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Walter Amaducci: Conferenze



Direttorio per le unità pastorali



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Walter Amaducci

DIRETTORIO PER LE UNITA' PASTORALI


Diocesi di Parma - Tre giorni di formazione per i preti - A tema la riorganizzazione
Mercoledì 27 gennaio 2010: comunicazione sul “Direttorio per le Unità pastorali”


Il direttorio che mi è stato chiesto di presentare è molto giovane: compirà un anno il prossimo 2 febbraio. Non ha ancora alle spalle una significativa applicazione per poterne fare un bilancio. Insieme al testo del direttorio vi è stato consegnato un depliant riassuntivo, stampato per la diffusione ampia e capillare in tutte le parrocchie della diocesi.
La prima verifica, fatta con i moderatori delle unità pastorali il 12 giugno 2009, verteva ancora sulla sua interpretazione, mentre un inizio vero e proprio di verifica sull’attuazione di tutto l’impianto si è avuto il 6 dicembre 2009 in sede di Consiglio pastorale diocesano.
Ma questo direttorio è qualcosa di più di un programma, sicuramente più di un proposito. A suo modo rappresenta un punto di arrivo: lo hanno preceduto almeno diciassette anni di riflessioni e di tentativi, visto che proprio il 17 settembre 1992 veniva costituita dal vescovo Lino Garavaglia una “Commissione di studio per la revisione della struttura geografico-pastorale della diocesi”.
Cesena-Sarsina, come diocesi unica, esiste dal 1986: l’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero, eretto il 24 ottobre 1985, aveva comportato la soppressione di tutti i benefici, e nei mesi di maggio e giugno 1986 furono decretati l’estinzione e il mutamento di denominazione delle parrocchie delle due diocesi (nel 1975 quattordici parrocchie della diocesi di Sansepolcro erano state unite a Cesena e nel 1976 la diocesi di Sarsina veniva anch’essa unita a Cesena in persona episcopi) che in data 30 settembre 1986 diventarono l’unica diocesi di Cesena-Sarsina
Nel 1979, in vista della ripartenza sulla base di un nuovo statuto dell’esperienza del Consiglio pastorale diocesano, veniva ristrutturata la mappa dei Vicariati che assumevano la nuova denominazione di Zone pastorali (dodici di cui due di ambiente). Non esisteva ancora in quegli anni la formula “pastorale integrata”, ma l’esigenza e la convinzione di aprire la parrocchia a varie collaborazioni, territoriali e d’ambiente, erano già avvertite.
Nel 1986 l’aspetto pastorale riguardante le Zone fu ridefinito: le due “zone” d’ambiente furono soppresse il 1° gennaio 1986 con trasferimento delle loro competenze alle rispettive Commissioni diocesane, mentre sul versante territoriale la parrocchia di san Rocco, appartenente alla zona Oltresavio-Dismano, veniva aggregata a quella del Centro Urbano.
Ancora una volta, dunque, l’attenzione al territorio stava alla base delle nuove rettifiche di confini e appartenenze; l’integrazione tra pastorale territoriale e ambienti di vita che vedeva sempre più protagonisti movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, come pure lo stimolo e la sussidiazione alle diverse iniziative di carattere formativo e operativo nei vari settori della pastorale, trovarono il loro ambito principale nel Centro pastorale.
Anche negli anni del dopo concilio si pensa sempre ad una pastorale radicata nel territorio, a partire dalla parrocchia, cellula della diocesi, prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale (cf. can. 374) alla quale “devono naturalmente convergere e da essa non possono normalmente prescindere” altre aggregazioni intermedie o altre esperienze articolate (cfr. Comunione e comunità, 1981. n. 42). Le associazioni e i movimenti non sono mai concepibili in alternativa alla comunità parrocchiale o diocesana. (Ibid. n. 46).
Ma lo stesso codice di diritto canonico prevede dei raggruppamenti di parrocchie vicine, in vista di un’azione pastorale comune e cita quale esempio i vicariati foranei.
Proprio in questi anni (metà degli anni Ottanta), si manifestava in Italia l’esigenza di far fronte ai nuovi problemi emergenti sul territorio con una pastorale interparrocchiale dai tratti inediti, quella che si precisò gradualmente attorno alla formula “Unità pastorale” (i primi ad introdurre il problema e ad usare l’espressione ‘Unità pastorale’ furono i membri della Commissione Presbiterale Regionale del Piemonte, in una nota del 1985).
La diocesi di Novara sperimentò per tre anni (dall’89 al 92) l’unità pastorale cittadina (Parrocchie Unite di Novara Centro), impostazione che dal 2 ottobre 1992 divenne definitiva.
Negli stessi anni 89-92 il tema è stato introdotto e dibattuto in Francia, Spagna e Germania. Ciò che ha caratterizzato l’approccio al problema in Francia è stato principalmente un duplice dato d’urgenza: lo spopolamento di certe zone e la diminuzione dei sacerdoti. Si è cominciato così a parlare di ensembles paroissiaux (insiemi parrocchiali). In Spagna e Germania è stato posto maggiormente l’accento sulla necessità di una nuova mentalità pastorale, pur verificandosi in tali paesi difficoltà simili a quelle francesi.
All’indomani del suo ingresso nella diocesi di Cesena-Sarsina (5 maggio 1991) il vescovo Lino Garavaglia decise di affrontare questa problematica costituendo la “Commissione di studio per la revisione della struttura geografico-pastorale della diocesi” di cui ho parlato (17 settembre 1992).
“La Commissione – scriverà il vescovo il 4 novembre 1996 – composta da sacerdoti e da esperti laici, ha intensamente lavorato per un triennio e mi ha già consegnato un Documento sulla riorganizzazione geografico-pastorale della Diocesi, molto serio per l’analisi fatta e le indicazioni prospettate”.
Il Consiglio pastorale diocesano aveva dedicato la riunione del 5 febbraio 1995 ad una riflessione sulle Unità Pastorali, dopo che il vescovo aveva esposto il tema al Presbiterio riunito per la festa di san Mauro il 19 gennaio 1995 (per l’occasione era stato invitato a fare una relazione sulle unità pastorali l’allora vicario generale di Modena Mons. Giuseppe Verucchi).
La ristrutturazione aveva intanto già interessato le Zone pastorali che da nove erano state ridotte a sette col decreto del 27 novembre 1994; le Zone “Valle del Savio” e “Oltresavio-Dismano” erano confluite nell’unica Zona “Valle del Savio-Dismano” mentre le Zone di “Gambettola-Longiano” e del “Rubicone” avevano dato vita alla nuova zona “Rubicone-Rigossa”. Ma la vera novità era ormai costituita dalla decisione di introdurre l’esperienza delle Unità pastorali.
Per esortare tutti i sacerdoti e fedeli della diocesi ad accogliere le nuove prospettive pastorali il vescovo Garavaglia scrisse una Notifica dal titolo “L’adeguamento delle strutture e la ridistribuzione del personale pastorale sul territorio della diocesi” datata 4 novembre 1996 chiedendo che venisse letta “ad ogni Messa, in tutte le chiese, anche quelle dei religiosi, domenica 1 dicembre 1996, prima domenica di Avvento”.
Sono indicazioni date con comprensibile prudenza e con il tono di chi somministra una medicina amara: ma la disponibilità a fare di necessità virtù non è per forza sinonimo di rassegnazione passiva; non lo era ieri e non deve esserlo oggi.
Scriveva il vescovo Garavaglia:
«Ora mi preme comunicare a tutta Comunità diocesana, che siamo nella necessità di cominciare a mettere in atto le indicazioni della Commissione:
1. si dovranno rettificare certi confini tra parrocchia e parrocchia, che sono diventati anacronistici e incompatibili con le nuove condizioni sviluppatesi sul territorio;
2. più parrocchie dovranno essere pastoralmente accorpate, sotto la guida di un unico sacerdote e, dove esistano le condizioni, si faranno nascere tra parrocchie omogenee, collaborazioni organiche e continuative, chiamate ‘unità pastorali’.
3. alcuni servizi non si potranno più mantenere nel raggio delle parrocchie singole, ma si dovranno organizzare a livello di Zona pastorale.
Ci si rende conto benissimo che tutto ciò comporta la necessità anche per i fedeli di cambiare consolidate abitudini, adeguando la propria mentalità a quanto di nuovo, talora meno comodo, viene imposto dal bene comune. Ma queste decisioni s’impongono se non si vuole lasciare completamente scoperte un numero crescente di parrocchie. I provvedimenti sopra esposti, secondo le ipotesi formulate dalla Commissione, verranno attuati in modo prudente e graduale, ma si deve procedere in questa direzione. Nella realtà, certe decisioni, dolorose per noi prima che per i fedeli, non possono essere rimandate.
Chiedo ai sacerdoti in cura d’anime di aiutare i fedeli ad accogliere con spirito di fede e di sacrificio, questi prossimi cambiamenti. A nessuno venga In mente di creare disagi o remore, quasi considerasse il servizio pastorale un privilegio o un possesso intoccabile».
Triste rassegnazione o convinta riscoperta – dico convinta e non entusiastica pur avendo vissuto alcuni momenti intonati a tale clima per opera di alcuni laici – non sono mai stati atteggiamenti netti e alternativi, ma in qualche misura sempre comunicanti.
Quando Lino Garavaglia diramava la sua Notifica (4 novembre 1996) circa l’adeguamento delle strutture si stava aprendo il cantiere del sinodo diocesano. Il Vescovo aveva annunciato l’intenzione di indire il Sinodo diocesano la sera di giovedì 15 giugno 1995, al termine della solenne celebrazione del Corpus Domini. Ai fedeli venne consegnata la lettera pastorale che ne spiegava il significato e le modalità: Sinodo come verifica di tutta la pastorale in vista di una nuova progettazione per il futuro. Nei mesi di dicembre 1995 e gennaio 1996 iniziava il lavoro della commissione centrale e di quella antepreparatoria col compito di stendere i “lineamenti” sinodali.
Il 15 aprile 1999, in occasione della festa della Madonna del Popolo, il Vescovo consegna alla diocesi il Libro Sinodale, contenente le indicazioni pastorali emerse dal Sinodo. Sono trascorsi tre anni dalla lettura della Notifica “ad ogni Messa e in tutte le chiese” e le pagine del libro sinodale, trattano delle unità pastorali con espressioni che denotano tutta la fatica sperimentata:
“Purtroppo la formazione e la conseguente mentalità del passato, riscontrabile anche nei presbiteri, unite alla insufficiente conoscenza del soggetto, rendono difficile oggi l’attuazione di unità pastorali, che sono comunque una reale proposta pastorale innovativa” (n. 324).
“Reale proposta pastorale innovativa” sono termini che esprimono chiaramente la convinzione di dover continuare sulla strada imboccata, come si può dedurre dalle esortazioni contenute nei nn. 353 e 354 del libro sinodale:
“Si avviino esperienze di unità pastorale, che possano essere di riferimento per le successive programmazioni” (n. 353). “Quale opportuna risposta alle odierne difficoltà pastorali, si raccomanda ogni iniziativa atta a favorire l’approfondimento teologico e sociologico delle unità pastorali ed il loro realizzarsi fra parrocchie vicine” (n. 354).
Affrontata nuovamente la questione dal vescovo Antonio Lanfranchi, il 9 dicembre 2004 - in sede di Consiglio presbiterale – fu costituita un’apposita commissione col compito di “studiare ipotesi concrete” di Unità pastorali e il 22 maggio 2008 il medesimo Consiglio ha approvato l’ipotesi finale sulla costituzione delle singole Unità pastorali che nel decreto del vescovo (14 settembre 2008) risultano ventuno (di fatto oggi sono venti, essendo state accorpate le unità corrispondenti ai n. 7-8 dell’elenco ufficiale: Bagno di Romagna, … ecc. e Alfero-Riofreddo, … ecc).
Significative variazioni riguardano ancora una volta le Zone pastorali, con parrocchie scorporate e aggregate a nuove Zone, e con la riduzione delle Zone da sette a sei con la fusione di Sarsina e Alta Valle del Savio in un’unica Zona.
Ma le principali novità presentate dal decreto riguardano la suddivisione dell’intera diocesi in Unità pastorali con l’indicazione di partire subito in una collaborazione dentro la logica dell’integrazione e il superamento della “soluzione di necessità” nel recupero di una effettiva ecclesiologia di comunione. Struttura, compiti, rapporto con la Zona e inserimento delle Unità pastorali nel quadro dell’unica pastorale diocesana, sono comprensibili a partire dalle motivazioni di fondo più volte espresse dal vescovo in vari suoi interventi, soprattutto nelle due ultime Lettere pastorali.
Sono proprio le motivazioni che potete leggere alle pagine 3-6 del testo del direttorio, a costituire il fondamento e la chiave di lettura di tutto il progetto. Esse riportano per esteso i contenuti progressivamente indicati dal vescovo alla diocesi nelle sue lettere pastorali del 2007 e del 2008 riassuntivi – come dicevo – di tutti gli altri interventi fatti sull’argomento in diverse occasioni, rivolti sia al presbiterio che alle comunità.
Tutto il 2009 è stato impegnato nella costituzione dei Consigli di Unità pastorale e nelle prime scelte di campi sui quali collaborare. In corso d’opera si sono evidenziati almeno tre aspetti che stanno velocemente interpellando il presente direttorio:
1. Rettifiche di confini territoriali.
La prima esperienza è stata programmata per tre anni, dopo di che un’opportuna verifica consentirà rettifiche riguardanti i confini delle parrocchie e il loro inserimento nelle specifiche unità. Ma come ho già accennato, si è immediatamente rivelato necessario l’accorpamento di due unità, la 7 e la 8 che, su richiesta dei rispettivi moderatori, oggi costituiscono una sola unità di 7.992 abitanti (6.117 + 1.875)
2. La questione delle Unità parrocchiali.
Con la formula unità parrocchiale (potrebbe anche chiamarsi comunità pastorale) intendo indicare l’insieme di più parrocchie affidate ad un solo parroco. È la grave urgenza del momento. Il Consiglio presbiterale dovrà presto affrontare questo problema che richiede soluzioni molto concrete, sia sul piano pastorale che amministrativo, con risvolti giuridici di non semplice soluzione.
3. La logica della pastorale integrata spinge verso gli ambiti di vita (convegno di Verona)
Una delle tre scelte di fondo della CEI dopo il Convegno di Verona (2006) è quella di “una pastorale che converge sull’unità della persona ed è capace di rinnovarsi nel segno della speranza integrale, dell’attenzione alla vita, dell’unità tra le diverse vocazioni, le molteplici soggettività ecclesiali, le dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana” (Nota pastorale della CEI dopo il IV convegno nazionale, n. 4). Il convegno di Verona, scegliendo di articolare i lavori in alcuni ambiti fondamentali dell’esistenza umana, ha voluto sottolineare l’unità della persona come criterio per ricondurre all’unità tutta l’azione pastorale. Oltre la pastorale integrata, dunque viene ad imporsi un ripensamento delle strutture ecclesiali in vista di un maggior coordinamento e stile unitario (cfr. Nota n. 22).
Queste annotazioni conclusive, soprattutto l’ultima, ci portano a ricordare che la pastorale è continuamente sollecitata da novità e necessità spesso non prevedibili, ma ugualmente determinanti per scelte e impegni. Saper leggere i segni dei tempi è condizione di reale fedeltà al vangelo e alla vitalità della Chiesa nella sua vita di comunione e di missione. I mezzi e i metodi restano funzionali, così come le strutture, a questa vitalità che trova sempre nei presbiteri dei protagonisti insostituibili.





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