Deprecated: Function eregi() is deprecated in /membri/walteramaducci/func.inc.php(170) : eval()'d code on line 1
Walter Amaducci: Strutture_Pastorali_2

Strutture_Pastorali_2.    



LE UNITA’ PASTORALI





1. CHE COSA SI INTENDE PER UNITA’ PASTORALE




Si intende una pastorale interparrocchiale, una pastorale di insieme portata avanti da parrocchie diverse, un lavoro pastorale comune tra più parrocchie.
Non si tratta dunque, in primo luogo, del caso di un’unica parrocchia risultata dalla fusione giuridica di due o più parrocchie.

2. DIOCESI - PARROCCHIA - RAGGRUPPAMENTO DI PARROCCHIE VICINE

Occorre premettere il quadro di riferimento sul piano dotrinale, canonico e pastorale.

Diocesi . “La Diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale di un Vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l’Eucarestia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica” (Can 369). La sola e unica Chiesa cattolica sussiste in ogni Chiesa particolare che sia in comunione con il Papa, Vescovo di Roma.

Parrocchia. Ogni Diocesi è divisa in parrocchie (Can 374).
La parrocchia è la cellula della diocesi, è la prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale. Ad essa devono naturalmente convergere e da essa non possono normalmente prescindere altre aggregazioni o altre esperienze articolate.
Le associazioni e i movimenti non sono mai concepibili in alternativa alla comunità parrocchiale o diocesana. (Comunione e comunità, 42 e 46).

Raggruppamento di parrocchie. Per favorire la cura pastorale occorre superare un’impostazione esclusivamente parrocchiale della pastorale, soprattutto tenendo conto della necessità di una nuova evangelizzazione, che domanda di passare da un impegno prevalente di conservazione ad uno stile più missionario.

Luoghi
1 Va favorita la cooperazione tra parrocchie
2 Va incentivata la pastorale d’ambiente

Persone
3 Va ribadita la necessità dell’apostolato delle singole persone (apostolato che rimane insostituibile)
4 Vanno riconosciute e promosse le varie forme di aggregazione (associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali)

Il Codice porta l’esempio dei vicariati foranei come peculiari raggruppamenti di parrocchie atti a svolgere un’azione comune.

3. ZONE PASTORALI E UNITA’ PASTORALI

Le Zone Pastorali (altrove chiamate ‘Vicariati’) sono, dunque, previste dal Codice come raggruppamenti di parrocchie in vista di un’azione pastorale comune.
Possono coincidere Zone e Unità pastorali? La diocesi di Palermo e quella di Casale hanno scelto di valorizzare il Vicariato come unità pastorale di base.
Mi pare che questa soluzione vada scartata (benchè pienamente legittima). Se ci poniamo il problema delle unità pastorali è perché vediamo in esse qualcosa di intermedio tra parrocchia e Zona.

4. UNITA’ PASTORALI

Le unità pastorali sono esperienze sorte “dal basso”, dalla base; non sono state promosse dalla Santa Sede, dalle Conferenze Episcopali, e neppure sempre dai singoli Vescovi.
Le denominazioni sono varie: unità pastorale, pastorale interparrocchiale, pastorale di insieme tra parrocchie, centro pastorale,...
Non esite una sola definizione. Ci sono più immagini di unità pastorali, riconducibili a tre definizioni o descrizioni di fondo:

a. Pluralità di comunità parrocchiali che camminano pastoralmente insieme in modo unitario sotto la guida di uno o più sacerdoti.
(Modena, Ferrara, Mondovì, Vicenza, Asti).
b. Insieme di più parrocchie gravitanti attorno ad una parrocchia più grande o che fa da punto di riferimento.
(Assisi, La Spezia).
c. Fusione di tutta l’azione pastorale in un territorio omogeneo nei tre ambiti della vita ecclesiale: annuncio e catechesi - liturgia - carità.
(Novara, Gubbio)
Novara da parte sua ipotizza tre tipi di unità pastorale: in città, in un’area attratta da un centro più grande, tra piccole parrocchie simili in aree omogenee.

5. QUANDO E DOVE SONO NATE

In Italia i primi ad introdurre il problema e ad usare l’espressione ‘unità pastorale’ sono stati i membri della Commissione Presbiterale Regionale del Piemonte, in una nota del 1985.
Se ne parla in alcuni sinodi diocesani (Vicenza 1987, Novara 1990) e in alcune lettere pastorali di Vescovi (Goretti di Assisi, 1992; Severino di Asti, 1992).
La diocesi di Novara sperimentò per tre anni (dall’89 al 92) l’unità pastorale cittadina (Parrocchie Unite di Novara Centro). Dal 2 ottobre 1992 l’impostazione è deventata definitiva.
Negli anni 89-92 il tema è stato introdotto e dibattuto in Francia, Spagna e Germania. Ciò che ha caratterizzato l’approccio al problema in Francia è stato principalmente un duplice dato d’urgenza: lo spopolamento di certe zone e la diminuzione dei sacerdoti. Si è cominciato così a parlare di ensembles paroissiaux (insiemi parrocchiali). In Spagna e Germania è stato posto maggiormente l’accento sulla necessità di una nuova mentalità pastorale, pur verificandosi in tali paesi difficoltà simili a quelle francesi.

6. PERCHE’ INTRODURRE LE UNITA’ PASTORALI

Delle diocesi italiane (circa 230) una cinquantina hanno avviato in questi anni il discorso delle unità pastorali. Al primo seminario di studi sul tema tenutosi ad Assisi nel 1993 hanno partecipato i rappresentanti di 70 diocesi. Anche la nostra diocesi ha mosso i primi passi. Perché? E’ forse la mania della novità ?
La spinta che ha suggerito l’ipotesi delle unità pastorali proviene da alcune urgenze che non sono nuove, ma senza dubbio crescenti:

1. La diminuzione del numero dei sacerdoti
2. Il profilarsi di nuovi modelli di parrocchia
3. Una maturazione dell’immagine di Chiesa

1. La diminuzione del numero dei sacerdoti

Il calo numerico dei sacerdoti è la motivazione più immediata e contingente. I preti della nostra diocesi sono attualmente 170; la loro età media è di anni 60; negli ultimi dieci anni ci hanno lasciato 41 sacerdoti e si sono avute 17 ordinazioni presbiterali. E’ realistico prevedere che fra dieci anni, senza modificazioni di tendenza, i preti al di sotto dei 75 anni saranno circa 100.
La diminuzione dei sacerdoti non è la motivazione più importante, ma è quella che obbliga a fare i conti anche con le altre. E’ un fatto oggettivo che costringe a dare delle risposte subito. Ma quali risposte? Bisogna che queste risposte non siano un tampone, una toppa nuova su un vestito vecchio. Il calo dei preti obbliga ad un’accelerazione di un cammino intrapreso da tempo, certo, ma forse senza la necessaria convinzione.

2. Il profilarsi di nuovi modelli di parrocchia

E’ d’obbligo il plurale (nuovi modelli) perché sono intervenuti cambiamenti socio-culturali di notevole portata che registrano almeno tre variabili:

- lo spopolamento di certe zone montane o rurali ha reso varie parrocchie sempre più piccole e molte di queste da tempo non hanno più un parroco residente; esse richiedono delle convergenze, degli accorpamenti o anche delle vere e proprie fusioni;

- parrocchie sempre più grandi, dal lato opposto, chiedono il movimento contrario, quello cioè del decentramento, dell’articolazione in comunità più piccole a misura d’uomo. Questo accade ovviamente nelle grandi città, ma anche presso di noi esiste qualche accenno del problema con relativa risposta (S.Egidio);

- la mobilità crescente fa sì che il legame con la parrocchia per un numero non indifferente di persone non significhi più qualcosa di stabile e di chiaro. C’è la parrocchia di origine, quella in cui si abita, quella in cui si lavora, quella in cui trascorre il fine settimana o la vacanza ...

3. Una maturazione dell’immagine di Chiesa

Matura un’immagine di Chiesa che vuol vivere più compiutamente la comunione, la missione, la ministerialità.

- Il principio fondante della comunione, dono dello Spirito, si concretizza nella comunità e si esprime nell’accoglienza reciproca, nella condivione, nella collaborazione. Comunione affettiva ed effettiva con il Vescovo (non solo sui principi ultimi), comunione dei presbiteri tra loro, comunione tra tutte le componenti del Popolo di Dio (presbiteri, religiosi e laici). E’ sempre la comunità cristiana il soggetto dell’evangelizzazione, della liturgia, della carità.

- La Chiesa è proiettata oggi sulle strade della nuova evangelizzazione, certamente vi è attesa; la dimensione missionaria non soltanto è costitutiva del suo essere, ma si trova a fare i conti con situazioni e provocazioni urgentissime. Il triennio pastorale che stiamo concludendo ci ha reso consapevoli di questo e ha cominciato a dare qualche risposta.

- La Chiesa è tutta ministeriale. La comunità non è del prete, la parrocchia non è il prete. La comunità ecclesiale è un corpo organico. La comunione vive nell’attivazione dei carismi e dei ministeri dei fedeli. Quante volte abbiamo ripetuto che la parrocchia non è una stazione di servizi religiosi, un’agenzia di prestazioni spirituali, con dei clienti fedelissimi (i praticanti) e altri saltuari (gli occasionali).

Questo è il punto più importante. Anche se non esistesse il problema numerico dei sacerdoti, questo discorso rimarrebbe inalterato. La mentalità ministeriale è lenta a progredire come è lento il cammino della corresponsabilità. Circa la teologia e la pastorale dei ministeri gli ostacoli sono svariati e coinvolgono il magistero, i sacerdoti, i fedeli.

1. C’è una lentezza nella chiarificazione magisteriale (siamo più o meno rimasti al “Ministeria quaedam” di 23 anni fa, e a “Evangelizzazione e ministeri” del 77).

2. Ci sono delle paure clericali che fanno da freno.

3. Ci sono delle pigrizie laicali che continuano ad accettare di buon grado la collaborazione saltuaria e preferibilmente esecutiva.

Si tratta allora di riscoprire e rilanciare la vocazione e il compito dei diaconi permanenti, dei religiosi e delle religiose, dei ministri istituiti (lettori e accoliti), dei ministri straordinari e di quelli ‘di fatto’.
Non si dovrà chiedere ai laici di clericalizzarsi, di supplire il prete, quanto piuttosto di vivere a fondo ciò che è stato loro donato col battesimo, la cresima, il matrimonio.

7. UNA MENTALITA’ NUOVA

Quella delle unità pastorali è senza dubbio un’occasione, l’occasione di recuperare o approfondire una mentalità nuova tra tutti e per tutti: sacerdoti, religiosi, laici, parrocchie, associazioni, singoli fedeli.
Si arriverà alle unità pastorali nella nostra diocesi? Quando? Non è questo che ci deve importare principalmente oggi. Quel che è certo è che dobbiamo incamminarci e accelerare il nostro ritmo. Possiamo e dobbiamo vivere più rigorosamente

- una collaborazione pastorale dentro la pastorale unitaria, attuando prontamente il progetto pastorale del Vescovo, condividendo senza eccezioni i principi e gli obiettivi, ma convergendo anche sui mezzi e sui metodi; per quanto legittimamente liberi e svariati questi non dovranno mai ostacolarsi a vicenda e neppure diversificarsi a tal punto da rendere estremamente problematico, se non impossibile, l’avvicendamento di un parroco o la collaborazione tra comunità vicine;

- dobbiamo attivare gli organismi di partecipazione: i consigli pastorali parrocchiali, i consigli zonali, i consigli per gli affari economici,... Non si tratta di impigliarsi in strutture burocratiche o di cercare malintesi spazi democratici, quanto piuttosto di pensare insieme e di agire insieme, ognuno col suo compito, superando la pastorale dell’emergenza;

- occorre puntare seriamente sulla ministerialità. Un servizio pastorale adeguato non può limitarsi al prete che celebra la Santa Messa e neppure al prete che fa tutto. Il servizio della Parola e della catechesi, la preparazione alla Liturgia, il servizio della preghiera e quello della carità, l’animazione giovanile e missionaria... non sono prerogative esclusive del sacerdote; si tratta di servizi intraecclesiali per i quali religiosi e laici possono e devono trovare tempo, preparazione, entusiasmo.

Si tratta dunque di maturare una mentalità nuova. Non mi sembra il caso di esasperare la questione del prima e del dopo. Tra l’altro una mentalità nuova non avanza di solito nell’astrazione. L’aspetto organizzativo incalza e potrebbe assorbire immediatamente l’attenzione, eppure certe situazioni non consentono il lusso di attendere; approfittiamone piuttosto per recuperare quello che alla nostra vita di Chiesa è comunque necessario.





DIOCESI DI CESENA – SARSINA

LE UNITÀ PASTORALI

Direttorio 2009




Dal 30 novembre 2008, prima domenica di Avvento, è entrato in vigore il decreto con cui il vescovo Antonio Lanfranchi ha costituito ventuno Unità pastorali nella diocesi di Cesena-Sarsina.
Sulla base di tale decreto, datato 14 settembre 2008, e di quello successivo del 1° novembre 2008 col quale venivano nominati presbiteri moderatori delle singole Unità pastorali, alla luce del magistero del vescovo sull’argomento, espresso in modo particolare nelle sue Lettere pastorali, è stato predisposto questo Direttorio.

La necessità di approntare uno strumento agile che riportasse i principi ispiratori, la natura e la struttura dell’Unità pastorale, unitamente all’illustrazione dei suoi organismi e del loro funzionamento, come pure l’opportunità di diffondere queste conoscenze in diocesi mettendole in particolare a disposizione degli operatori pastorali, sono emerse in sede di Consiglio pastorale diocesano nell’assemblea del 23 novembre 2008.

La bozza del direttorio è stata consegnata e illustrata a tutti i Moderatori delle Unità pastorali nella loro prima riunione tenutasi al monastero di S. Maria del Monte l’8 gennaio 2009. Precisazioni e suggerimenti sono stati recepiti in vista della stesura definitiva che viene oggi pubblicata. Questo testo sarà accompagnato da un depliant che esporrà in termini sintetici e divulgativi l’identità e gli scopi dell’Unità pastorale nel contesto dell’azione pastorale della nostra diocesi.

Il testo del presente direttorio costituisce un immediato prontuario per i componenti dei Consigli pastorali (parrocchiale, di Unità pastorale, zonale) perché il loro lavoro possa svolgersi nell’ambito delle rispettive competenze, ma soprattutto nella prospettiva di un servizio alla vitalità di tutte le comunità cristiane, chiamate ad essere, per il mistero di comunione e di missione della Chiesa, sempre più impegnate e unite nell’opera dell’evangelizzazione e della diffusione del Regno di Dio.

Cesena, 2 febbraio 2009
Mons. Walter Amaducci
Vicario episcopale per la Pastorale





IL NUOVO DIRETTORIO



Sono trascorsi vent’anni da quando il vescovo Lino Garavaglia intraprese per la prima volta in modo sistematico un progetto di ristrutturazione della pastorale territoriale nella diocesi di Cesena-Sarsina. Con decreto datato 17 settembre 1992 veniva infatti costituita una “Commissione di studio per la revisione della struttura geografico-pastorale della diocesi” composta da sacerdoti e laici che dopo tre anni lavoro offrì al vescovo un documento ricco di analisi, valutazioni e proposte circostanziate.
Sulla base di tale studio il vescovo formulò le indicazioni contenute nella Notifica dal titolo “L’adeguamento delle strutture e la ridistribuzione del personale pastorale sul territorio della diocesi” datata 4 novembre 1996.

Nella Notifica mons. Garavaglia faceva presente, tra l’altro, che più parrocchie avrebbero dovuto essere pastoralmente accorpate sotto la guida di un unico sacerdote e che, dove si fossero riscontrate le condizioni, sarebbero nate tra parrocchie omogenee “collaborazioni organiche e continuative” chiamate ‘unità pastorali’. Consapevole della necessità, anche per i fedeli, di “cambiare consolidate abitudini, adeguando la propria mentalità a quanto di nuovo, talora meno comodo, viene imposto dal bene comune” il vescovo chiedeva ai sacerdoti in cura d’anime di aiutare i fedeli ad accogliere con spirito di fede e di sacrificio i cambiamenti ormai imminenti.

Il libro sinodale, tre anni dopo, trattava delle unità pastorali confermandone l’opportunità nonostante le difficoltà incontrate nella prima fase di attuazione. Al n. 324 si legge: “Purtroppo la formazione e la conseguente mentalità del passato, riscontrabile anche nei presbiteri, unite alla insufficiente conoscenza del soggetto, rendono difficile oggi l’attuazione di unità pastorali, che sono comunque una reale proposta pastorale innovativa”. Ma il n. 353 ribadisce: “Si avviino esperienze di unità pastorale, che possano essere di riferimento per le successive programmazioni”.

Affrontata nuovamente la questione dal vescovo Antonio Lanfranchi, il 9 dicembre 2004, in sede di Consiglio presbiterale, fu costituita una nuova commissione col compito di “studiare ipotesi concrete” di Unità pastorali. Il 22 maggio 2008 il medesimo Consiglio approvò l’ipotesi finale sulla costituzione delle singole Unità pastorali che nel decreto del vescovo (14 settembre 2008) risultarono ventuno.

Significative variazioni interessarono le Zone pastorali, con parrocchie scorporate e aggregate a nuove Zone, e con la riduzione delle Zone da sette a sei con la fusione di Sarsina e Alta Valle del Savio in un’unica Zona. Ma le principali novità presentate dal decreto riguardavano la suddivisione dell’intera diocesi in Unità pastorali con l’indicazione di partire subito in una collaborazione dentro la logica dell’integrazione e il superamento della “soluzione di necessità” nel recupero di una effettiva ecclesiologia di comunione.

Non si negava dunque né si sottovalutava l’emergenza determinata dal calo del numero dei sacerdoti e dalla diminuzione degli abitanti avvenuta in molte parrocchie; ma si voleva far leva ancor di più su una impostazione di pastorale integrata capace di rafforzare o di avviare effettive collaborazioni tra presbiteri e tra parrocchie vicine.

Terminato il triennio ad experimentum previsto dal decreto di mons. Lanfranchi il nuovo vescovo Douglas Regattieri ha avviato una lunga ed approfondita verifica sull’argomento, interessando ad essa presbiteri, comunità, organismi ed operatori pastorali in vista di un nuovo Direttorio da consegnare alla comunità diocesana all’inizio dell’anno pastorale 2012-2013.


Cesena, 16 settembre 2012