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Walter Amaducci: Articoli



A Loreto cinquant'anni anni dopo



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A LORETO
CINQUANT'ANNI DOPO


E' in rete, dalla vigilia di Natale, un'intervista estemporanea che il 4 ottobre scorso, una giornalista marchigiana presente a Loreto per la visita di Benedetto XVI, mi ha fatto dopo aver appreso che cinquant'anni prima mi trovavo in quello stesso luogo, a pochi metri di distanza, mentre papa Giovanni XXIII giungeva in vista al santuario per raccomandare alla Vergine il buon esito del Concilio ecumenico Vaticano II. La straordinaria assise, infatti, avrebbe avuto solenne apertura la settimana seguente. La giornalista, che si chiama Silvia, si è mostrata talmente interessata a questa coincidenza da confermarmi nella convinzione di aver partecipato a momenti davvero eccezionali, come del resto testimoniava la mia decisione di tornare a Loreto prima ancora di sapere che Benedetto XVI aveva programmato la sua visita.

Avevo dodici anni, ero seminarista da un anno, e fui invitato dal mio parroco, a preferenza degli altri miei compagni forse perché ero il più piccolo, ad unirmi quella inedita squadra (parroco, cappellano, un laico adulto) che a bordo di una Topolino doveva raggiungere Loreto per "vedere il papa". Si trattava infatti del primo viaggio di un pontefice fuori Roma dopo quasi un secolo. Assisi e Loreto furono le mete benedette di Giovanni XXIII, e l'accoglienza di popolo lungo il tragitto e nelle due cittadine superò ogni immaginabile previsione.

Ma anche la circostanza specifica, la motivazione esplicita di quella visita, non mi trovava impreparato. Avevo pregato per mesi e stavo pregando ogni giorno lo Spirito Santo perché ispirasse riflessioni e decisioni sante ai vescovi di tutto il mondo convocati a Roma per un evento straordinario, il XXI concilio di tutta la storia della Chiesa. Prima ancora che i discorsi o le spiegazioni, era stato questo coinvolgimento effettivo a suscitare in me un'aspettativa crescente, fino al punto da attendere la data dell'undici ottobre 1962 come un appuntamento personale oltre che epocale.

Cinque anni fa mi sono ritrovato, senza alcuna premonizione, a condurre uno studio approfondito sulla ricezione del Concilio nella diocesi di Cesena-Sarsina, che aveva come scopo immediato la relazione ad un convegno ma che è sfociato successivamente in una pubblicazione sull'argomento. Avevo intuito che quella ricerca mi avrebbe appassionato, e non mi sono sbagliato. La Chiesa del Concilio è questa nostra Chiesa, proprio lei, la famiglia più cara che ci potesse capitare.

Per ragioni diverse, che si sono progressivamente congiunte e alleate tra loro, mi sono accorto che l'Anno delle Fede indetto in occasione dei 50 anni dall'apertura del Vaticano II (e dei 20 anni del Catechismo della Chiesa cattolica per il quale dovrei scrivere un'altra serie di riflessioni apposite) andava a risvegliare motivazioni e suggestioni di antica data ma tutte fortemente significative nel mio presente. Ho gioito di quella stupenda integralità dell'esperienza cattolica che sa esaltare, riattivare e attirare tutte le dimensioni della persona, che integra le dimensioni affettive con le fatiche dell'operosità più rude e materiale, gli ambiti intellettuali e spirituali con tutte le sorprese e le apparenti banalità delle relazioni umane, le iniziative pensate, studiate e programmate diligentemente con tutto quello che di inedito e perfino di confusionario qualsiasi giornata può sempre riservare.

Ho più volte fatto un paragone tra l'epoca in cui mi è capitato di vivere e quelle precedenti, a partire da un'ottica molto precisa: quella dell'appartenenza ecclesiale, della consapevolezza di tale appartenenza e della responsabilità di guida affidata ai "pastori". Pietro e i suoi collaboratori sono sempre stati, e lo saranno ancora, sostenuti da una grazia di stato capace di impedire affondamenti o naufragi della barca da loro governata. Ma un mare in tempesta e una barca sconquassata non sono davvero condizioni invidiabili, la presenza sicura e confortante a fronte di una latitanza pigra e colpevole non aprono affatto a scenari interscambiabili.

Ci sarà chiesto di più, questo è chiaro. Ma non credo proprio che qualcuno preferisca avere pochi talenti e poche opportunità solo per scaricare in anticipo qualche quota di responsabilità.

Cesena, 29 dicembre 2012


don Walter Amaducci



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