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Walter Amaducci: Conferenze



Malattia e sofferenza: strada di Santità



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Walter Amaducci

MALATTIA E SOFFERENZA: STRADA DI SANTITA'


Relazione al convegno promosso dall'Ufficio Regionale di Pastorale della Salute
della Conferenza Episcopale dell'Emilia Romagna

LA CHIESA CON CHI SOFFRE

presenze accanto al malato

Cesena, Seminario Vescovile, sabato 16 ottobre 2010



La formulazione di questo argomento è molto chiara, ma pu� anche suscitare alcune perplessit�. Vale la pena indicarle apertamente perch� possono offrire un contesto pi� realistico alle riflessioni che far�.

La prima � quella del sospetto per l�evidenza. Non siamo soliti parlare di quello che � evidente. Che la santit� sia per tutti noi un obiettivo indiscusso non � affatto certo. Se dunque la meta � vaga e incerta, la strada che vi conduce risente della medesima incertezza, induce a rallentare il passo, a sostare pensierosi, a voltarsi indietro.

La seconda perplessit� deriva da una sensazione di intrusione in casa altrui. Parlare di malattia quando si � in buona salute � possibile solo e nella misura in cui si offrono parole al di sopra di ogni sospetto, vere dello splendore della Verit� con la maiuscola. (Un momentaneo problema di salute pi� serio del solito, ma superabile e superato - tre settimane - ha dato al mio successivo incontro coi malati del primo venerd� del mese una sorta di linguaggio condiviso, di sdoganamento rispetto all�altra parte).

La terza perplessit� � legata alla collocazione dell�accento: la strada della sofferenza � una via privilegiata alla santit�, lo � semplicemente come tutte le altre dal momento che ciascuno non pu� percorrere che la propria, o lo � nonostante tutto, cio� con una serie di ostacoli da superare pi� difficili e pi� numerosi rispetto ad altre strade?

Circa l�evidenza possiamo stare piuttosto tranquilli. Seneca lo sarebbe stato ancora di pi�. Scrive a Lucilio: �A che serve insegnare l�evidenza? Serve moltissimo. Certe volte, infatti, le cose le sappiamo, ma non siamo attenti. Le esortazioni non servono da insegnamento, risvegliano, per�, l�attenzione, stimolano, mantengono viva la memoria e non la lasciano smarrire. Noi tralasciamo molte cose che pure abbiamo davanti agli occhi: un ammonimento � una forma di esortazione. Spesso l�animo finge di non vedere neppure l�evidenza; e allora bisogna ricordargli anche le cose pi� note�. (Seneca - Lettere a Lucilio, XV,94,25)
�Spesso l�animo finge di non vedere neppure l�evidenza� anche per il cristiano, perch� la fede non � un dato garantito, perch� c�� un giovane dentro ciascuno di noi che dopo aver fatto la domanda giusta e avere ottenuto la risposta giusta, se ne va via triste, incapace e riluttante di fronte alla scelta decisiva. Il primo passo � promettente, i successivi pi� traballanti. Pietro affonda, preso dal panico: �Uomo di poca fede, perch� hai dubitato?� (Matteo 14,31).

Quella della santit� � un�impresa ardua, ma non prometeica, come lo � invece la scienza odierna, a cominciare da quella medica, nel suo atteggiamento stigmatizzato e cos� bollato � prometeico � da Giovanni Paolo II nell�enciclica Evangelium vitae (1995, n. 15). Tale atteggiamento, come afferma la Nota pastorale del 2006 su La comunit� cristiana e la pastorale della salute �Predicate il vangelo e curate i malati� coltiva �l�immagine di un uomo padrone assoluto dell�esistenza, arbitro insindacabile di s�, delle sue scelte e delle sue decisioni� (n. 9). �Coscienza costituente� � stata efficacemente chiamata quella rivendicata dall�uomo di oggi. L�obbedienza a un progetto stilato da un Altro appare umiliante, la parola vocazione � diventata nel linguaggio profano comune sinonimo di istinto.

Ma la dipendenza dalla verit� � regola elementare dell�essere, anche lo scienziato pi� arrogante non fa che obbedire a leggi preesistenti che cerca con passione di scoprire ed eventualmente di fare interagire. La prima e fondamentale legge che regola l�esistenza dell�uomo non pu� che essere di ordine metafisico, rispondere cio� alla domanda: a che scopo esisto, perch� sono al mondo?
Cristo rivelando l�uomo all�uomo gli ha reso nota la sua altissima vocazione (GS 22), quella di vivere in comunione con Dio nella perfezione dell�amore. In altre parole ogni uomo ha la vocazione certa alla santit� (Lumen Gentium, cap. V)
�I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Ges� nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perci� realmente santi. Essi quindi devono, con l�aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santit� che hanno ricevuto. (�)
� dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carit� e che tale santit� promuove nella stessa societ� terrena un tenore di vita pi� umano�. (Lumen Gentium n. 40).
�Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carit��.
(Lumen Gentium n. 41)

Per dono santi lo siamo gi�, dunque. L�identit� pi� profonda di ciascuno di noi � questa. �Diventa quello che sei� ripeterebbe a questo proposito Giovanni Paolo II; mantieni e sviluppa ci� che hai ricevuto, ha detto la Lumen Gentium.
In realt� il desiderio e il bisogno di riuscire, di non diventare dei falliti, ce lo portiamo dentro e lo esprimiamo in ogni fibra del nostro essere, del corpo e dell�anima. Ma l�inganno � in agguato, il pi� diabolico degli inganni, quello della idolatria che ci distoglie dal creatore, per abbassare a livello ruspante la meta delle nostre aspirazioni.
� la conseguenza pi� penosa del peccato originale, lo stravolgimento di cui parla Pascal: �La sensibilit� dell�uomo per le cose piccole e l�insensibilit� per le cose grandi � indizio di uno strano pervertimento�. Ma pu� arrivare, anche in un secondo tempo, magari in seguito a cocenti disillusioni o a incontri provvidenziali, la scoperta della meta vera. Il convertito Agostino di Tagaste, poi vescovo di Ippona, ha fissato in esclamazioni accorate questo recupero.
�Tardi ti ho amato, Bellezza tanto antica e tanto nuova; tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me, e io stavo fuori, ti cercavo qui, gettandomi, deforme, sulle belle forme delle tue creature. (�) Mi tenevano lontano da te le creature che, se non esistessero in te, non esisterebbero per niente� (Agostino, Confessioni XXVII).

Seconda perplessit�: l�imbarazzo di un sano che parla di sofferenza e malattia. �Credevo fosse fede e invece era salute� comment� un prete notando l�incepparsi di alcuni atteggiamenti di fondo all�apparire dei primi seri fastidi di salute.
Questa seconda perplessit� si pu� superare dentro la logica della �consegna�, in un atteggiamento di fede e di obbedienza. L�inadeguatezza � una reazione costante e probabilmente sana di fronte al deposito affidato: �Non dire: Sono giovane, ma va� da coloro a cui ti mander� e annunzia ci� che io ti ordiner�. Non temerli perch� io sono con te per proteggerti� (Ger 1,7-8). Giovane, cio� non all�altezza per mancanza di esperienza o di genialit� propria; ma �Noi abbiamo il pensiero di Cristo� (1 Cor 2,16) e allora �Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato�. (Atti 4.21)

Quando Giovanni Paolo II scrisse la lettera apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza umana (11 febbraio 1984) aveva 64 anni ed era in ottima salute; si era anche perfettamente ripreso dall�attentato (13 maggio 1981).
Il 13 maggio 1992 con lettera indirizzata al card. Angelini istituiva la Giornata mondiale del malato e il 21 ottobre indirizzava il messaggio per la Prima giornata che si sarebbe svolta l�11 febbraio 1993. Stava bene, e con ci�? Stava assolvendo al suo compito: �Conferma nella fede i tuoi fratelli!�; sposati, anche se tu sei celibe, donne anche se tu sei uomo, bambini, anche se tu sei adulto, prigionieri anche se tu sei libero, anziani anche se tu ancora non lo sei, malati anche se tu stai bene.

Oltre la Salvifici Doloris, 13 dei 18 messaggi per la giornata mondiale sono suoi, come tanti richiami sull�argomento in innumerevoli altri documenti e discorsi. Ma l�icona del Wojtila sofferente e ormai immobilizzato degli ultimi tempi � certamente rimasta impressa nella nostra memoria e in quella di milioni di uomini come un messaggio-testimonianza dai tratti inequivocabili.
Il 2 ottobre 1974 Paolo VI rivolgendosi ai membri del Consilium de Laicis aveva fatto un�affermazione successivamente ripresa anche al n. 41 dell�esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi: �L�uomo contemporaneo ascolta pi� volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perch� sono dei testimoni�.
�Per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, � il primo mezzo di evangelizzazione. (�) � dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzer� innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedelt� al Signore Ges�, di povert� e di distacco, di libert� di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santit��.

Un�esperienza di santit�: ecco allora la formula risolutiva. Ma se la testimonianza della sequela Christi nella malattia, la gratitudine e la volont� decisa di vivere la sofferenza nell�orizzonte del senso cristiano, come insegna la Salvifici doloris, possono raccontarle molte persone malate, alcune delle quali qui presenti, faremo davvero fatica a trovare qualcuno disposto a rendere testimonianza della propria santit�. Non � possibile. Nessun santo pensa di s�: io sono santo, e tanto meno lo afferma. Dir� puntualmente: �sono un grande peccatore� e noi gli crediamo.
Ma di un santo un altro pu� parlare. Ed � quello che intendo fare io, seguendo la traccia dell�avventura di una ragazza morta a 28 anni il 23 gennaio 1964, Benedetta Bianchi Porro. Cercher� di fare emergere dalle sue vicende i nodi cruciali da sciogliere sulla via della santificazione, a cominciare dal primo che ho gi� anticipato nella formulazione della terza perplessit�: la strada della sofferenza � una via privilegiata alla santit�, oppure no?

La collocazione dell�accento in questo momento � a mia discrezione, e con essa posso entrare pi� direttamente in argomento: �Noi sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio� (Rom 8,28).
La conclusione del n. 30 della Salvifici doloris ha il pregio delle formule sintetiche, lapidare, riassuntive di tutto il pensiero cristiano sull�argomento: �Cristo allo stesso tempo ha insegnato all�uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza� (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris, (11 febbraio 1984) n. 30).

Fare del bene a chi soffre � un�urgenza pi� facile da comprendere, ha da sempre caratterizzato la carit� cristiana, � stata ed � la testimonianza pi� limpida e pi� leggibile da parte di tutti del cuore del messaggio evangelico, mentre la promozione della persona sofferente � ancora oggi una impostazione pastorale in cantiere.

Fare del bene a chi soffre � certamente una strada di santit�. Pertanto almeno una breve sottolineatura di questo aspetto va fatta, perch� riguarda tutti noi indistintamente e molti di noi per il particolare servizio che li caratterizza a fianco di malati e sofferenti. Il bene va fatto bene, anzi: la carit� tende essa stessa per logica interna alla perfezione, dunque alla santit�. Si sono da poco concluse (il 27 settembre 2010) le celebrazioni dell�anno giubilare per i 350 anni dalla morte di S. Vincenzo de� Paoli e di S. Luisa de Marillac, grandi santi loro e spalatori di strade per la santit� di tanti altri. L�incontro, il contatto o la conoscenza di un santo hanno di solito un effetto trainante: �Ricordiamo l�espressione di S. Agostino: �Si isti et istae, cur non ego?� (Se questi e queste, perch� non io?)�.

Quella del buon Samaritano non � una parabola per specialisti di pastorale della salute, ma una provocazione che contiene uno stile proposto a tutti: ��Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che � incappato nei briganti?�. Quegli rispose: �Chi ha avuto compassione di lui�. Ges� gli disse: �Va� e anche tu fa� lo stesso��. (Luca 10,36-37).

Nella Salvifici doloris, al n. 28 papa Giovanni Paolo II commenta cos� il messaggio della pagina di Luca: �Buon Samaritano �, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si pu� dire che d� se stesso, il suo proprio �io�, aprendo quest��io� all�altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l�antropologia cristiana. L�uomo non pu� �ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di s�� (GS 24). Buon Samaritano � l�uomo capace appunto di tale dono di s��.

Fare del bene � dare concretezza al dono di s�. Fare del bene ha dunque sempre la connotazione della gratuit�, ma attenzione: tale gratuit� non � altro che un impegno a favore della giustizia, � l�impegno profuso per rendere possibile la fruizione di un diritto. Si aggancia qui, tramite questo anello di una solidit� formidabile, anche l�altro aspetto che vogliamo esaminare pi� attentamente, quello della malattia e della sofferenza come strada di santit� per chi soffre.

Far del bene con la sofferenza non � una possibilit� benevolmente concessa a gente pi� sfortunata da chi pu� permettersi di farne a meno: fare a meno di dirlo e soprattutto fare a meno di viverlo sulla propria pelle. Non si pu� tacere, trascurare di rendere consapevole chi soffre della fecondit� della sua condizione. � un talento vero e proprio, da riconoscere e sviluppare; un talento da chiamare cos� certamente con grande rispetto, con tatto e sottovoce, e non per dubbio di fede o vergogna del vangelo, ma perch� comprensibile soltanto dentro la logica delle beatitudini.
�Beati voi che piangete� lo dice Ges� (versione di Luca) e, come vedremo, nell�ottica del Regno � un�affermazione rigorosa. Per un operatore pastorale dovr� essere una dichiarazione esplicita pi� di arrivo che di partenza nei confronti di chi piange, per ragioni abbastanza ovvie: potrebbe suonare come un�insolenza detta da chi non vive una situazione analoga (Sandra). Viceversa testimoniata con l�esempio e anche detta da chi soffre pu� trovare scorciatoie provvidenziali, come lo mostra l�apostolato dei malati verso gli altri malati, ad esempio nella spiritualit� del CVS.

(Citazioni. Gedeone: �Gedeone, figlio di Ioas, batteva il grano nel tino per sottrarlo ai Madianiti. L�angelo del Signore gli apparve e gli disse: "Il Signore � con te, uomo forte e valoroso!". Gedeone gli rispose: "Signor mio, se il Signore � con noi, perch� ci � capitato tutto questo?� [Giudici 6,11-13] Traspare gi� l�autoironia ebraica. Mose: Allora Mos� si rivolse al Signore e disse: "Mio Signore, perch� hai maltrattato questo popolo? perch� dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!" [Esodo 5,22-23]. Ricordo il cinismo caustico di un aneddoto raccontato dall�ebreo Elie Wiesel, premio nobel per la pace, in relazione all�Olocausto: �Signore noi siamo il tuo popolo eletto; per qualche tempo non puoi scegliere un altro popolo come tuo popolo eletto? �).

Ma prima della parola c�� (o non c��) il pensiero, il convincimento. Se io credo vero tutto questo lo mostro con l�agire, con l�atteggiamento, con il coinvolgimento spirituale di intercessione e in termini anche pastorali, di coloro che soffrono.

Nella Christifideles laici, n. 54 (1988) il papa rivendicava all�uomo sofferente la qualit� di �soggetto attivo e responsabile dell�opera di evangelizzazione e di salvezza�. Quasi vent�anni dopo la citata Nota sulla pastorale della salute (2006) indica questo passaggio di concezioni come un obiettivo da rilanciare e da perseguire: �A nessuno sfugge quanto sia importante passare da una concezione che in tende il malato come oggetto di cura a una che lo rende soggetto responsabile della promozione del regno�.

Benedetta Bianchi Porro questo lo ha capito e lo ha vissuto. Ma non l�ha capito subito, non lo ha vissuto senza problemi. La sua � stata una strada abbastanza tortuosa e accidentata, per quanto ammirevole ci possa apparire la tenacia del suo passo. Questa strada contiene una valenza pedagogica di cui possiamo fare tesoro.


BENEDETTA BIANCHI PORRO



L�8 agosto 1936, alle ore 15,30, nasce a Dovadola Benedetta Bianchi Porro, figlia di Guido, ingegnere idraulico, (1899-1985) e di Elsa Giammarchi (1912-2004). Guido ha gi� un figlio, Leonida, nato il 24 settembre 1930. Dopo Benedetta la coppia avr� altri quattro figli: Gabriele (1938), Emanuela (1941), Corrado (1946) e Carmen (1953). A causa di un�emorragia la neonata appare in grave pericolo, per cui la mamma le conferisce d�urgenza il Battesimo in casa con acqua di Lourdes, rito che verr� ripetuto sub conditione il 13 agosto nella chiesa della SS. Annunziata di Dovadola.

In novembre Benedetta � colpita da poliomielite: la gamba destra rester� pi� corta e pi� sottile costringendola all�uso di scarpe ortopediche. Rimase zoppa per tutta la vita. �Porto i calzoni lunghi da uomo e tutti mi guardano� scriveva a nove anni.

Fin da piccola era pi� riflessiva e molto pi� equilibrata rispetto ai suoi coetanei, capace di considerazioni profonde, anche se perfettamente compatibili con altri lati vivaci. Testimonia sua mamma che anche la sua concentrazione nello studio era cos�: �Appena tornava da scuola apriva la cartella e tirava fuori i libri. Poi si stendeva a bocconi sul pavimento e si metteva a studiare. Leggeva con la faccina seria, corrugando un poco la fronte, senza mai distogliere lo sguardo dai libri. Ma quando finiva di studiare ridiventava bambina e si scatenava a giocare con i fratelli�.

Aveva una sensibilit� fortissima, e tuttavia non si ripiegava a commiserarsi. Se la chiamavano la zoppetta replicava che era la pura verit�. Ma quella menomazione, le pesava sempre pi� man mano che cresceva. Ai suoi genitori faceva una grande pena e una compassione analoga suscitava in tutti quelli che le volevano bene. Un handicap che motivava il suo esonero da educazione fisica a scuola, che la rendeva impacciata negli spostamenti, che sul piano estetico da grande l�avrebbe marchiata irrimediabilmente, non poteva limitarsi a un puro fatto fisico. I tentativi fatti di pareggiare le gambe non ebbero, in un primo tempo, possibilit� di attuazione. Dovette anzi rassegnarsi a mettere il busto, necessario, umiliante e doloroso.

Il 9 luglio 1949 la tredicenne Benedetta scrive nel suo diario:
�Stamattina ho messo per la prima volta il busto, che pianti! Mi stringe forte forte sotto le ascelle e quasi mi leva il fiato costringendomi a stare con le spalle indietro. Mi pare ora quasi di constatare di pi� le cause della mia disgrazia: prima ero sempre spensierata e mi credevo quasi uguale agli altri ma ora� che precipizio ci separa� non potr� mai avere le gambe uguali e se non portavo il busto sarei diventata gobba! Ma nella vita voglio essere come gli altri forse pi�� vorrei poter diventare qualche cosa di grande� quanti sogni, quante lacrime, quanta nostalgia e malinconia povera Benedetta!�

Questa ragazzina di tredici anni� vorrebbe poter diventare qualche cosa di grande. � una ragazza vera, che si vuole bene. Non � mica facile volersi bene. � facile essere egoisti, ma l�egoista non sta facendo il proprio bene, anzi: quando siamo egoisti ci stiamo demolendo con le nostre mani.
Benedetta era una bella ragazza, fine, molto attenta anche alla cura della sua immagine. Anche i suoi celebri orecchini rientravano in questa volont� di perfezione. I suoi fratelli la chiamavano Ava Gardner! Ma proprio per questo risaltava ancora maggiormente lo sgorbio della sua gamba. Quando le regalarono la bicicletta assapor� una gioia incontenibile, la stessa che provava nuotando. La gioia di essere uguale gli altri.

Nel 1951, mentre era a lezione di pianoforte, avvert� capogiri e tremiti alle mani e in seconda liceo, due anni dopo, i primi sintomi della sordit�.
La sordit� fu una sorpresa molto amara. Pi� di una volta fu oggetto di reazioni divertite da parte dei tuoi compagni. Fu terribile. Poteva significare l�emarginazione progressiva dalle relazioni coi suoi simili, l�isolamento. Cominci� a veder vacillare la possibilit� di progetti per il futuro, sent� ancora pi� acutamente la corsa del tempo accanto a lei e il bisogno di sfidare quel tempo implacabile.

Scelse il campo di battaglia a lei pi� congeniale, quello degli studi. Il suo ambiente familiare aveva favorito la sua predisposizione alla lettura e allo studio, come ogni suo interesse verso le svariate forme della bellezza e dell�arte. Ingaggi� una corsa contro il tempo: durante l�estate del 1953, saltando la terza liceo, prepar� l�esame di maturit� classica e il 6 ottobre ottenne il diploma con la media del sette e mezzo. Era pronta ad iscriversi all�universit�. Aveva appena diciassette anni.
Avrebbe desiderato fare Medicina, ma suo padre riteneva quella facolt� troppo impegnativa e la convinse a scegliere Fisica. Lo spettro della matematica, che gi� in passato l�aveva perseguitata, incombeva di nuovo su di lei. Non aveva alcun senso sottoporsi a una simile penitenza e decise di cambiare. Torn� al suo primo sogno di Medicina e i suoi genitori si mostrarono molto pi� accondiscendenti di quello che si sarebbe immaginato. Si butt� nello studio con entusiasmo.

Ma il suo corpo doveva fare i conti con la sordit� e con stati di spossatezza crescenti. La convinsero ad andare da uno psicanalista, nella convinzione che i suoi disturbi di udito potessero avere spiegazioni a quel livello, anche se nel frattempo risultava assai pi� utile il corso che frequentava alla scuola per sordomuti.

Ma i suoi fastidi non erano provocati soltanto dalla sordit�. Faceva sempre pi� fatica a camminare e non aveva definitivamente rinunciato all�idea di farsi pareggiare le gambe. Il progetto and� in porto il 12 luglio1955 quando fu ricoverata nella Casa di Cura �Villa Igea� di Forl� per l�accorciamento del femore sinistro di tre quattro centimetri. Ad operarla fu il professor Gui.

Tutto questo non le impediva di studiare e dare esami. Con avventure e disavventure tutte da raccontare. Un giorno la mamma trov� sul comodino dell�ospedale un biglietto nel quale Benedetta si scusava per l�assenza: era andata a dare un esame all�universit�!

Il 25 giugno del 1955, proprio prima dell�intervento alla gamba, le capit� l�incidente dell�esame di Anatomia umana: era l�esame pi� impegnativo del primo biennio e l�aveva preparato con lunghi mesi di studio. Scese tremando le gradinate della grande aula ad anfiteatro che era gremita di studenti e si avvicin� al microscopio; mise a fuoco e identific� immediatamente il preparato istologico del vetrino.
L�assistente, che la conosceva, le rivolse alcune domande per iscritto e lei rispose con sicurezza. Poi le fecero cenno di presentarsi al professore per la parte teorica dell�esame, gi� di per s� difficile e impegnativa. Quando il professore le rivolse la parola Benedetta non riusc� a capire niente. Rossa di vergogna e di confusione cerc� di spiegargli la sua situazione di sordit�; lo preg� di avere pazienza e di rivolgerle le domande per iscritto. �Che pazienza e pazienza! Chi ha mai visto un medico sordo?� sbott� il docente. E scagli� con violenza il suo libretto universitario contro la porta.
Mentre avveniva questo i suoi compagni stavano reagendo con grandi risate. Anna, la sua domestica e amica che la accompagnava, raccolse il libretto, umiliata e addolorata quasi pi� di lei. Benedetta decise di informare la mamma solo la mattina dopo. Com�era da aspettarsi mamma Elsa si indign� come una belva e ottenne di farle ripetere l�esame. Lo ridiede l�undici novembre superandolo con 23/30. Il professore si era rifiutato di interrogarla, ma alla fine le strinse la mano.

Ma per la salute stava arrivando il peggio�un peggio che era gi� all�opera da anni, solo che i medici non l�avevano identificato. Quando cominci� a percepire dei disturbi alla vista che finirono per concretizzarsi in una piccola ulcera corneale, Benedetta riusc� da sola a diagnosticare il suo male. Naturalmente nessuno le voleva credere. Era una malattia molto rara, terribile e inesorabile: il morbo di Recklinghausen chiamato anche�Neurofibromatosi diffusa.

Si tratta di tumori che colpiscono i centri nervosi e progressivamente spengono la capacit� ricettiva dei sensi. Il risultato finale � la paralisi dell�organismo e la sua totale insensibilit�. Senza alcuna possibilit� di poterli contrastare in maniera risolutiva. Si possono rimuovere certi noduli, ma sempre e solo per rimandare la disfatta. Dovette effettuare molti ricoveri, interventi complessi e dolorosi. Talora anzich� migliorativi risultarono controproducenti o ebbero effetti collaterali devastanti.
Il 27 giugno del 1957, ad esempio, la operarono per la prima volta alla testa per asportare un nodulo dal nervo acustico. Quando si risvegli� dall�anestesia avvert� al viso qualcosa di strano; se lo tocc� e si rese conto che per sbaglio il chirurgo, prof. Augusto Beduschi, le aveva leso il nervo facciale: aveva la met� sinistra del volto paralizzata.
Potete immaginare l�imbarazzo del chirurgo, il giorno dopo, quando and� a scusarsi. Ma Benedetta cerc� di sdrammatizzare: �Mi dia la mano e stia sereno! � una cosa che pu� succedere: non � mica il Padre eterno lei!�

Quegli interventi non potevano essere risolutivi, ma andavano fatti. I parziali recuperi venivano presto sommersi da nuovi episodi o manifestazioni del male. Comparvero ad esempio dei disturbi atassici, cio� di mancanza di coordinazione dei movimenti muscolari. Faticava a mantenere l�equilibrio, provava la sensazione di vertigini; fatto sta che per poter camminare doveva appoggiarsi al bastone. E anche a questo si accompagn� una buona dose di vergogna.

Ma la peggiore di tutte le prospettive, per lei, era l�eventualit� di diventare pazza. Se c�era un pensiero capace di angosciarla era quello. Per concludere un po� in accelerazione diciamo semplicemente che giorno dopo giorno, mese dopo mese, proseguiva la sua demolizione. Dopo l�udito perdette anche il tatto, l�olfatto, il gusto. Divenne cieca. Le furono asportati tutti i denti. Non poteva neppure piangere. Il suo corpo rimase completamente paralizzato. Ma con un�eccezione: la mano destra le fu risparmiata e cos� pure la voce. Cos� in quello che avrebbe potuto diventare un castello inaccessibile, rimase un pertugio sufficiente per entrare ed uscire.

Mentre si avvicinava l�appuntamento con quella cecit� inevitabile si chiedeva come avrebbe potuto fare a comunicare con gli altri una volta rimasta completamente cieca e sorda. E pens� all�alfabeto muto. Non poteva vedere, poteva solo sentire la sua mano e il suo braccio che opportunamente manovrati o disposti secondo le posizioni dell�alfabeto muto trasmettevano alla sua mente le varie lettere. Si trattava di unirle in parole e frasi e il gioco era fatto. Col suo filo di voce, debole e roca, poi rispondeva.

Perdette completamente la vista nel 1963. Quel fatto segn� il compimento della svolta iniziata alcuni anni prima, nel febbraio del 1959 quando aveva conosciuto Nicoletta Padovani. Quattro anni dopo le avrebbe scritto rammentando il primo giorno che si erano parlate: �Per uno strano presentimento, capii che tu mi avresti aiutata, non solo all�universit�, ma nell�altra Universit�: quella vera: quella di Dio�.
Si sent� debitrice a Nicoletta di quel passaggio radicale dalla sua religiosit� rigorosa accompagnata da una morale altrettanto intransigente ad una fede come incontro vivo, reale, con Ges� Cristo che le consentiva l�accesso al Padre e glielo faceva sperimentare in ogni istante della vita. Non ebbe bisogno di rinnegare i suoi grandi autori preferiti da Pascal a Dostoevskij e agli altri grandi scrittori russi, da Shakespeare a Leopardi: con i suoi amici era bello e fecondo confrontarsi sui loro scritti. Essi dilatarono le sue domande di senso e di verit�, le fecero intravedere barlumi di risposta. Ma questa fontana dissetante l�aveva gi� a disposizione da anni ed era la Sacra Scrittura, erano i grandi santi come Agostino, Francesco, Teresa di Lisieux, Francesco di Sales. Nicoletta le fece da guida in questa riscoperta. Le lettere di San Paolo diventarono una miniera d�oro, e cos� S. Agostino. Fu una riscoperta.

Quando ad esempio rilesse le Confessioni di S. Agostino si accorse nettamente di questo salto di qualit� che la sua percezione registrava. Scrisse a Maria Grazia, il 1� ottobre del 1960: �Mi sono messa a rileggere un libretto (�Le confessioni� di S. Agostino) che lessi a scuola in 2� liceo durante filosofia e che a quel tempo non mi aveva fatto molta impressione (tra l�altro mi ha colpito l�insulsaggine delle mie noterelle di allora). � stata un�idea luminosa perch� � un libretto pieno di cose sublimi; lo conosci?�.
Grazie a Nicoletta si verific� in lei questa presa di coscienza che un po� alla volta riusc� a fare coincidere fede e vita. In seguito, grazie ai suoi amici di Giovent� Studentesca, anche la sua esperienza della Chiesa assunse una concretezza e una bellezza straordinarie.

�Dio ci fa capire man mano quello che vuole da noi e quello che dobbiamo fare� scrisse una volta. E furono le altre persone che l�aiutarono a decifrare i fatti della vita.
� lo stile di Dio, � il suo metodo. Come accadeva a Maria di cui Benedetta era devotissima. Non c�era Gabriele come consulente fisso accanto a Maria. Di solito anche lei apprendeva da altri: dalla cugina Elisabetta, dai pastori di Betlemme, dai vecchi Simeone e Anna� dai fatti stessi che le capitavano e che magari la costringevano a riflettere per trovare il bandolo della matassa, come annota Luca: �Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore�.

�Ho tanto desiderio di salire, ma la montagna verso l�alto � faticosa, e se Lui non mi prende la mano per aiutarmi, io non riuscir� pi� a fare passi, e la sosta non la voglio, perch� � sempre pericoloso infiacchirsi�. Queste parole le scrisse a Roberto il 13 maggio del 1963. Poco pi� di un mese prima, il 4 aprile, gli aveva fatto una raccomandazione precisa: �Scegli un confessore stabile, maturo e poi cerca di andare sempre da lui a consigliarti. Non cambiare: conoscendoti sapr� meglio guidarti�.

Benedetta desiderava guarire. Se la medicina appariva impotente poteva riuscirci il miracolo. Per questo si rec� a Lourdes. Il primo impegno � togliere o alleviare la sofferenza e il dolore. � il primo impegno verso gli altri e verso se stessi.
Ges� era un guaritore e chiese ai suoi discepoli di fare lo stesso.
Matteo 10.1: Chiamati a s� i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d�infermit�.
Matteo 10.8: Guarite gli infermi.
Marco 16.17-18: E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome� imporranno le mani ai malati e questi guariranno�.
Luca 10.9: curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si � avvicinato a voi il regno di Dio

Dal 24 al 31 maggio 1962 dunque � a Lourdes in pellegrinaggio con l�Unitalsi. Guarisce miracolosamente Maria Della Bosca, una ragazza di ventidue anni di Tirano. Guarisce perch� proprio Benedetta la incoraggia ad avere fede.
Benedetta rimase molto turbata, scossa. Ma fu proprio la fede a farle riconoscere il criterio di Dio che supera il nostro. �Egli agisce sempre per il nostro bene� scrisse con rinnovata certezza a Nicoletta dopo quei fatti. E nella lettera successiva le conferm� questa sintonia con la volont� di Dio che stava maturando in lei: �Sai, tempo fa cercavo Dio, ma mi agitavo come in un vestito troppo stretto, ora va liscio�.

Ebbe certamente dei momenti di avvilimento con la sensazione di essere inutile. Li aveva avuti nella sua adolescenza, come tanti suoi coetanei, e anche da pi� grande man mano che i suoi progetti si infilavano in un vicolo cieco. Arrivarono anche i momenti terribili della disperazione accompagnati dal pensiero del suicidio: gettarsi dalla finestra del suo appartamento, a Milano. Ma poi quel vicolo fu invaso da una luce splendida e vide che non era affatto cieco. Quando cap� che era veramente importante per Dio, e che tutto quello che donava a Lui � con gioia o con fatica � diventava oro, la paura si dilegu�. Pot� tornare qualche volta, come tentazione, come prova, solo per essere superata prontamente.

Come prova.
Clive Staples Lewis nel suo libricino dal titolo Diario di un dolore afferma che le prove non servono a Dio, perch� lui ci conosce bene, sa gi� come siamo. La prova serve a chi dice di amarlo per verificare se � proprio vero e fino a che punto.
Ma serve anche a chi vive accanto al �provato� perch� gli offre un�occasione di schierarsi e di scommettere sulla bont� di Dio. Quando Maria Grazia le scriveva �Sei il volto stesso della speranza� non faceva solo l�elogio di Benedetta, ma rivelava qualcosa di s�, della propria speranza che si specchiava in quella dell�amica e ne traeva forza.

Sofferenze tuttavia non solo rivelatrici, ma in s� utili e vantaggiose. A lei come purificazione, a tutti come redenzione.
Nicoletta conosceva bene l�esistenza delle sue turbolenze e le scrisse delle parole indimenticabili: �Non ti angustiare se ti sembra di ribellarti: a Dio non importa! Lui sa. Ricorda che quando sembra di non credere pi� abbastanza, � allora che siamo con Cristo in Croce per riscattare il mondo. �Padre, perch� mi hai abbandonato?�. Vorrei soffrire un poco al tuo posto. Ma davanti a questo mistero enorme Lui vuole solo il nostro �s��. Non importa se lo diciamo male�.

Siamo con Cristo in Croce per riscattare il mondo: la teologia paolina illumina Benedetta, ed � il cuore del nostro argomento.
�Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ci� che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che � la Chiesa�. (Colossesi 1,24)
La precedente traduzione della CEI recitava: �Perci� sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che � la Chiesa�. Con tutte le sfumature da precisare, comunque, il significato � chiaro: Cristo ha portato con s� sulla croce i dolori e le sofferenze di ogni uomo dando ad esse un valore redentivo, di �corredenzione�: offerte insieme alle sue al Padre, esse sono �salvifiche� per l�offerente e per tutti coloro a beneficio dei quali sono offerte.

Come le preghiere. Chi crede sa che l�intercessione continua di chi vive in clausura va a beneficio reale di tante persone, vive e defunte. Questo vale per ogni preghiera di intercessione. S. Teresa di Ges� Bambino divenne patrona delle Missioni per questa duplice offerta, di preghiera e di sacrificio, a beneficio dei missionari.
Le parole di Benedetta al ritorno dal secondo viaggio a Lourdes furono: �Ed io mi sono accorta, pi� che mai, della ricchezza del mio stato, e non desidero altro che conservarlo. � stato questo il miracolo di Lourdes, quest�anno�.
Non desiderava star male. Benedetta voleva stare con Dio, stare bene con Lui, senza che niente diventasse talmente importante o talmente terribile da interporsi tra lei e Lui. Perch� la gioia di star bene con Lui non era e non � paragonabile ad altre!

Don Elios Giuseppe Mori, il 12 settembre del 1960 le scriveva: �Non misurare la tua vita col metro della sofferenza, pensando che abbia valore solo quello che ti costa. Il valore di ogni cosa � l�amore. Cerca di amare Dio coi sentimenti di una figlia. Quando stai bene, gli sei vicina come quando stai male; cerca in un caso come nell�altro di volere bene al tuo Padre celeste�.

Infatti Benedetta non riteneva che quella fosse l�unica via di santificazione. Sua sorella Manuela, era ballerina del teatro alla Scala di Milano. Tutta la famiglia ne andava fiera fin dai suoi primi anni. Bimba bellissima, bionda con gli occhi verdi, era abile nella danza, tanto da meritarsi a otto anni, per la sua performance nell�operetta Fior di loto, non solo gli applausi dal pubblico del teatro di Ravenna ma tutto l�entusiastico apprezzamento di Benedetta e dei familiari; era il fiore all�occhiello della famiglia Bianchi Porro. La sua bellezza e la sua bravura erano attributi cos� evidenti che nessuno poteva metterli in discussione e Benedetta per prima era felice di avere una sorella come lei.
Quando alla fine di febbraio 1963 fu operata e perse completamente la vista, Benedetta stette molto male e padre Graziano dei Camilliani celebr� la S. Messa nella sua stanza all�ospedale. Terminata la celebrazione conged� gli amici che si erano radunati intorno al suo letto, ma volle che si trattenesse per un attimo proprio una delle ballerine della Scala, la Lilli, cio� Liliana Cosi. Le premeva comunicarle un messaggio a cui tenevo molto, un messaggio valido per lei e per tutte le sue colleghe, Manuela compresa: �Ricordati Lilli, che si pu� essere santi ovunque ci si trovi�.

Furono mesi di passi ardui, ma decisivi i primi sei mesi del 1963.
27 febbraio: importante intervento chirurgico. 28 febbraio: definitiva perdita della vista. 1 marzo: per l�aggravamento delle sue condizione di salute Benedetta riceve il sacramento dell�Unzione degli infermi. 15 aprile, luned� dell�angelo: si sposa la sorella Manuela. 24-30 giugno: compie il secondo pellegrinaggio a Lourdes con l�Oftal. �Mi sono accorta, pi� che mai, della ricchezza del mio stato e non desidero altro che conservarlo� fu il risultato finale di quel percorso serrato.

La sofferenza non le aveva spento l�amore per la vita, la capacit� di gustare le bellezze del creato. Indimenticabile quella scena della mano che sente il calore del sole e ne gusta tutta la magnificenza. �I giorni passano nell�attesa di Lui, che io amo nell�aria, nel sole che non vedo pi�, ma che sento, ugualmente, nel suo calore, quando entra attraverso la finestra a scaldarmi le mani; nella pioggia che scende dal cielo per lavare la terra�.
Stava dettando quelle parole con un filo di voce perch� tutto il suo corpo era paralizzato e insensibile, tranne che in quella mano risparmiata dalla paralisi, con la quale riusciva a comunicare con l�esterno.
�Io penso: che cosa meravigliosa � la vita (anche nei suoi aspetti pi� terribili); come la mia anima � piena di gratitudine e amore verso Dio per questo!�. Riuscire a vedere le meraviglie di Dio dietro la scorza provocatoria del male e del dolore � un�abilit� che solo Lui pu� dare.

� il caso di ribadire la sua sensibilit� straordinaria, che la rendeva capace di assaporare in maniera elevata tutte le bellezze e le gioie ma anche di percepire il dolore in forme altrettanto acute. A tale proposito scrisse a Maria Grazia:
�Chiss� perch� spesso si sente dire che pi� si � intelligenti e pi� si apprende, meno si � felici. Non � vero, invece; non c�� felicit� senza la coscienza di essa; anzi, la coscienza della mia propria felicit� mi inebria e mi d� attimi di vera estasi spirituale�. A Manuela, qualche anno dopo, avrebbe scritto con toni di struggente nostalgia, ripensando alla sua infanzia quando alla domenica la mamma portava i suoi bimbi a San Mercuriale: �Come eravamo felici, allora!! E non sapevamo di esserlo�.

I suoi ultimi mesi furono intensissimi di relazioni e di corrispondenza. Le sue lettere dettate alla mamma e quelle che riceveva �tradotte� da lei si susseguivano ad un ritmo incalzante.
Sentiva in maniera acutissima la responsabilit� del tempo che le era stato assegnato: doveva sfruttarlo fino in fondo.

Ancora in prima media, aveva composto un tema dal titolo L�orologio, che l�insegnante aveva giudicato cos�: �non si pu� dare un voto perch� � un�opera sublime�. La morale era limpida: �dovremo rendere conto a Dio del tempo che lui ci ha dato come un dono prezioso. Se ogni sera pensassimo a questo, faremmo un uso migliore delle nostre giornate, e forse non sciuperemmo neppure i minuti�.

Poche ore prima di morire le fu letto l�atto di offerta di S. Teresa con espressioni come �� Vi ringrazio, mio Dio, di tutte le grazie che mi avete concesse, in particolare di avermi fatto passare per il crogiolo della sofferenza��
Da pi� giovane aveva scritto: �sono triste e vuota perch� tutti i miei ideali sono ancora cos� lontani ma io ho bisogno di una meta pi� vicina da raggiungere�. E invece il desiderio riusc� a dilatarsi e la meta pot� innalzarsi grazie alla preghiera, come esercizio del desiderio! Non c�era niente di pi� urgente, di pi� importante per lei. La sorellina Carmen sapeva che su tutto poteva cedere con lei, ma non sul tempo dedicato alla preghiera. E mentre pregava diventava ostensorio inequivocabile della presenza di Dio: �Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui�.

Benedetta ci ha confermato come �l�uomo, il quale in terra � la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di s�� come dice la Gaudium et spes e riprende la Salvifici doloris.

Benedetta aveva ripetutamente contemplato questa verit� centrale nell�immagine evangelica del chicco di frumento che per portare molto frutto deve morire, e soprattutto nello svuotamento di Ges� stesso, il Figlio di Dio che muore sulla croce. L�esempio evangelico del chicco di grano era stato riespresso in modo efficace dal poeta indiano Tagore nella leggenda del mendicante e del re, riferita il 18 ottobre 1963, giornata missionaria, da Carmen che l�aveva sentita da un frate in chiesa, durante la predica. Pochi attimi prima di morire a Benedetta torn� in mente quella leggenda e sussurr� alla mamma: �Ricordi... la leggenda? La leggenda, ricordati�� Seguirono poche altre parole. L�ultima fu: Grazie.

Era il 23 gennaio 1964, alle 10,40. La morte l�aveva raggiunta nella sua casa bianca dalle persiane verdi, a Sirmione sul lago di Garda.
Il 24 gennaio, alle ore 16 ebbero luogo i solenni funerali a Sirmione.
Il 25 gennaio la salma di Benedetta venne portata a Dovadola e tumulata nella tomba dei nonni materni nel locale cimitero.
Cinque anni dopo, il 22 marzo 1969 ci fu la traslazione della salma di Benedetta alla Badia di S. Andrea in Dovadola e la collocazione dentro un sarcofago sormontato da un altorilievo in bronzo di Angelo Biancini. La scritta �non muoio, ma entro nella vita� � di S. Teresa di Lisieux.

Concludo rileggendo quella poesia di Tagore e meditandola con voi. Il contenuto � squisitamente evangelico. Se l�uomo si ritrova nel dono di s�, quando Dio gli offre la possibilit� di farlo in forma fecondissima e perfetta, gli sta offrendo il pi� prezioso dei regali.

Ero andato mendicando d�uscio in uscio
lungo il sentiero del villaggio,
quando il tuo cocchio dorato
apparve in lontananza
come un magnifico sogno
e mi chiesi chi fosse
questo Re di tutti i re!
Le mie speranze crebbero, e pensai
che i brutti giorni fossero passati,
e rimasi in attesa di doni non richiesti,
di ricchezze profuse da ogni parte.
Il tuo cocchio si ferm� vicino a me.
Mi guardasti e scendesti sorridendo.
Sentivo che alfine era arrivata
la fortuna della mia vita.
Poi., all�improvviso,
mi stendesti la mano
chiedendo: � Che cos�hai da darmi? �
Quale gesto regale fu il tuo!
stendere la mano a un mendicante
per mendicare!
Rimasi indeciso e confuso.
Poi estrassi dalla mia bisaccia
il pi� piccolo chicco di grano
e te lo offersi.
Ma quale non fu la mia sorpresa
quando, finito il giorno, vuotai
la mia bisaccia per terra e trovai
un granellino d�oro
nel mio povero mucchio!
Piansi amaramente e desiderai
di aver avuto il coraggio
di donarti tutto quello che avevo.

Giovanni 12,24: In verit�, in verit� io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.

� il frutto che Benedetta sta portando da molti anni e che, mi auguro, possa costituire anche per noi una spinta decisiva a fare altrettanto.





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