro delle anime col Signore, centro propulsore e irradiante di intensa vita religiosa per tutta la Santa Chiesa Sarsinate. � La mia salma, per benevola concessione di chi dovr� dare i debiti permessi, possa un giorno riposare in quella che posso continuare a chiamare la mia Cattedrale�.

Nella medesima data del 3 settembre 1968, mons. Gianfranceschi � nominato amministratore apostolico. Non passa molto tempo e con il Consiglio presbiterale sarsinate egli affronta la realt� del post concilio. A tre anni dalla sua conclusione vengono notate due situazioni di disagio: �la prima di coloro che pur avendo letto i testi conciliari non hanno avvertito la profonda esigenza di conversione che il Concilio richiede e ne derivano comprensibili turbamenti per l��aggiornamento� che il Concilio ha promosso; la seconda di coloro che, in un atteggiamento di profonda sfiducia per tutto ci� che � passato, vorrebbero tutto rompere per edificare ex novo�.

Ma la vera sfida del dopo concilio � data dalla prospettiva dell�unificazione delle due diocesi: �Abbiamo tentato un certo collegamento con i sacerdoti della diocesi di Sarsina di cui, da circa quattro anni sono Amministratore Apostolico, ma con scarsi risultati. Le situazioni sono troppo diverse. La fusione potr� avvenire solo molto lentamente quando le due Diocesi fossero veramente fuse: siamo caduti in uno stato di agonia troppo prolungata�. Gianfranceschi diverr� vescovo residenziale, a seguito delle dimissioni del titolare, il 24 maggio 1976. Ed anche allora le due diocesi saranno distinte ma unite in persona episcopi fino al 30 settembre 1986 quando saranno fuse in unica diocesi.
Anche a Sarsina negli anni del post concilio matura una partenza fidei donum per la missione: il quarantenne parroco di Montecastello, don Giovanni Beltrami nel 1973 raggiunge lo Zaire dove rester� fino al 1978.


13. SANSEPOLCRO

La preparazione e gli inizi del Vaticano II a Sansepolcro avvengono sotto la guida del vescovo Domenico Bornigia che Il 22 febbraio 1962 invia alla diocesi la lettera pastorale La Chiesa e il Concilio Ecumenico. Il 9 ottobre 1962 parte per Roma ma il 31 ottobre, rientra gi� a Sansepolcro per motivi di salute e qui muore, nel palazzo vescovile, la mattina del 10 marzo 1963. In diocesi si diffonde subito il timore della soppressione della sede vescovile, ma l�8 maggio viene dato l�annuncio dell�elezione di mons. Abele Conigli (2 maggio 1963) nato a San Vito di Spilamberto, diocesi e provincia di Modena, il 19 gennaio 1913.

�L�attuazione del Concilio nella Comunit� diocesana mi sta a cuore sopra ogni altra cosa�: cos�, il 30 ottobre 1966, a poco meno di un anno dalla chiusura dei lavori conciliari, Conigli scrive all�inizio del decreto di costituzione dei Consigli presbiterale e pastorale. Una frase che trover� conferma in tutto il breve episcopato del vescovo.
Durante il secondo periodo del concilio (1963-1964), Conigli � tra quei vescovi che inviano alle loro diocesi resoconti pi� o meno dettagliati dei lavori. La prima Lettera dal Concilio Ecumenico � inviata il 17 ottobre 1963.

Conigli � un entusiasta del concilio, che definisce �colossale espressione della vita della Chiesa�. Rientrato in diocesi dopo la partecipazione ai lavori della seconda sessione conciliare esprime pubblicamente il proposito di mettersi �subito all�opera, nella scia luminosa delle giornate romane� e a questo proposito rimarr� veramente fedele. Guarda con grande attenzione al rinnovamento in atto nella Chiesa nei tempi presenti, che definisce �tempi straordinari�. L�espressione �all�opera�, utilizzata a proposito della riforma della diocesi secondo lo spirito conciliare, sar� estremamente ricorrente negli scritti pastorali di Conigli, fino a diventare il titolo dell�ultima lettera pastorale inviata alla diocesi.
Ci� che colpisce dello stile di Conigli � la rapidit� con la quale rende partecipe il clero diocesano dello svolgimento dei lavori conciliari. Al rientro dalla seconda sessione, l�11 dicembre 1963 incontra il clero diocesano (inclusi i sacerdoti regolari) dettando una meditazione sul tema Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Nei mesi di febbraio e marzo 1964 si tiene un corso di cultura religiosa per intellettuali, aperto a laureati e diplomati.
Conigli � entusiasta della costituzione Sacrosanctum Concilium. Il 22 gennaio 1965 mons. Conigli celebra la Messa secondo il nuovo rito, �mentre tutti i Sacerdoti, un po� commossi e un po� confusi, assistevano facendo la parte del popolo�. A Sansepolcro, come altrove, ebbe grande eco la prima concelebrazione in cattedrale; questa, come altre chiese, fu poi oggetto dei necessari lavori di adeguamento alla riforma liturgica, terminati prima della fine del 1967.

La missionariet� � intesa da Conigli soprattutto, ma non esclusivamente, nella sua forma ad gentes.
Tra le Chiese che hanno pi� bisogno di preti ci sono quelle del Brasile, per cui Conigli invita i preti pi� giovani a rendersi disponibili per la missione in quel grande paese latinoamericano. Accolgono l�invito del vescovo in tre: don Pietro Fabbri, don Italiano Monini e don Antonio Fornasiero. Nel 1970 partir� anche don Francesco Giorni.
Secondo lo spirito conciliare, tutti i mezzi di comunicazione sociale devono essere utilizzati dai cristiani �per la formazione cristiana della loro personalit�. E in tal senso, La Voce �deve essere amato e seguito come il nostro settimanale�. Accanto La Voce si colloca il Bollettino Diocesano, Conigli rinnova profondamente questo strumento, e ne fa una vera e propria rivista con un taglio marcatamente pastorale e culturale. Nel 1966 istituisce anche un ufficio stampa diocesano, formato dai componenti della redazione diocesana de La Voce, �ai quali potranno essere aggiunti altri membri del Clero e del Laicato�.
Durante l�episcopato di Conigli muove i primi passi il gruppo di Giovent� Studentesca (GS), destinato a diventare, nel giro di pochi anni, il nucleo originario della presenza di questo movimento, che poi si evolver� in Comunione e Liberazione (CL), in Toscana e, soprattutto, in Umbria.
Assai intimo � il rapporto tra Conigli e i suoi preti diocesani, che considera i primi collaboratori nell�azione di rinnovamento della pastorale diocesana. Conigli ritiene proprio i preti i primi protagonisti, insieme al vescovo, dell�applicazione delle riforme conciliari in diocesi. Ai preti � affidato il concilio, e dal loro impegno ne dipender� l�attuazione. Nel febbraio 1965, scrive: �La riforma liturgica in questione � affidata a noi. La possiamo fare riuscire ottimamente e la possiamo anche fare fallire miseramente�.
Per i suoi sacerdoti, Conigli prova una grande ammirazione; si dice �commosso ed ammirato nel vedere tanti sacerdoti, che in luoghi impervii e stretti da difficolt� di ogni genere fanno gravi sacrifici, pur di venire incontro alle esigenze spirituali delle popolazioni, che vengono loro affidate: bravi preti, che, con tanta semplicit�, compiono abitualmente azioni, che rasentano l�eroismo�.

Per comprendere le parole del vescovo � necessario ricordare che in quegli anni una parte significativa della popolazione della diocesi vive ancora in zone collinari e montane spesso malamente servite da una rete viaria del tutto inadatta a sopportare il crescente traffico automobilistico. Lo spopolamento montano e il trasferimento delle popolazioni in citt� e nei centri maggiori impone l�abbandono di alcune piccole parrocchie, ormai del tutto spopolate. Una prima conseguenza di tale configurazione geografica e dello spopolamento � l�isolamento, in cui sono costretti a vivere tanti sacerdoti. I contatti diventano troppo rari e quindi presentano tutti i pericoli di una troppo lunga solitudine.
Nel 1964 la diocesi di Sansepolcro conta ottanta seminaristi di cui 68 nel seminario minore. In poco meno di quattro anni di permanenza in diocesi sono ordinati dodici nuovi preti. Nella due giorni di Montauto dell�agosto 1966 si affrontano in primis le questioni relative alla figura del prete. Nel verbale viene detto che �fra il clero giovane della nostra diocesi, si nota un certo scontento per carenza di lavoro. Bisogna creare nei seminari una pi� aperta mentalit� e tenersi molto a contatto con questi preti�.
A poco meno di un anno dalla conclusione del concilio, Conigli costituisce il Consiglio presbiterale, che si riunisce in vescovado il 25 novembre 1966 per discutere sulla pastorale d�insieme (relatore il vescovo), la perequazione economica (relatore il vicario generale) e la stesura della lettera pastorale. Il 30 ottobre 1966 � approvato, in via sperimentale, anche lo statuto del Consiglio pastorale diocesano.
Conigli fu trasferito alle sedi di Teramo e Atri il 19 febbraio 1967. Pochi anni dopo la diocesi di San Sepolcro fu smembrata in tre parti, di cui due, le zone romagnole, furono aggregate alle diocesi di Forl�-Bertinoro e Cesena-Sarsina.


14. PROGRAMMAZIONE PASTORALE FINO AL SINODO

La stagione iniziale degli organismi di partecipazione ripercorre in parte l�andamento della vicenda conciliare: fervore ed entusiasmo a cui ben presto seguono fatica e necessit� di applicazione tenace, ma soprattutto necessit� di discernimento e di conversione continua. La terza visita pastorale era prevista per l�anno 1967 ma dovette essere rimandata di due anni a causa del �momento particolare di tensione e di fermento� che la Chiesa stava attraversando.

Il grande disegno di una pastorale organica richiese tempi lunghi, consultazioni talora estenuanti per salvaguardare un�ampia garanzia di partecipazione. Se un Consilium Presbiterale e un Consilium Pastorale erano stati introdotti dal vescovo Gianfranceschi con una tempestivit� da precorritore dei tempi (nel 1964), � altrettanto certo che ben presto furono percepiti come �calati dall�alto� a scapito di una reale rappresentativit�, ma soprattutto privati in partenza di quella simpatia che nasce dal coinvolgimento. Il primo Consiglio Pastorale - annotava mons. Bertozzi - eletto ad un anno appena dalla chiusura del concilio, �non poteva ancora provare quella larga riflessione e partecipazione di base che solo negli anni successivi s � verificata�.

Di grande coinvolgimento fu certamente l�Assemblea diocesana del 10 ottobre 1965, �manifestazione della stupenda realt� dei laici consapevoli e coerenti, dei cristiani adulti� come la chiam� il vescovo. Allorch� si tenne conto delle esigenze, cresciute di pari passo con la riscoperta della identit� e della dignit� battesimale, di ogni attiva presenza nella Chiesa e con il ruolo dei laici chiamati in prima persona alla sua edificazione e alla sua missione, part� anche quella sensibilizzazione nelle comunit� destinata ad approdare ad organismi investiti di maggiore corresponsabilit� e quindi connotati da una autorevolezza di maggiore spessore. (G. Dall�Ara: �esso risulta pur sempre un organismo consultivo in rapporto al Vescovo, ma risulta chiaro che se l�Assemblea � presieduta dal Vescovo, le decisioni del Consiglio nella misura in cui sono espressione della Comunione della Chiesa Locale, superano i limiti dei �buoni consigli� dati al Vescovo, e diventano deliberazioni della Chiesa e come tali impegnative e operative per tutta la comunit�. (CC n. 17-18, 25 aprile 1970, p. 2)

Accadde per� che la calma e la lentezza si rivelarono altrettanto problematiche. Fatti i necessari passi per approfondire le radici teologiche dei consigli, la loro natura giuridica, la grande importanza pastorale dentro quella ecclesiologia di comunione riscoperta e rilanciata dal concilio, si dovette passare alla grande e meticolosa consultazione per giungere alla designazione di coloro che avrebbero dovuto affiancare il vescovo nella responsabilit� di cercare e trovare le soluzioni aggiornate nell�azione pastorale.
La Commissione incaricata, dopo tre mesi di lavoro, mise a disposizione il testo dello statuto-regolamento e tutta la comunit� diocesana fu chiamata a discuterlo; �� risaputo che non mancano segni di stanchezza e di delusione l� dove gli organismi postconciliari sono stati gi� sperimentati. Ci� viene attribuito all�impreparazione, alla fretta ed anche ad errori di prospettiva�. Presupposta non illusoriamente dev�essere l�ecclesiologia conciliare e in prospettiva deve essere posta la pastorale organica�.

Si giunse cos� alla grande Assemblea diocesana, che si riun� per la prima volta il giorno di Pentecoste del 1971 (L�assemblea era composta da 24 preti, 9 religiosi, 25 religiose e 143 laici). Per portare a compimento i compiti che si era prefissati, si trasform� con l�approvazione del vescovo in Assemblea permanente, esprimendo un comitato provvisorio di coordinamento fino alla elezione vera e propria del primo Consiglio Pastorale Diocesano, avvenuta due anni dopo, esattamente in data 12 marzo 1972.

Le prime esperienze di consigli pastorali parrocchiali furono all�insegna del medesimo entusiasmo e senso di reale protagonismo da parte dei laici. Macerone e San Rocco furono le prime due parrocchie ad aprire questo capitolo, che fu seguito con interesse da tanti e trov� ampio rilievo sul settimanale diocesano. Si convocavano �assemblee parrocchiali� per esprimere e accrescere ulteriormente il senso di una partecipazione attiva alle decisioni riguardanti la vita della comunit�.
Con gli anni Settanta iniziano i programmi pastorali decennali della CEI che imprimono una spinta decisa e coordinata all�attuazione del concilio in Italia. Gli ultimi anni di Gianfranceschi registrano il suo zelo instancabile ma anche la fatica di far convergere le innegabili energie messe in campo soprattutto da associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali. In particolare nel mondo giovanile si avverte la necessit� di una comunione effettiva e in tal senso viene incoraggiata la figura del delegato che elabora Appunti di metodo per un�immagine comune di comunit� cristiana.

Una vera e propria Consulta diocesana per la pastorale giovanile sar� costituita agli inizi degli anni Ottanta da Luigi Amaducci. Ad un vicario episcopale per la pastorale Gianfranceschi affida il compito di promuovere e coordinare tutta l�azione pastorale. La stessa scelta far� mons. Amaducci nel 1985 in seguito alla ripresa in diocesi del convegno di Loreto.
Dopo la nomina (28 maggio 19779) e l�ingresso (1� luglio 1977) di mons. Amaducci, nel settembre 1977 un�apposita commissione fu incaricata di rivedere lo statuto e il regolamento del Consiglio Presbiterale che fu ricostituito alla fine di dicembre. Il 4 luglio del 1978 fu costituito il comitato per il rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano che fu insediato il 24 giugno 1979 e successivamente rinnovato negli anni 1982, 1986 e 1989. Particolare attenzione fu riservata alla pastorale d�ambiente: significativa, sotto questo aspetto, fu la nomina di due vicari per le �zone� della scuola e del lavoro (Gianfranceschi le chiamava �zone umane�). Durante l�episcopato di Amaducci fu attuata la restaurazione del diaconato permanente anche a Cesena-Sarsina; i primi diaconi furono ordinati nel 1986 e dopo venti anni hanno raggiunto il numero di ventinove.
Il convegno diocesano �Con Cristo incontro all�uomo� del 23-24 novembre 1985 (287 delegati sacerdoti, religiosi e laici) cerc� di coniugare l�eredit� del convegno di Loreto con il cammino diocesano gi� percorso elaborando un Progetto pastorale per gli anni 1986-1990. Il Consiglio Pastorale Diocesano continu� ad essere l�ambito di ripresa e di verifica, mentre il bilancio finale avrebbe dovuto sfociare nella fase preparatoria del sinodo che il vescovo intendeva avviare l�8 dicembre 1990; ma proprio in quel giorno la diocesi porgeva il saluto a mons. Amaducci trasferito a Ravenna-Cervia.

Sar� il successore, mons. Lino Garavaglia a realizzare tale progetto: non si erano pi� celebrati sinodi a Cesena dal 1929. Il Sinodo diocesano ���e lo riconobbero�. In cammino con Cristo verso il nuovo millennio� fu annunciato dal vescovo Garavaglia il 15 giugno 1995 durante la solennit� del Corpus Domini.
Il giugno successivo furono consegnati alla diocesi i Lineamenti per una consultazione diocesana che impegn� oltre 700 gruppi sinodali nelle parrocchie, comunit� religiose, associazioni e movimenti ecclesiali.
Una commissione preparatoria, sulla base dei contributi pervenuti, elabor� lo Strumento di lavoro che torn� all�esame dei gruppi sinodali fino al gennaio 1998. Il 31 maggio 1998, solennit� di Pentecoste, si celebr� in cattedrale l�apertura del sinodo che inizi� la discussione della bozza del Documento sinodale il 13 settembre, nella prima di 15 sessioni concluse il 6 dicembre successivo. L�8 dicembre 1998 si celebr� in cattedrale la conclusione solenne del sinodo: il vescovo ricevette dai sinodali il Documento approvato ed annunci� la visita pastorale in tutte le comunit� dal maggio 1999.

Rispetto ai precedenti piani pastorali pluriennali, di solito in sintonia con i programmi pastorali della Conferenza Episcopale Italiana, il sinodo segna un salto di qualit� grazie al coinvolgimento ecclesiale molto ampio nella fase di preparazione e al disegno complessivo delle tematiche affrontate con l�intento esplicito di un�attuazione del Vaticano II, come aveva affermato Garavaglia nella presentazione dell�evento alla citt�: �� il Concilio la chiave e la direzione del cammino presente e futuro della Chiesa verso il terzo millennio�.





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