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Walter Amaducci: Conferenze



Anno sacerdotale



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Walter Amaducci
ANNO SACERDOTALE


Riflessione proposta al Presbiterio di Cesena-Sarsina
Martorano, 10 giugno 2010



Fin dal suo annuncio l’Anno sacerdotale ci è apparso come qualcosa di inatteso e di sorprendente. Alla vigilia della sua chiusura dobbiamo costatare che gli elementi della sorpresa si sono moltiplicati evidenziando aspetti benefici e consolanti ma rivelando anche risvolti inquietanti e dolorosi.
È già iniziata la rassegna dei bilanci (vedi i recenti numeri del quotidiano Avvenire) e la verifica delle svariate iniziative da domani sarà un appuntamento obbligato per tutte le diocesi della Chiesa Cattolica.
Per molti, oggi nel mondo e domani per coloro che andranno a consultare le notizie e le riflessione riportate dalla stampa, questo anno potrebbe essere ricordato come l’anno dello scandalo dei preti pedofili e delle accuse rivolte alla gerarchia ecclesiastica di non aver tempestivamente denunciato e bloccato il fenomeno. A tale proposito è richiesta a tutti noi una impegnativa opera di discernimento per un giudizio schietto e sereno, per il trionfo pieno della verità.
Mi sembra che in tutto questo si staglino davanti a noi la figura, la parola e l’opera di papa Benedetto XVI, che ritrovo per me ed indico a voi come il criterio fondamentale di lettura e di valutazione di quanto è accaduto e accade. La missione del successore di Pietro di confermare nella fede i suoi fratelli mai come in questi ultimi decenni ha trovato pastori così all’altezza del compito ricevuto; gli ultimi pontefici sono stati davvero guide autorevoli e affidabili sia con la parola che con l’esempio.

LA GRATUITÀ DI UN DONO

L’Anno sacerdotale è stato un prezioso dono per l’intera comunità ecclesiale e ha consentito di riscoprire il primato del dono nella vocazione del presbitero e nella struttura del suo ministero.
Matteo 9,37-38: «Allora disse ai suoi discepoli: La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». La chiamata stessa al ministero presbiterale è un dono gratuito di Dio, da invocare nella preghiera che diventa per ciò stesso la prima modalità pedagogica nei confronti di ogni fedele.
Ma anche la risposta è dono. La disponibilità e la generosità del chiamato sono le responsabili forme di attuazione della libertà personale che collabora con l’opera di Dio. Atti 16,14: “Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo”. L’apostolato di Paolo è interpretato da questa sua esplicita riflessione: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (1 Cor 3,6-7).
Infine la perseveranza, la fedeltà al proprio ministero, sono più che mai opera della grazia come ci confermano non solo i frutti della santità ma gli stessi peccati e gli scandali che hanno giustamente turbato tutti noi.
Un dono particolare è quello della santità del presbitero, come proprio il Curato d’Ars ci ha efficacemente rammentato con la sua persona. Tutti noi che abbiamo partecipato al pellegrinaggio diocesano ad Ars lo abbiamo sperimentato; e se nessuna santità è fotocopiabile è altrettanto certo che non esiste altro progetto di vita alternativo a questa fondamentale vocazione che è la perfezione della carità. S. Giovanni Maria Vianney, un prete tutt’altro che sempliciotto e sprovveduto, ha la capacità di spronarci ad un programma di vita esigente e rigoroso, ma anche pieno di cordialità, di tenerezza e di capacità di accoglienza. Ci insegni e ci aiuti ad utilizzare ogni risorsa di intelligenza e di mezzi materiali, convinti che il miracolo del Signore Gesù che “attira tutti a sé” precede, accompagna e segue ogni nostro impegno ascetico e spirituale e ogni nostro programma pastorale.

LA VERA MISERIA DELLA CHIESA

Siamo consapevoli che la persecuzione nei confronti della Chiesa di Cristo fino alla fine dei tempi non conoscerà soste né esclusione di colpi. Neppure la santità evidente di alcuni suoi membri la pone al riparo da tali attacchi. Personalmente ricordo una pubblica accusa, squallida e piena di livore, rivolta a Madre Teresa di Calcutta da un noto attore italiano. Ma proprio Gesù attribuisce a queste situazioni l’estensione dell’ottava beatitudine che riguarda i perseguitati: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi” (Matteo 5,11-12).
Ma sappiamo che esiste un’altra eventualità che la Prima Lettera di Pietro cita espressamente: “Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome. (1 Pietro 4,15-16).
La miseria più amara, le ferite più sanguinanti, sono quelle inferte alla Chiesa dai suoi figli e in particolare da coloro posti come segni e strumenti della cura premurosa di Gesù, Buon Pastore del suo gregge, come Benedetto XVI ha più volte affermato.
Quando queste ferite sono messe in risalto dai suoi nemici, magari con un senso di rivalsa e con il programma di usare tutto ciò quale pretesto per aumentare il discredito e giustificare la propria posizione di ostilità, la Chiesa può essere tentata a sua volta di evidenziare i limiti morali dell’interlocutore o di rivendicare un giudizio più equilibrato che rifiuta di generalizzare quello che è un fenomeno tutto particolare o addirittura marginale.
Ma l’atteggiamento dell’umiltà sa accogliere anche il lato dell’umiliazione. Dobbiamo chiederci quanto di verità è racchiuso perfino nell’oltraggio e quale possibilità esista di farne tesoro. “Meglio una verità detta da un nemico che una menzogna detta da un amico” per la semplice ragione che amico non è e non lo sarà mai chi scende a compromessi con la verità.
La ricerca della verità, come ricordavo all’inizio, richiede in questi casi un’opera di discernimento non facile. Esiste il fatto ed esiste la notizia del fatto. La notizia veicolata da un articolo scritto o dal suo titolo non sempre coincidono. Un giornale o una rivista hanno un impatto molto diverso da quelli di uno spezzone di telegiornale o di una puntata di un talk-show. Gli avvenimenti della cronaca recente richiedono una lettura del contesto assai diversa rispetto a quella necessaria per fatti risalenti a trenta o quarant’anni or sono. Episodi che hanno dolorosamente toccato il nostro stesso clero sono ancora oggi di lettura assai complessa e il giudizio sintetico presenta tutt’ora notevoli difficoltà e necessarie sospensioni.
Ma tutta la prudenza necessaria e la carità unità alla verità nei confronti di chiunque, non impediscono di cogliere un messaggio urgente, un appello inequivocabile rivolto a ciascuno di noi: l’appello alla conversione.

CONVERSIONE

Quella della conversione è l’unica risposta adeguata a ciò che è accaduto. Se non è stato sufficiente il fascino della santità del Santo Curato d’Ars e degli altri sacerdoti santi della storia della Chiesa, antica e recente; se non è bastato e non basta l’esempio eroico di tanti confratelli che vivono al nostro fianco e si spendono nel silenzio e nella fedeltà del quotidiano; se soprattutto risulta ancora troppo debole e tardiva la nostra obbedienza a quella parola di Dio che proclamiamo e commentiamo, se stiamo sciupando e accantonando con negligenza i testi del Magistero abbondantemente offerti a noi e a tutta la Chiesa, possa almeno lo scalpore e talora lo scandalo del peccato scuotere in maniera benefica le nostre persone e il nostro stile di vita.
Su tutta la linea. Non esistono soltanto il sesto e il nono comandamento. Non esistono solo i peccati e i reati che oggi fanno notizia. Non può lasciarci tranquilli la frettolosa conclusione a livello personale che “siccome questa cosa non mi riguarda io posso stare sereno”. Anche quando i riflettori ignorano e lasciano in ombra le questioni della giustizia, il rapporto con i beni materiali e tutte le questioni amministrative, le relazioni umane e i rapporti di carità all’interno del presbiterio e dei sacerdoti con i fedeli, il nostro esame di coscienza non può tralasciare questi ed altri campi, e la conversione non può attendere ‘tempi più adatti’: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza”(2 Cor 6,2).
A beneficiare di questa risposta pronta e convinta all’appello di conversione come ben sappiamo sono e saranno tutti, pastori e fedeli, comunità cristiana e società civile, Chiesa e mondo. Se la carità pastorale è la nostra via di santificazione, e la perfezione della carità – cioè la santità – è per noi come per tutti i battezzati l’unico vero criterio di scelta e di verifica, l’unico obiettivo da non mancare nella nostra esistenza, dobbiamo con logica stringente riconoscere che la conversione è l’unico modo concretissimo e quotidiano che abbiamo per fare dei passi avanti, per crescere nella nostra statura di fede.

ASPETTI NON SCONTATI

Vorrei concludere con una osservazione che può apparire vagamente consolatoria, ma che mi sembra per tanti aspetti di drammatica attualità. Meno male che di fronte ai nostri peccati la gente ancora si scandalizza, meno male che in questi casi il bene viene chiamato bene e il male viene chiamato male.
C’è oggi nel nord Europa una linea di pensiero, che intende tradursi anche in programmi politici, che non si vergogna di sostenere l’”orgoglio pedofilo”, come pure esistono posizioni culturali neopagane con precisi riferimenti a fenomeni dell’antichità (ad esempio greca) che ritengono di poter sganciare da criteri etici ogni manifestazione di relazione sessuale sia all’interno dell’area privata che in quella di rilevanza pubblica.
Non sorvoliamo sul fatto che perfino l’aborto ritenuto ‘male necessario’ o dolorosa ‘scelta inevitabile’ dalla maggioranza dei primi sostenitori, oggi viene percepito e approvato sempre di più come conquista civile, come vera e propria scelta di maternità responsabile.
Non è un caso che il papa indichi una radice dell’emergenza educativa nello scetticismo e nel relativismo, cioè nell’esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano quali sono la natura e la Rivelazione.
Il giorno in cui la nostra parola e il nostro comportamento fossero semplicemente ignorati o risultassero del tutto marginali rispetto alle questioni importanti della vita, la sordità nei confronti di Cristo sarebbe totale (“Chi ascolta voi ascolta me”). Ma l’incapacità di leggere lo stesso libro della natura indicherebbe l’atrofizzazione del senso religioso, lo spegnimento della ricerca e della domanda, la cecità totale di fronte al senso della vita.
Questo Anno sacerdotale ci ha portato ad una presa di coscienza approfondita della fedeltà di Dio alla sua promessa: Pastores dabo vobis iuxta cor meum! “Vi darò dei pastori secondo il mio cuore” (Ger 3,15). Il santo Curato d’Ars è stato un esempio eccellente della possibilità del chiamato di corrispondere fino in fondo alle attese del cuore Dio.
Ma anche di fronte a quelli che ho chiamato all’inizio i risvolti inquietanti e dolorosi di questo Anno sacerdotale che sta per chiudersi, nella certezza che “tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Romani 8,28) possono risuonare vere e benefiche per tutti noi le ultime parole pronunciate dal curato di campagna, sul letto di morte, così come Bernanos le riferisce al termine del suo celebre romanzo: “Che cosa importa? Tutto è grazia”.





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