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Walter Amaducci: Conferenze



San Vincenzo de Paoli



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Walter Amaducci

SAN VINCENZO DE PAOLI


Intervento al convegno celebrativo in occasione dei 350 anni dalla morte di San Vincenzo de Paoli
Cesena, Basilica del Monte, 26 settembre 2010



San Vincenzo: lui o lei? E' molto probabile che per varie persone qui presenti "San Vincenzo" da sempre significhi e indichi la nota associazione dedita alla carità, quella che dal 1887 è presente e opera anche a Cesena e che ha organizzato questo convegno. E' certo che se non ci fosse "lei" qui a Cesena, quasi nessuno avrebbe saputo che esattamente 350 anni fa, il 27 settembre 1660, moriva a Parigi questo grande santo chiamato ancora in vita "Padre della patria" e che, secondo le parole del vescovo che tenne l'omelia al suo funerale "aveva cambiato il volto della Chiesa".
In queste ore si sta concludendo a Roma un importante convegno di tre giorni, sul tema "Carità e missione" che chiude l'anno giubilare per i 350 anni dalla morte di S. Vincenzo de Paoli e di S. Luisa de Marillac: sì perché senza santa Luisa de Marillac non sarebbe immaginabile l'opera vincenziana, come del resto non lo sarebbe senza la figura e l'apporto del beato Federico Ozanam, morto l'8 settembre 1853.
Ho già delineato dunque, attraverso alcuni nomi, quella benedetta cordata alla quale si aggrega oggi ogni vincenziano, una cordata che grazie alla comunione dei santi attinge dal passato una linfa reale ed efficace. Infatti nel momento della preghiera, all'inizio di ogni incontro di conferenza, si invocano questi santi confidando nella loro intercessione e nel loro esempio.
Il loro esempio: ne siamo sicuri? Ho provato a rivolgere questa domanda a me stesso, costringendomi a richiamare alla memoria e ad esporre in pochi tratti tutto quello che sapevo di san Vincenzo. Mi tornavano alla mente poche scene di un vecchio film in bianco e nero, "Monsieur Vincent" e nulla più. Mi sono accorto che non avevo mai studiato questa figura di santo. Allora sono corso ai ripari. Mi sono letto due articoli biografici e un libro su di lui, poi un secondo libro su Federico Ozanam; mi riprometto quanto prima di colmare la lacuna su Luisa de Marillac.
Al termine della lettura della biografia di San Vincenzo sono rimasto attonito, soprattutto collegando la sua straordinaria esistenza all'altra, recentemente rivisitata, del Santo Curato d'Ars. La Chiesa di Francia ha davvero espresso dei figli dalla statura gigantesca. Il mio intervento stasera vuole essere semplicemente un invito accalorato a conoscere la storia di San Vincenzo. Ogni santo ha questa capacità di trascinare ad una traduzione concretissima del vangelo, infondendo a questo proposito un grande incoraggiamento. Ricordiamo il commento di S. Agostino quando lesse la biografia di S. Antonio: "Si isti et istae, cur non ego?" (Se questi e queste, perché non io?).
Vincenzo non è nato santo. Terzo di sei figli di contadini della Guascogna, fin da piccolo conobbe ristrettezze e fatica. Nato nel 1581 a Pouy, un piccolo villaggio di case d'argilla sperduto tra le paludi, dall'età di sei anni il suo lavoro era quello di badare i porci al pascolo. Si accorse di lui, della sua intelligenza vivace e sprecata, un avvocato di Dax, il signore de Comet, che possedeva delle terre in quella regione, e convinse il padre a farlo studiare. Il collegio fu per Vincenzo la scoperta di un mondo più elevato che lo convinse ad uscire dal proprio. Un giorno si rifiutò di scendere in parlatorio dove il padre lo attendeva per una delle sue rare visite, perché si vergognava di fronte ai compagni della sua povertà. Ancora da vecchio ricordava tra le lacrime quella vigliaccheria.
Eppure quel padre non risparmiava sacrifici per assecondare i progetti del figlio; quando il ragazzo, ormai avviato sulla strada del sacerdozio, dovette spostarsi per gli studi a Tolosa, non esitò a vendere un paio di buoi per assicuragli la possibilità di studiare Teologia. Vincenzo fu ordinato sacerdote giovanissimo, il 23 settembre 1600, ma continuò gli studi fino alla laurea ottenuta a Tolosa nel 1604. Nel frattempo faceva il precettore e poteva contare su alcune rendite. Di quel periodo è difficile ricostruire i fatti con precisione, ma sappiamo che durante un viaggio in nave fu assalito dai pirati, fatto prigioniero e condotto a Tunisi. Per circa due anni sperimentò il dramma della schiavitù, dalla quale potò uscire in maniera avventurosa.
Non è possibile ora, per la ristrettezza del tempo, proseguire il racconto della vita di Vincenzo de Paoli in modo dettagliato. Cercherò di far emergere alcuni aspetti meno noti o meno ovvi. Innanzi tutto non è facile avere un'idea del contesto politico, sociale e religioso del suo tempo, di quel Seicento pieno di contrasti. La povertà diffusa, gli squilibri sociali tra famiglie ricche e famiglie miserabili, gli effetti catastrofici delle continue guerre, come quella dei Trent'anni, delle rivolte e delle lotte civili (pensiamo alle vicende della "Fronda", quasi un anticipo di quella che sarà la Rivoluzione francese), l'abbandono quasi totale delle popolazioni anche da parte della Chiesa che ancora non aveva avviato una seria applicazione degli orientamenti e delle norme del Concilio di Trento. I vescovi erano in gran parte preoccupati del proprio benessere materiale e legati agli interessi di famiglia, i sacerdoti erano spesso ignoranti, latitanti e demotivati.
Il Signor Vincenzo (Monsieur Vincent) si trovò ben presto a frequentare famiglie di alto rango e la stessa corte. Ma ebbe la fortuna e la saggezza di trovare un direttore spirituale, Pierre de Bérulle (successivamente cardinale) che lo aiutò in momenti critici e decisivi a imboccare strade importanti.
Fu proprio de Bérulle a fargli assegnare una parrocchia alla periferia di Parigi perché vi potesse svolgere un ministero sacerdotale autentico e poi a richiamarlo perché assumesse il ruolo di precettore nella nobile famiglia dei Gondi, discendenti da antichi banchieri italiani giunti in Francia al seguito dei Medici. Filippo Emanuele de Gondi era generale delle galere e comandava la flotta del regno mentre suo fratello era addirittura arcivescovo di Parigi.
L'attenzione ai poveri, espressione della sua ascesi di vita evangelica, si era già manifestata in qualche episodio. Entrato nella cerchia dei cappellani della regina, Margherita di Valois, era venuto un giorno in possesso di una rilevante somma di denaro (molti milioni di oggi) che donò immediatamente ai malati e agli invalidi del vicino ospedale dei Fatebenefratelli. Non ci sorprende perciò la sua fuga dal castello di Montmirail, abitazione dei de Gondi, per raggiungere una misera comunità tra le vaste proprietà della famiglia, dove già varie volte aveva incontrato i contadini locali.
Si trasferì dunque a Chatillon les Dombes dove ebbe la prima grande intuizione circa la carità organizzata con intelligenza. Informato immediatamente prima della Messa da Mademoiselle de la Chassaigne, nobile signorina del paese, che tutti i membri di una famiglia priva di mezzi erano gravemente ammalati, lanciò un appello che non andò a vuoto. Ma poi recatosi di persona sul luogo, si accorse che quella ondata di generosità, non avrebbe avuto seguito se non si fosse prevista un'assistenza duratura con volontari che si alternassero nell'assistenza a quei poveri e a tutti gli altri. Nacque così, il 20 agosto 1617, la prima "Carità" costituita da tutte donne; il ramo maschile nascerà molti anni più tardi, a Parigi nel 1833, ad opera di Emanuel Bailly e Federico Ozanam.
Queste "Dame della carità" erano conosciute anche come "Serve dei poveri" e case de la Charità si diffusero immediatamente in molti villaggi sui possedimenti dei Gondi. Da una casa di ricchi Vincenzo de Paoli intraprese questa prima opera sistematica di assistenza ai poveri con uno stile preciso: vedere Cristo nei poveri, recarsi di persona nelle case e nelle baracche, curare la relazione, essere attenti non solo ai bisogni materiali ma a tutte le esigenze della persona.
Proprio perché "non di solo pane vive l'uomo" ecco emergere allora l'urgenza di portare il vangelo e la grazia dei sacramenti a quelle stesse popolazioni. Sorse così l'iniziativa delle Missioni popolari come rimedio alla vasta scristianizzazione, al protestantesimo strisciante, e all'eresia del Giansenismo che nel rigorismo dottrinale e in un moralismo dai tratti severi e cupi, stava raccogliendo e deviando le aspirazioni di tante anime sensibili e impegnate. Dal 1618 al 1625 si precisa questa opera di rievangelizzazione della Francia, talmente efficace che il re stesso volle fosse predicata una "missione" a corte e successivamente nei quartieri pià emarginati di Parigi. I preti della Missione diventarono una vera congregazione, senza voti particolari, approvata dall'arcivescovo di Parigi e sostenuta finanziariamente dai Gondi, fino ad avere una sede a Parigi, nel priorato di Saint-Lazare che diventò uno dei centri di rinnovamento spirituale della Francia.
In un'epoca in cui i seminari, voluti dal concilio di Trento per la preparazione dei candidati al sacerdozio, stavano muovendo a stento i primi passi, San Vincenzo si impegnò decisamente per la formazione dei sacerdoti già ordinati e per la preparazione dei futuri preti (promosse gli Esercizi per Ordinandi) e diede vita alle Conferenze del Martedì che tenne personalmente per tutta la vita: un incontro settimanale formativo offerto ai sacerdoti che ne trassero grandi benefici. Formando i formatori, San Vincenzo sapeva di rafforzare ed estendere in modo ancora più efficace la sua opera a favore dei poveri che restavano i destinatari prediletti delle sue attenzioni.
Non aveva la mania dei progetti a tutti i costi, ma seguiva tenacemente il proposito di fare la volontà di Dio man mano che gli si manifestava. Diceva: "Le opere di Dio non si fanno quando lo desideriamo noi, ma quando piace a lui. Non bisogna saltare avanti alla Provvidenza".
Ma la Provvidenza non si faceva attendere nei suoi appuntamenti. L'incontro con una vedova di 33 anni, Luisa de Marillac, vedova Legras, figlia spirituale di San Francesco di Sales fino alla morte di questi, che si presentò a Vincenzo piena di dubbi e di angosce, con una psicologia complicata e contorta, fu l'inizio di una nuova istituzione. A contatto con i poveri la giovane donna si trasformava e divenne ben presto una collaboratrice tra le più preziose delle Dame della Carità, al punto che Vincenzo poté fondare un Istituto consacrato di vita attiva che neppure S. Francesco di Sales era riuscito a realizzare nonostante i suoi espliciti propositi.
Nacquero così nel 1633 le Figlie della Carità, ancora oggi attive in 91 paesi del mondo (nel 2008 erano 19.937), chiamate anche "suore grigie" totalmente consacrate al servizio dei poveri ma in una maniera innovativa rispetto alle tradizionali comunità religiose, tutte di clausura. Delineandone la struttura giuridica, Vincenzo usò espressioni efficacissime: "Esse avranno per monastero le case degli ammalati e quelle dove risiede la superiora. Per cella, una camera d'affitto. Per cappella, la chiesa parrocchiale. Per clausura, l'obbedienza. Per grata, il timor di Dio. Per velo, la santa modestia. Per professione, la confidenza costante nella divina Provvidenza e l'offerta di tutto il loro essere". S. Vincenzo e S. Luisa davano inizio a tutte le Congregazioni moderne di vita attiva e apostolica, ai moderni Istituti secolari e alle altre forme di consacrazione nel mondo. Paragonando la loro totale dedizione ai poveri alle altre forme di filantropia illuministica, lo stesso Napoleone ebbe a dire in tono di sfida: "fatemi una suora grigia!"
Le iniziative successive dell'opera di san Vincenzo de Paoli danno l'idea di un movimento a valanga, tanto le persone coinvolte riuscirono ad aggregarne altre. Egli stesso non abbassò mai la guardia, attento a riconoscere le nuove necessità, le nuove domande, per dare ad esse risposte adeguate. Devo procedere solo per accenni: nel 1638 prese l'avvio l'Opera dei bambini trovatelli, che nel 1647 erano già 820; una folla di piccoli "tanto sudici e tanto strilloni, nati da cattive madri" che non avevano niente di romantico; siccome però il criterio della carità non guarda al merito ma al bisogno, questi bambini trovarono nelle Figlie della Carità delle autentiche mamme. Diceva loro De Paoli "Somiglierete alla Madonna, perché sarete madri e vergini al tempo stesso".
San Vincenzo diventerà poi cappellano capo di tutte le galere del Regno, e le Figlie della Carità si dedicheranno ai carcerati e ai galeotti. Sarà poi la volta dell'assistenza ai soldati durante le numerose guerre, oltre che alle popolazioni direttamente colpite dagli effetti delle operazioni militari. A Vincenzo saranno affidate le sorti dei pazzi abbandonati a se stessi "persone folli e alienate, spiriti estremamente malfatti che vivono l'uno contro l'altro" scrive il santo. Si oppose al progetto del Grande Ufficio dei Poveri che voleva relegare in una sorta di ghetto cittadino tutti i mendicanti, avviando un tentativo sociale di "centri di riabilitazione al lavoro".
Questo ultimo riferimento fa capire come le stesse strutture pubbliche ormai si rivolgevano a san Vincenzo come ad una sorta di ministro dell'assistenza. Luigi XIII, ormai sul letto di morte, lo chiamò al suo capezzale e gli disse "se ritorno in salute, voglio che tutti i vescovi stiano tre anni in casa vostra". Ma fu la regina Anna d'Austria che, alla morte del re, lo scelse come Consigliere personale e successivamente lo nominò segretario del Consiglio di Coscienza, composto da cinque membri, incaricato tra l'altro della nomina dei vescovi. Qui dovette scontrasi più volte col cardinale Mazarino che spesso prendeva decisioni con scopi esclusivamente politici. Vincenzo dovette suggerire alla regina, che governò dal 1643 al 1661 facendo le veci del figlio minorenne Luigi XIV, di allontanare il Mazarino per il bene del paese, ma il risultato fu purtroppo quello della propria esclusione dal Consiglio.
La preoccupante diffusione dell'eresia del Giansenismo spinse De Paoli a reagire. Fu lui ad ispirare la petizione che i vescovi francesi inviarono al papa Innocenzo X con la richiesta di una condanna dell'eresia che avvenne nel 1653. Fin da piccolo, Vincenzo niente aveva temuto di più che trovarsi impigliato in qualche eresia "che lo trascinasse via e gli facesse fare naufragio nella fede".
Si parla giustamente di "nuove povertà" e proprio in questi giorni il sociologo De Rita è tornato sull'argomento: "Le povertà tradizionali - ha affermato - sono sostituite da quelle emozionali, psichiche, relazionali". Secondo De Rita i poveri non sono più solo coloro che non hanno denaro o ancora muoiono di fame in troppi paesi del mondo, ma anche "il disoccupato, il malato cronico, l'anziano, il depresso, l'extracomunitario, l'immigrato".
San Vincenzo non ha mai perso di vista la prima povertà, sempre antica e sempre nuova: quella della verità, quella di Dio. Mi ha colpito un'espressione di Brémond: "Non è stata la carità di Vincenzo de Paoli a fare di lui un santo, ma è stata la sua santità che lo ha reso veramente caritatevole".
Credo che anche per noi il cuore del messaggio di san Vincenzo de Paoli sia proprio questo: essere uomini di Dio, cercare fino in fondo la sua volontà, guardare coi suoi occhi la vita, il mondo, gli altri, noi stessi. Sarà Lui allora, al momento opportuno, a suggerire anche strade nuove perché il vangelo porti i suoi frutti in ogni stagione della nostra vita.





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