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Il Priorato di San Pietro



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IL PRIORATO DI SAN PIETRO


1319: il priorato di San Pietro diventa parrocchia




Quando in occasione della festa di San Pietro, alla fine di giugno dello scorso anno, annunciai l'imminente ricorrenza dei settecento anni della parrocchia (1319-2019) avevo ben chiare le relazioni di tre parroci miei predecessori (Luigi Righi, Enrico Magni, Rino Bartolini) compilate in occasione di sei visite pastorali.

Altrettanto semplice mi sembrava il contesto storico ed ecclesiastico degli inizi di questa parrocchia, convergente sulla presenza di un antico monastero camaldolese. Per tale ragione, desideroso di comprendere perché proprio nel 1319 era avvenuta questa importante trasformazione del priorato di San Pietro, mi recai a Camaldoli convinto di trovare nell'archivio storico le risposte che cercavo.

Ma proprio a Camaldoli compresi che la mia ricerca doveva imboccare un'altra strada e fare luce su alcune esperienze "monastiche" che avevano preceduto la presenza camaldolese a San Pietro, a cominciare da quella dei monaci di Vincareto, collegati ai Canonici regolari di San Marco di Mantova, che a loro volta avevano avuto rapporti coi Canonici Portuensi di Ravenna.

Questo studio mi ha consentito di comprende l'eccezionale importanza di un documento già noto, l'atto notarile dell'8 aprile 1315, pubblico istrumento, col quale il vescovo di Cesena, Giovanni delle Caminate, rinunciava ad ogni suo diritto, riconoscendo piena esenzione dalla giurisdizione diocesana alla chiesa di San Pietro in Strada e ai suoi priori a favore del monastero di S. Maria di Vincareto e del suo priore fratel Donato e dei suoi successori.

Come si vede l'atto precede di quattro anni la data del 1319. Da Mantova mi sono pervenute le notizie e i dati storici utili a ricostruire le caratteristiche della vita del priorato di Vincareto in quegli anni, lasciando aperta l'ulteriore ricerca sulle sue origini indipendenti dall'esperienza mantovana e da collocare in un periodo precedente, anche se appartenente al medesimo secolo XII.

Ma San Pietro esisteva già da molto prima. La più antica denominazione della chiesa riportata dai documenti è quella di San Pietro in Strada, alla quale se ne accompagna presto una seconda altrettanto indicativa: San Pietro nei Suburbi. La Strada per antonomasia era l'antica via Emilia mentre il toponimo Sobborghi faceva riferimento al primo nucleo significativo che si incontrava lasciando la città, arroccata sul colle Garampo e al borgo sorto ai suoi piedi, percorrendo la via Emilia in direzione di Rimini.

A questa primitiva chiesa di San Pietro, che si faceva carico dei cristiani dei sobborghi di Cesena, spettò anche un'opera di evangelizzazione della prima parte della pianura a est e nord est della città. Non si tratta certo del vasto territorio che raggiungerà la sua massima espansione alla fine del XVI secolo, quando ormai scomparsa la pieve e chiesa battesimale di Sant'Agata e rettificato il confine della pieve di Ruffio, la parrocchia di San Pietro, ormai dotata di un suo fonte battesimale, si estenderà fino a Gattolino e Capannaguzzo.

Un avvenimento importante nell'evoluzione territoriale che ebbe un influsso determinante sull'ubicazione dei sucessivi insediamenti abitativi fu l'acquisizione di quel lembo di terra che consentì ai cesenati di avere uno sbocco al mare, nel punto dove sorgeva il castellare di San Tommaso. I confini di questo cuneo tra Cervia e Rimini sul litorale marino erano la foce della Mesola dalla parte di Cervia e la foce della Rigossa dalla parte di Rimini. Sul castellare di San Tomaso, chiamto anche "tomba" i cesenati costruirono nel 1302 un castello, che venne presto distrutto, e nel 1314 un porto che sarà poi chiamato Porto Cesenatico.

Lungo l'asse Cesena-Cesenatico, che fu anche teatro di variazioni fluviali ad opera del Pisciatello, si sviluppò il percorso Ad Novas, la successiva via del Mare, con nuovi significativi insediamenti e il parallelo declino di antichi siti, primo fra tutti quello della pieve di Sant'Agata, che andò in rovina fino alla scomparsa totale di ogni vestigio.

Modificati dunque i confini con Ruffio e mantenendo immutati quelli con San Bartolo, Martorano e San Tommaso, San Pietro ne acquisirà di nuovi con San Giorgio e Cesenatico. Il decreto del vescovo Adovardo Gualandi, che operò questa importante ritrutturazione territoriale, porta la data del 31 ottobre 1573.

"Dopo però il 1573 dal vescovo Gualandi fu dichiarata vicaria perpetua" annota don Luigi Righi nel suo prezioso manoscritto. L'espressione "vicaria perpetua" usata da Righi fa comprendere la grande novità istituzionale e canonica che va ben oltre la dimensione territoriale e la definizione di nuovi confini. Siamo in presenza di un nuovo inizio, di una ripartenza dell'intera vita della comunità cristiana di San Pietro.

Il primo "vicario perpetuo" fu Don Giovanni Francesco Fronticelli. Nominato dal vescovo Adovardo Gualandi nel 1572 egli reggerà la parrocchia fino al 1606. Possiamo affermare che dal 1573 quella di San Pietro nei Sobborghi è parrocchia a tutti gli effetti, con la fisionomia e i compiti previsti dalla riforma tridentina, con la registrazione e quindi la documentazione dei momenti fondamentali della vita cristiana, a cominciare dal sacramento del battesimo, con le verifiche periodiche effettuate dai vescovi nelle loro Visite pastorali.

Il priorato di San Pietro fin dal suo sorgere dovette in realtà affiancare nella cura d'anime il Capitolo della Cattedrale, che appare senza alcun dubbio il primo responsabile della vita pastorale del territorio, con l'importante riscontro dei beni e dei possedimenti che ne dovevano permettere il sostegno e l'attuazione. Pertanto anche l'ospizio o piccolo hospitale unito alla chiesa e al monastero di San Pietro non impediva una significativa attività apostolica nei confronti della popolazione residente. Se e in che misura questo caratterizzasse la presenza religiosa a San Pietro fin dalle origini non è possibile stabilirlo, anche perché la prima costruzione cristiana, doveva essere bizantina e risalente probabilmente al VII-VIII secolo.

Se la denominazione di monastero camaldolese ha finito per inglobare altre identità monastiche ben distinte e precedenti, tuttavia è certo che agli inizi del XV secolo il priorato di San Pietro era retto dai monaci di San Romualdo ai quali si deve la costruzione del complesso che per circa quattro secoli ha costutito il centro della vita religiosa e dell'attività pastorale del territorio che partiva dai Sobborghi per estendersi alla vasta area della campagna sopra ricordata.

In realtà la proprietà e la prima responsabilità ecclesiastica rimase ai Camaldolesi fino al 5 giugno 1492 allorché venne concessa al cardinale Andrea Cibo che la tenne per venticinque anni. Nel 1517, con bolla di papa Leone X datata 17 dicembre e susseguente rinuncia del card. Cibo del 30 gennaio 1518, la chiesa di San Pietro con i relativi beni passò alla mensa del Capitolo della basilica di San Giovanni in Laterano.

Il periodo lateranense, che a sua volta copre quasi quattrocento anni, è abbastanza documentato anche nel nostro archivio diocesano dal quale hanno tratto notizie tutti coloro che si sono occupati della storia di San Pietro. Ma mi sembrava verosimile che ci fosse una documentazione altrettanto ricca se non addirittura più completa nell'archivio storico del Capitolo stesso della basilica di San Giovanni in Laterano. Il mio primo sondaggio mi ha confermato in questa ipotesi e la consultazione diretta che per tre giorni ho potuto condurre all'inizio di questa estate mi ha messo a contatto con una vera miniera di documenti manoscritti: relazioni, epistolari, disegni, mappe e piantine topografiche, descrizioni, progetti, decreti, ecc.

La mia ricerca era mirata principalmente a fare luce sui tutti i secoli del basso medioevo, con la speranza di trovare notizie o accenni, magari indiretti, riferiti agli anni prima del Mille. In tal senso i documenti inediti più preziosi sono stati per me quelli relativi alla descrizione del monastero, grazie in particolare a disegni (molti a colori), mappe e planimetrie di sorprendente precisione e bellezza.

Altrettanto ricca è la documentazione del processo che portò alla decisione di demolire l'intera fabbrica, chiesa e monastero, e di quello della costruzione della nuova chiesa. Dopo varie ipotesi, sopralluoghi, perizie e progetti si giunse alla realizzazione della canonica e della chiesa attuale, su disegno all'architetto cesenate Curzio Brunelli.

La solenne inaugurazione e la consacrazione della nuova chiesa avvennero il 13 ottobre 1799 col rito presieduto da mons. Nicolò Buschi, nativo di Cesena, arcivescovo titolare di Efeso e canonico della patriarcale basilica lateranense, con licenza del cardinale Carlo Bellisomi, vescovo di Cesena. La sede apostolica era vacante per la morte del papa Pio VI avvenuta a Valence il 29 agosto 1799.

Walter Amaducci

CC 19 settembre 2019, p. 8





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