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Famiglie 'irregolari'



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EMERGENZA FAMIGLIA

Verso le situazioni familiari irregolari le comunità cristiane sono chiamate a cordiale accoglienza, correzione fraterna e chiaro annuncio del Vangelo.

UN “EROISMO FERIALE” ALLA PORTATA DI TUTTI

Il matrimonio cristiano chiede scelte impegnative ma non impossibili


Già nel Sinodo tra le emergenze pastorali che “sfidavano” la nostra Chiesa, la famiglia. Ultimamente il Consiglio presbiterale e il Consiglio Pastorale Diocesano hanno messo a tema la pastorale delle ‘famiglie irregolari’. Potrebbe puntualizzare-descrivere questa nuova situazione?
Diverse ‘voci’ chiedono una conversione pastorale, un nuovo atteggiamento di accoglienza….
Quali indicazioni più precise sono proposte perché le coppie non regolari non si sentano emarginate, anzi coinvolte ‘nella verità e nella carità’ in un cammino di fede, nelle attività caritative… (Corriere Cesenate)

Oggi può sembrarci perfino incredibile che agli inizi degli anni Settanta fossero ancora in molti in Italia a sorprendersi della crisi della famiglia. Le vicende legislative dell’epoca stavano in realtà gridando sui tetti ciò che nella mentalità diffusa aveva già acquisito cittadinanza, patente di ‘ragionevolezza’ e ‘buon senso’. Questa emergenza annunciata ha dunque alle sue spalle almeno un trentennio e nel frattempo i termini del problema si sono ulteriormente aggravati.

Gridare allo sfacelo e al raggiungimento dell’ultima spiaggia non serve ma soprattutto non è vero. La vocazione alta del matrimonio cristiano e della famiglia fondata su di esso colpì fin dal primo momento gli stessi discepoli di Gesù («Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi»” Mt 19,10) e i contorni del contesto sociale, culturale e religioso degli albori del Cristianesimo non erano certo molto più incoraggianti di quelli contemporanei. Ma si sa, ognuno combatte con le proprie difficoltà che, a loro volta, presentano spesso aspetti inediti.

Recentemente sia il Consiglio Presbiterale che il Consiglio Pastorale Diocesano hanno messo all’ordine del giorno il problema della coppie in situazione ‘irregolare’. Una delle ‘novità’ è proprio questa: la percezione sempre più debole della incompatibilità tra il nome cristiano e la sostanza pagana di tante unioni. Non si tratta solo della celebrazione del sacramento ridotta a cornice estetica o vagamente religiosa, ma dello stesso sgretolamento dell’unione naturale tra uomo e donna in quella unicità e totalità proprie del progetto del Creatore.

La rivendicazione del titolo di ‘matrimonio’ e di ‘famiglia’ per quelle realtà che non ne hanno i requisiti essenziali fa pensare certamente anche a un bisogno minimo di progettualità, pur tra le mille riserve e insicurezze crescenti nella nostra cultura. A questo punto il problema si rivela davvero complesso e variegato, perché il ventaglio delle ‘irregolarità’ parte da situazioni spesso facilmente sanabili (es. convivenze che non escludono un matrimonio in futuro o matrimoni celebrati in forma soltanto civile) fino a raggiungere quelle dei divorziati risposati (ovviamente solo civilmente) che non presentano solitamente prospettive di soluzione o la cui soluzione a livello canonico è molte volte ignorata, sottovalutata o scartata in partenza con animo sfiduciato. Non è qui il caso di toccare il fenomeno grave in sé ma numericamente marginale - benché enfatizzato dai media – della pretesa di estendere il significato di matrimonio a ciò che non potrà mai esserlo; ma attenzione: nessuna aberrazione è estranea a quelle premesse che danno linfa alle ‘irregolarità’ più diffuse e che, proprio perché diffuse, tendono a proporsi come espressioni di una nuova ‘norma’.


Sul piano morale e pastorale la conseguenza dolorosa di chi ha scelto o si è ritrovato dentro una situazione matrimoniale ‘irregolare’ viene alla luce di solito in tre casi percepiti come ingiusta e punitiva impossibilità: quella di sposarsi in chiesa, quella di ricevere l’eucaristia, quella di far da padrino/madrina nei sacramenti del Battesimo e della Cresima. Inevitabilmente chi viene a conoscenza di tali conseguenze e le sperimenta sulla sua pelle, le associa a un giudizio morale della Chiesa nei confronti della propria coscienza fino a sentirsi emarginato, additato come pubblico peccatore se non addirittura scomunicato. E fatica a capire, a questo punto, l’invito e l’esortazione a sentirsi parte della comunità, a partecipare a tutti i suoi appuntamenti a cominciare dalla S. Messa, a pregare, a vivere la carità e la testimonianza.

In realtà l’oggettivo disordine morale non è mai, in tutta la gamma dei comandamenti, sinonimo di peccato che richiede, oltre alla trasgressione oggettiva, la piena consapevolezza di tale disordine e la totale libertà, cioè il consenso deliberato e confermato alla scelta operata. La cordiale accoglienza, l’annuncio aperto e liberante del Vangelo, la correzione fraterna e la valorizzazione di tutte le scelte positive (in tanti casi praticate a livello di autentiche virtù) sono una necessità pastorale ma prima ancora un dovere morale e uno stile di comunione ecclesiale. Sia per la persona come per la comunità è l’irrobustimento di tutto il tessuto spirituale, dottrinale e morale la premessa del superamento e della guarigione dei punti deboli, è l’accoglienza più ampia possibile dell’opera della grazia a farla scoprire e sperimentare come il primo tesoro fino a lasciarle totale libertà di azione anche nei recessi ‘riservati’ e nelle aree di indipendenza più gelosamente difese.

Allora si può davvero comprendere che nulla è impossibile, che nessuna situazione è un vicolo cieco, che anche per il matrimonio e la famiglia le scelte cristiane consapevoli e coerenti richiedono una sorta di impegno quotidiano non molto diverso da quello di altre scelte evangeliche, un ‘eroismo’ feriale alla portata di tutti: di tutti quelli che hanno trovato in Cristo l’ideale vivente che li affascina, e per i quali il «che cosa fare» è la convincente conseguenza del «volere essere » come Lui ci pensa, secondo un progetto insuperabile di sapienza e di bene.

Walter Amaducci
CC XXXVI n. 22 – 13 giugno 2003 - p. 5






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