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Walter Amaducci: Conferenze



Teologia della creazione



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Walter Amaducci

LA TEOLOGIA DELLA CREAZIONE
E LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

9 marzo 1992


PREMESSA

Uno dei temi frequentemente richiamati nella dottrina sociale della Chiesa è quello della CREAZIONE e tra i testi biblici quelli di GENESI 1-2 sono certamente i più citati sull’argomento.
Cercheremo allora di affrontare e di addentrarci un po’ in questa problematica nella prospettiva di un corso di formazione sociale e politica e privilegiando il riferimento biblico, consapevoli che la riflessione teologica potrebbe essere ben più ampia e toccare altri aspetti del messaggio (come quello della libertà, della coppia umana e della famiglia, del male, della vita e della morte,...) e attingere a un vastissimo patrimonio patristico, teologico e magisteriale.

Sommario
1. Cristo é il compimento della Rivelazione
2. Creazione come definizione di rapporto tra Dio e l’universo
3. La concezione dell’uomo nei racconti di creazione
4. La destinazione universale dei beni
5. I1 lavoro umano nel progetto del Creatore
Conclusione: protologia ed escatologia sono correlative

1. CRISTO E’ IL COMPIMENTO DELLA RIVELAZIONE

“Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.
Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola...” (Eb 1,1-3).
Il Figlio sostiene con la potenza della sua parola anche il tema che ci accingiamo a sviluppare, il suo contenuto e la precisa ottica in cui ci poniamo che non è una pura ipotesi umana, e quindi uno dei tanti punti di vista possibili, ma ha la presunzione di essere ‘rivelazione’, dunque ‘verità’, accolta con gratitudine in Cristo Signore nel quale crediamo.
Gesù Cristo è il punto di partenza, Gesù Cristo è il pilastro di sostegno della nostra concezione totale dell’esistenza perché momento culminante e centro di tutta la Rivelazione, come lo è del cosmo e della storia (Red. hom. 1,1).
Cristo è quel Figlio per mezzo del quale Dio ‘ha fatto anche il mondo’: con questa affermazione che sembra incidentale noi siamo piombati già nel cuore dell’argomento, che altre celebri espressioni neotestamentarie ribadiscono:
“tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.” (Giov. 1,3)
“Egli è immagine del Dio invisibile, …
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui,
e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.” (Col 1,15-17)

Questo approccio metodologico è di primaria importanza per non cadere nella trappola insidiosa del fondamentalismo biblico. Apriremo subito le prime pagine della Genesi e ci metteremo in ascolto dei due racconti di creazione e del loro messaggio, ma ricordando bene almeno tre criteri di lettura:
1. I racconti di Genesi non sono l’espressione di tutta la dottrina sulla creazione; questa infatti attraversa l’intera Scrittura, con pagine ricche di conferme o di prospettive nuove, come nei Profeti (Isaia, Geremia, Amos), nei Salmi (innumerevoli richiami) nei libri Sapienziali (Giobbe, Proverbi, Sapienza, Siracide) dove la personificazione della Sapienza, della Parola e dello Spirito prelude alla rivelazione del Verbo e dello Spirito Santo, in 2 Maccabei, fino alle pagine del Nuovo Testamento.
2. Queste pagine della Scrittura hanno in Cristo l’ultima e definitiva parola e soprattutto la chiave di lettura e di interpretazione.
3. Ricordiamo infine che la Scrittura è il primo e indispensabile canale della Rivelazione ma non il solo, dato che ad esso è inscindibilmente unito l’altro canale, quello della Tradizione, per costituire l’unico sacro deposito della Parola di Dio, cioè della Rivelazione.
Congiunte e comunicanti, Scrittura e Tradizione sono affidate alla Chiesa, guidata dal Magistero, chiamato ad
ascoltare piamente,
custodire santamente,
esporre fedelmente
questa Parola per mandato divino e con l’assistenza dello Spirito Santo (cfr. Dei Verbum 9).

2. CREAZIONE COME DEFINIZIONE DI RAPPORTO TRA DIO E L’UNIVERSO

“Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
Unigenito Figlio di Dio, ...
per mezzo di lui tutte le cose sono state create”.

Che le cose esistenti facciano sorgere la domanda: ‘da dove vengono? chi le ha fatte?’ é un dato comune dell’esperienza religiosa e punto di forza della rivelazione naturale (Sap 13,1-9). Tutte le religioni hanno dato e danno una risposta che ipotizza una divinità emanatrice, o plasmatrice, o più spesso ordinatrice dell’esistente.
- Può essere una divinità che vince i mostri del caos, come nelle cosmogonie orientali. Ad esempio il drago primordiale viene ucciso e diviso in due da Marduk, il dio babilonese della luce; le due parti del drago ucciso diventano il cielo e la terra, mentre dal suo sangue trae origine l’umanità.
- Oppure l’universo é il risultato di una lotta tra divinità buone e divinità malvagie su uno sfondo teologico di stampo dualistico-manicheo.
- Oppure sarà l’opera di qualche demiurgo costruttore per opera del quale il ‘caos’ diventa il ‘cosmo’, un tutto ordinato e popolato di divinità, di spiriti e demoni, una natura satura di magia.
Israele, che ha conosciuto il suo Dio nella storia, nel suo agire e intervenire e nel suo parlare attraverso i profeti, emerge in questo panorama con una visione originale e polemica, demitizzante. Il racconto ebraico della creazione, in tutte le sue diverse forme, si rivela come “l’illuminismo decisivo della storia”, la consegna del mondo alla ragione, il riconoscimento della sua razionalità e libertà, un illuminismo vero, che àncora la ragione umana al fondamento originario della ragione creatrice di Dio, per mantenerla così nella verità e nell’amore senza i quali l’illuminismo diventa sregolato e alla fine stolto (Ratzinger).


Genesi:
In principio Dio creò il cielo e la terra 1,1
Ora la terra era informe e deserta ... 1,2
Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, 2,4
nessun cespuglio campestre era sulla terra,
nessuna erba campestre era spuntata ... 2,5
La terra era brulla senza niente 2,6
e dalla polvere del suolo Dio plasmò l’uomo, 2,7
piantò un giardino in Eden, 2,8
plasmò ogni sorta di bestie 2,19
plasmò una donna e la condusse all’uomo. 2,22

Nel momento in cui Israele, dunque, affronta il tema delle origini parte dalla convinzione che c’è un solo Dio, creatore, mentre quelli che le altre genti chiamano dei non sono dei, ma opera di Dio stesso (il sole e la luna sono ‘luminari’), o addirittura opera delle mani dell’uomo, idoli vuoti (cfr. la polemica e l’ironia contro gli idoli in Sap 13,10-14,11 e nei Profeti Is 44,9-20; Ger 10,1-16; Bar 6; ecc.).
‘Creazione’ definisce questo rapporto tra l’universo e Dio con questi contenuti essenziali:
- Esiste un solo Dio.
- Tutto proviene da lui.
- Egli è l’unico creatore di tutto ciò che esiste.
Questo è espresso con immagini varie e diverse, cristallizzate in racconti che risalendo il tempo rivelano tratti arcaici pittoreschi, oppure si ritrova in formulazioni più sintetiche posteriori:
“Sono io, il Signore, che ho fatto tutto,
che ho spiegato i cieli da solo,
ho disteso la terra; chi era con me?” (Is 44,24).

“Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra,
osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti;
tale è anche l’origine del genere umano” (2 Macc 7,28).

“Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra?”
... (cfr Giobbe cc 38-41).

- Tutto.
‘Cielo e terra’ dice la Scrittura; ‘cose visibili e invisibili’ afferma il Credo. Nel tutto è contenuta l’eventualità di altri mondi, come pure di altri esseri viventi e intelligenti. E’ sufficiente accennare al mondo degli angeli per non porre limiti alle ipotesi e alle possibilità.
- Tutto è buono.
‘E Dio vide che era cosa buona’: è il ritornello di Gen 1. Il male non ha una sussistenza sua. Non c’è un Dio malvagio coeterno rispetto al Dio creatore.
“Poiché tu ami tutte le cose esistenti
e nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa,
non l’avresti neppure creata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?
O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza?
Tu risparmi tutte le cose,
perché tutte son tue, Signore, amante della vita,...
…” (Sapienza 11, 24-26).

- L’uomo ha una posizione centrale nel mondo creato, come vedremo più avanti.
Approfondiamo ora quattro aspetti della dottrina della creazione con una particolare attenzione al rapporto fede-ragione.

1. Diversi racconti per un unico messaggio

Ho sottolineato che questo messaggio di fondo sull’origine dell’universo è presente nei diversi racconti. ‘Diversi’ non significa solo che sono più di uno, ma che presentano prospettive narrative, immagini, particolari davvero differenti. Ma il messaggio è identico; caso mai lungo il tempo si esplicita e si approfondisce. Il fatto che coesistano, che convivano queste pagine le une accanto alle altre, o addirittura a volte siano fuse insieme con procedimenti di collage o incastonatura, ci fa capire che talora per gli stessi autori sacri questo non costituì un problema. Il “come” tutto questo era accaduto era in fondo secondario; le modalità espressive potevano perfino attingere dai miti circostanti e tenevano conto, comunque, della cultura di chi scriveva e di chi ascoltava.
Non va dunque ricercata una teoria cosmologica di tipo scientifico, anche se il messaggio religioso, pur non essendo identico con una teoria cosmologica, non ne è neppure totalmente indipendente.
Non sarà mai conciliabile con la fede nel Dio creatore una teoria scientifico-filosofica in cui il cosmo sia pensato come avente in sè la sua ragione di essere, o identico con l’assoluto, o non esistente realmente; e neppure tutte le concezioni metafisiche immanentistiche (secondo le quali la realtà totale coincide col mondo dell’esperienza) come un monismo irrazionalistico (ateismo) o un monismo razionalistico (panteismo).

2. Rapporti attuali tra scienza e fede circa le origini

Solo nel secolo scorso non era affatto chiaro che il dato della creazione esigesse una causa. La scienza naturale era caratterizzata dalle due grandi leggi della conservazione della materia e dell’energia. Questo cosmo appariva come eternamente sussistente e dominato dalle leggi perenni della natura, non bisognoso di nulla al di fuori di sè.
Laplace poteva dire: “Non ho più bisogno dell’ipotesi Dio”.
Ma sono sopraggiunte nuove conoscenze.
Con la legge dell’entropia (l’energia viene consumata e trasformata in uno stato da cui non può più essere fatta retrocedere, per cui l’entropia dell’universo aumenta di continuo) l’universo ha rivelato un divenire, la sua temporalità.
Si è scoperto che la materia si trasforma in energia, si è affermata la teoria della relatività ...
Oggi la scienza sa che l’universo ha avuto un inizio; miliardi di anni ci separano da quel momento che domanda una spiegazione. Fu un “big bang”? Non c’è problema a chiamarlo così, ma di che cosa si tratta? Di un gioco del caso e della necessità (J. Monod) oppure, come disse Einstein a proposito delle leggi della natura “si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante”? (che è come dire: ogni nostro pensiero rappresenta in effetti solo il ripensamento di una realtà già pensata prima di noi). Questo non significa ancora fede; Einstein stesso non arriva ad accettare un Dio personale, ma rimane all’interno di una religiosità cosmica ammirata di questa suprema Mente che si rivela nell’universo.
Oggi come mai, forse, dall’epoca della modernità in poi, appare la ragionevolezza della fede. Fisica, biologia, scienze naturali in genere impediscono di ridurre il mondo a prodotto dell’oscurità e dell’assurdo. E se l’ultimo passo della ragione è ammettere una dimensione che la supera (Pascal), è la fede che coglie in tutto ciò l’azione dello Spirito creatore. L’universo deriva da un’intelligenza, da una libertà, da una bellezza che è amore. L’universo è ‘logico’, cioè conserva l’impronta del Logos per mezzo del quale è stato fatto.

3. Creazione ed evoluzione.

Sarà sempre male impostata questa problematica se posta in termini alternativi, cioè creazione o evoluzione; e peggio ancora: creazionismo o evoluzionismo.
Creazionismo ed evoluzionismo sono incompatibili ed entrambi scorretti, essendo soggetti a confusione di piani, quello del linguaggio religioso e quello del linguaggio scientifico; ambedue le posizioni operano una invasione di campo!
Mentre invece creazione ed evoluzione sono compatibili e si integrano, in quanto rispondono a domande diverse:
- che cosa è accaduto, che cosa accade ? (esiste o no un artefice?)
- come è accaduto, come accade? (individuazione e descrizione dei processi cosmologici e biologici).
L’evoluzione è innegabile ed evidente: una visione assolutamente statica dell’universo e della vita non è possibile. Pensiamo solo alla concezione di trasformazione a livello cosmico già in un medievale come Dante. Ma le stesse teorie evoluzionistiche lungi dallo spingerci ad un nuovo “concordismo” simile a quello di fine 800 (i periodi geologici identificati con i ‘giorni’ della creazione, la ‘cosmologia’ dell’abate Stoppani, ...) possono rammentarci l’analogia del linguaggio teologico e anche la possibilità di affinarlo continuamente.
Di fronte alla doppia ed esatta affermazione
- Dio ha creato
- Dio conserva nell’esistenza
possiamo puntualizzare che Dio non è prigioniero del tempo, anzi ne è il creatore, perché di tutto ciò che non è Dio egli è creatore senza essere soggetto al divenire. E’ creatore, ‘sta creando’: tutta la realtà da lui voluta e dunque posta in essere ha in lui solo la sua causa prima.

4. La gloria di Dio

Tutta la Rivelazione ha una funzione appellativa o relazionale. Anche la creazione interessa l’autore e noi perché ha da dire qualcosa che riguarda noi, la nostra origine e il nostro destino, ciò che riguarda la nostra salvezza (cfr. Dei Verbum 11). Non è una enciclopedia di informazioni destinata a soddisfare la nostra curiosità, che rimane e stimola la conoscenza, ma un appello alla comunione con Dio, scopo dell’esistenza dell’uomo.
Andando ancora più a fondo, alla più elementare e disarmante domanda sulla creazione: perché Dio ha creato l’universo? come rispondere? La Rivelazione risponde: per la sua gloria.
La ‘gloria di Dio’ è innanzi tutto la perfezione intima del suo essere e il suo possedere se stesso amandosi nella santità. Questa realtà di Dio si rivela, si fa luminosa e accessibile nella creazione.
Dio ha creato il mondo “non per guadagnare o accrescere la sua gloria, bensì per manifestare la sua perfezione” (Vaticano I). Se Dio si rivela e si manifesta in questa effusione ‘al di fuori di sè’ non è solo per un’autocontemplazione della propria suprema bellezza, ma anche perché degli esseri capaci di conoscerlo e amarlo liberamente possano rispondere alla rivelazione della sua gloria.

“Tu solo sei buono e fonte della vita,
e hai dato origine all’universo,
per effondere il tuo amore su tutte le creature
e allietarle con gli splendori della tua luce.
Schiere innumerevoli di angeli
stanno davanti a te per servirti,
contemplano la gloria del tuo volto,
e giorno e notte cantano la tua lode.”
(Preghiera eucaristica IV)

“Il Signore ha compiuto tutto per comunicarsi” (S. Tommaso).

3. LA CONCEZIONE DELL’UOMO NEI RACCONTI DI CREAZIONE

Gesù ha rivelato all’uomo quel Dio che nessuno ha mai visto (Giov 1,18); ma Gesù ha anche rivelato l’uomo all’uomo, rendendogli nota la sua altissima vocazione (G.S. 22); l’uomo è la sola creatura che Dio abbia voluta per se stessa (G.S. 24), fatta a sua immagine e somiglianza (Gen 1,26), a cui ha dato il potere di diventare figlio suo (Giov 1,12).
Questa centralità dell’uomo nel creato è motivo di lode stupita ed entusiasta per il salmista:

Salmo 8
“Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti, ...”

Già nei racconti di Genesi si staglia la figura dell’uomo per la sua centralità nella creazione:
- nel primo racconto (Gen 1,1 - 2,4a) egli è il coronamento dell’attività creatrice, dopo di che tutto diventa oggetto di contemplazione nel riposo di Dio (Gen 2,2-3);
- nel secondo racconto (Gen 2,4b - 25) in una terra brulla e deserta l’uomo (il maschio) impastato dalla polvere del suolo e animato dall’alito divino (‘soffiò nelle sue narici un alito di vita’) è colui per il quale tutto viene creato: il giardino, gli animali e la donna, carne della sua carne, partecipe solidale del medesimo destino.
Perché questa scelta? Su cosa è fondata questa centralità?
La prima risposta è incentrata sulla rivelazione dell’immagine e della somiglianza (Gen 1,26-27).
. L’uomo è persona
. e grazie alla sua intelligenza riflessa (che è ‘ragione’: egli sa e sa di sapere, esiste ed ha coscienza di esistere)
. e alla sua volontà (che lo rende padrone degli istinti)
. egli è una creatura libera,
. un essere-in-relazione, fatto per un ‘tu’ (maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomo ... Gen 5,2)
. capace di entrare in relazione libera con Dio stesso secondo il legame dell’amore;
. dunque capace di responsabilità, che subito gli viene assegnata nell’essere
. luogotenente di Dio nel mondo, signore delle cose create (‘gli hai dato potere sulle opere delle tue mani’,
‘domini sui pesci, sugli uccelli, sul bestiame...’,
‘riempite la terra, soggiogatela e dominate ...’ ;
Sal 8,7 ; Gen 1,26-28).

La signoria dell’uomo però non è assoluta: essa è più esattamente un’amministrazione. Dio gli affida le cose, le piante, gli animali, ma non con il diritto di ‘usare ed abusare’. Il suo è un dominio da esercitare con saggezza e amore, quindi entro limiti precisi (come vedremo tra poco).
Ma ribadiamo la sua centralità: l’uomo è e rimane sempre un fine, mai un mezzo, a differenza delle altre creature. Siamo espliciti: non c’è branco di balene, di panda o di altri animali in estinzione, non c’è bosco di alberi che valgano un solo uomo!
La sensibilità ecologica ed ambientalista è tremendamente ambigua; in tanti casi è crollato e scomparso il fondamento della dignità unica e tipica dell’uomo, livellato sulle altre creature e tra le altre creature, in uno scenario in cui la valutazione è lasciata al capriccio, al soggettivismo, a logiche quantitative da pseudo-mercato.
Questo livellamento si inserisce in una precisa e individuata corrente culturale che da alcuni anni attacca il Cristianesimo come responsabile della ‘civiltà dello sfruttamento’ avendo degradato le grandi potenze fraterne del mondo al rango di semplici oggetti d’uso (Ratzinger).
Nelle nostre città dove si abortisce, dove cresce l’indifferenza reciproca della civiltà urbanizzata, dove aumenta lo spirito razzista, cani, gatti e canarini cominciano ad essere elencati tra i ‘componenti della famiglia’, gli animali sono superprotetti, si portano fiori sulle tombe dei cani...

L’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, diventa oggetto di una vocazione ancora più alta: egli è chiamato alla figliolanza adottiva in Cristo Gesù.
“Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
… In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
... predestinandoci ad essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo, ... “ (Efesini 1,3-5).
“Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere
chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! ...
noi fin d’ora siamo figli di Dio, ...
quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili
a lui, perché lo vedremo così come egli è”.
(1 Giov 3,1-2)

Guai ad abbassare questo profilo alto dell’uomo!
Ma guai ad oltrepassarlo ...

L’arroganza dell’uomo

Guai ad oltrepassare il limite! E questo è accaduto.
Se l’uomo è potuto diventare e può quotidianamente manifestarsi peggiore di una bestia è proprio perché ha oltrepassato il suo limite; è caduto tanto in basso per avere presunto di collocarsi ad un’altezza non sua. Lo ha affascinato la ybris, direbbero i greci, l’arroganza e la presunzione di essere come Dio (diventereste come Dio: Gen 3,5).
I1 giardino fu dato all’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse, dunque non per esserne il despota (cfr. il messaggio di Giovanni Paolo II ‘Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato’, 1.1.1990).

La distruzione dell’habitat è uno degli aspetti dell’arroganza umana, del peccato: non perché è cristiano, ma perché non lo è, o non lo è abbastanza, l’uomo arriva a questi risultati devastanti.
L’uomo rimane creatura, dipendente da Dio, con dei limiti:
“dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare ...” (Gen 2,17).
Il limite è posto all’uomo perché lo osservi liberamente. L’uomo è libero di rispondere, ma non di scegliersi le conseguenze della risposta!
Nella dipendenza fiduciosa dal suo Creatore, sta il segreto della risposta d’amore al dono ricevuto e del possesso della vita:
“quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” ( Gen 2,17).
Il capitolo terzo di Genesi racconta il dramma della caduta. “La gloria di Dio è l’uomo vivente,
ma la vita dell’uomo è la visione di Dio “ (S. Ireneo).
Tremendo mistero della libertà creata!
La ‘gloria di Dio’ che risplende nelle galassie e nelle particelle superelementari del protone (le quali tuttavia aderiscono al loro creatore per necessaria dipendenza) è superesaltata nella libera risposta d’amore dell’uomo (come dell’angelo) di fronte al quale l’onnipotenza di Dio ha voluto come autolimitarsi, perché l’essenza stessa della sua vita, l’amore (Dio è amore 1 Giov 4,8), pur dentro il limite metafisico della creaturalità, fosse realmente comunicata e partecipata ai di fuori di se.
Ma la disubbidienza c’è stata. L’universo è inquinato.
C’è il virus del disordine e non solo un inserimento disarmonico dell’uomo nel suo ambiente. Tutta la creazione geme nelle doglie del parto attendendo di essere liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rom 8,19-24).
L’uomo però è redento. Il fine della sua vita, la comunione con Dio, è ancora raggiungibile e in termini di figliolanza (figli nel Figlio) ma per la via della croce, del risanamento del cuore segnato e diviso (Rom 7,14-23) e della ricomposizione di un rapporto con la natura all’insegna del rispetto.
L’uomo infatti non può fare uso delle diverse categorie di esseri come vuole, ma deve tener conto della natura di ciascuno di essi e della sua mutua connessione in un sistema ordinato.

Le risorse naturali sono limitate e alcune di esse non sono rinnovabili.

Il modello di sviluppo perseguito va giudicato anche per i suoi effetti sull’ambiente: è il problema della qualità della vita.

(Cfr. Sollicitudo rei socialis, 34)

4. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

La vocazione al dominio sulla natura, la consegna e l’affidamento del giardino da coltivare e custodire, il dono di ogni erba e di ogni albero in cui è il frutto (‘saranno il vostro cibo’) hanno come destinatario l’uomo, cioè l’umanità (l’astrazione è funzionale al chiarimento del principio di universalità: ogni uomo, tutti gli uomini).
Là dove posso dire “qui c’è un uomo” affermo automaticamente il suo diritto a vivere, e a vivere secondo il progetto del suo creatore. Dio è il garante della dignità dell’uomo e il fondamento di ogni etica.
Ponendo l’accento prima di tutto sul diritto voglio rimarcare che la destinazione universale dei beni rientra come tale nella regola della giustizia, che è inseparabile dalla carità.
Il dominio dunque non è proprietà assoluta ma è amministrazione; e questo vale addirittura per la propria persona: io non mi appartengo, io non sono mio, ma dovrò rendere conto di me.
Questo amministrare, a sua volta, va visto in maniera non individualistica. Dio ci ha fatti e ci vede come famiglia umana, come suo popolo. Egli è l’unico Padre che fa di noi dei fratelli.

La proprietà privata

Il concetto equilibrato e corretto di proprietà privata ha una ricchissima base di sostegno nell’insegnamento dottrinale e morale della Chiesa, a cominciare dall’epoca neotestamentaria, all’età patristica, fino al magistero sociale di quest’ultimo secolo, dalla ‘Rerum novarum’ alla ‘Centesimus annus’.
“Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti” (Giovanni XXIII, 1962).
Riferimento insuperato, a questo proposito, è il n. 69 della Gaudium et spes, ribadito nei documenti più recenti del Magistero.
Il giardino è per tutti e va custodito da tutti: ma anche questa destinazione è stata trascinata nel disordine provocato dal peccato. Se l’uomo avesse continuato a possedere la chiarezza conoscitiva e la rettitudine morale, nella comunione con Dio, con il risultato dell’armonia con se stesso, con gli altri uomini, con la natura, non saremmo qui in ascolto della Rivelazione ad imparare ciò che non è più evidente e a perseguire una difficile meta.
Il peccato ha introdotto l’egoismo, la possessività, gli squilibri e le sperequazioni, l’avarizia, i conflitti di interesse, lo sfruttamento, la rapina, l’accaparramento, ...

Quando Gesù, provocato ad esprimersi sulla questione del divorzio, volle riportare il matrimonio al progetto originario del Creatore scrostando gli accomodamenti alla ‘durezza del cuore’, proclamò solennemente: “ma da principio non fu così” (Mt 19,8), accingendosi non solo a rivendicare un ideale smarrito, ma assicurando una capacità nuova col dono del “cuore nuovo”, rigenerato dalla grazia della redenzione.
Anche qui Gesù potrebbe dire “da principio non fu così”, e lo dice effettivamente insegnando il duplice inscindibile comandamento dell’amore, secondo il quale nella libera donazione di sè e di quello che si ha è possibile vivere nel concreto la destinazione universale dei beni.
La prima comunità di Gerusalemme e tutte le comunità cristiane chiamate (e certo capaci di farlo) a vivere la comunione al proprio interno e nei confronti di tutti a cominciare dai più poveri, hanno mostrato il possibile volto dell’umanità rinnovata sul modello creato.
Ma già l’Antico Testamento rivela questa tensione, sia attraverso le esortazioni, sia attraverso la legislazione: povero, orfano, vedova, forestiero ... hanno sempre trovato nel Dio d’Israele il difensore di un diritto innato ad accedere ai beni creati.
Sono tipici i casi dell’anno sabbatico e del giubileo (cfr. Levitico c. 25). Anche se pare siano state poco applicate, queste norme restano a testimonianza e richiamo di una convinzione vera, di un progetto che è ben più di una nostalgia:
“Le terre non si potranno vendere per sempre,
perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini”.
(Lev 25,23)

5. IL LAVORO UMANO NEL PROGETTO DEL CREATORE

L’enciclica “Laborem exercens” dichiara la convinzione della Chiesa che il lavoro costituisca una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra. Ancora una volta la prima base di questa convinzione è individuata nei racconti di creazione, nel ‘soggiogare la terra’ e nel ‘coltivare il giardino’:
Dunque il lavoro fa parte del progetto creativo stesso. Se si è diffuso il pregiudizio che il lavoro derivi dal peccato, questo è dovuto ad una lettura frettolosa della pagina biblica.
Come il parto della donna che avviene nel dolore, come il declino e il decesso della vita percepiti e subiti come ‘morte’, così il sudore della fronte e ‘le spine e i cardi’ per il lavoro mostrano com’è ormai, rovinato dal peccato, questo essenziale appuntamento umano.
Quando, nell’ottica dell’enciclica,
- il lavoro è per l’uomo e non viceversa,
- il capitale è in funzione del lavoro e non viceversa,
- la destinazione dei beni è universale,
allora si può parlare di lavoro come bene per l’uomo, perché attraverso il lavoro
- egli trasforma la natura adattandola alle proprie necessità
- e realizza se stesso come uomo
in una collaborazione con Dio creatore che ha affidato all’uomo un universo da ‘perfezionare’, da condurre a compimento nell’obbedienza a Lui lungo le coordinate della verità, della bellezza e dell’amore.
Ecco allora perché si può esaltare la virtù della laboriosità e la dignità del lavoro, che non sparisce, anzi grida il proprio valore e invoca la propria liberazione quando è infangata dall’egoismo, appesantita dalla fatica improba e lacerata da spine e cardi.
Il primo modello per l’uomo del lavoro è lo stesso Creatore che opera e associa l’uomo alla sua azione creatrice.
Non dimentichiamo le sferzate bibliche contro l’ozio, particolarmente nei libri sapienziali, fino a Paolo col suo “chi non vuol lavorare neppure mangi” (2 Tess 3,10).

Senza dubbio eloquente, infine, è il vangelo vissuto del lavoro della famiglia di Nazareth, dove lo stesso Gesù vive la maggior parte della sua esistenza ed è conosciuto come “il carpentiere” (Marco 6,3).


CONCLUSIONE

Protologia ed escatologia sono correlative

Rispondere alla domanda sull’origine significa avviare la risposta sulla fine, ma ancora di più ‘sul’ fine.
Altro che “questione insulsa”, come la chiamava K. Marx !
Eliminare la questione razionale dell’origine e del progetto del mondo significa non capire più se stessi, la direzione e il verso dell’avventura dell’esistenza umana. È togliere ogni giustificazione non solo ai contenuti etici, ma alla stessa legittimità di qualsiasi fondazione etica.
In base a che cosa ultimamente si potrà dire: “questo è giusto, questo è sbagliato”, o anche solo “esiste un vivere sbagliato” se il vivere non è finalizzato?

“Meglio oprando obliar senza indagarlo
quest’enorme mister dell’universo”:

la soluzione prospettata dal Carducci in questo verso dell’“Idillio maremmano” a dispetto della sua parvenza di realistica saggezza non è che un soffocare la domanda umana più autentica e più profonda e un esporsi al non senso o addirittura al fallimento di tutto il proprio operare.





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