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Walter Amaducci: Strutture_Pastorali_1

Strutture_Pastorali_1.    

 


LA ZONA PASTORALE

A dieci anni dalla sua istituzione - Una struttura «funzionale» alla pastorale
Ruolo determinante del Vicario Zonale - Portare a compimento il Progetto
Pastorale e avviare la preparazione del Sinodo Diocesano.


La nomina dei nuovi Vicari Zonali alla vigilia della seconda Visita Pastorale del Vescovo Luigi Amaducci costituisce anche l’inizio di un nuovo triennio pastorale che prevede, tra i primi adempimenti, il rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano.
Per quel che riguarda gli obiettivi pastorali il solco è già tracciato: il compito principale, infatti, che anche ai Vicari Zonali è assegnato è quello di portare a compimento il Progetto Pastorale per gli anni ‘86-’90 e di avviare la preparazione del Sinodo Diocesano che impegnerà la Chiesa di Cesena-Sarsina agli inizi degli anni Novanta. Accanto a questo rimane, tutt’altro che secondario, lo svolgimento ordinario di una pastorale che trova nel territorio un destinatario variabile e complesso, a dispetto della sua stabilità topografica.
Stabile e immutata è rimasta, infatti, la suddivisione della diocesi in nove Zone Pastorali, dall’Alta Valle del Savio alla Zona del Mare.
Dal 1982 sono intervenute modificazioni interne (come la soppressione di un certo numero di parrocchie, l’annessione dei loro territori ad altre confermate ed erette, come tutte nel contempo, nei nuovi enti «Parrocchia», talora con variazione del titolo, ecc.), l’aggregazione della parrocchia di S. Rocco alla Zona del Centro Urbano, la fusione delle due diocesi di Cesena e di Sarsina nella nuova Circoscrizione Ecclesiastica di Cesena-Sarsina (30 settembre 1986), la soppressione delle cosiddette «Zone d’ambiente» (Scuola - Lavoro) le cui competenze sono state ricondotte alle rispettive Commissioni pastorali; sostanzialmente, però, i raggruppamenti di parrocchie denominati «Zone Pastorali» non hanno registrato mutamenti di rilievo nella loro configurazione territoriale.

UN CLIMA MUTATO

Senza dubbio, invece, è cambiato il clima sociale e culturale dal 1979, anno in cui le Zone Pastorali vennero istituite tenendo conto in gran parte dello stimolo e, se vogliamo, della «provocazione» che l’esperienza dei Quartieri, partita nel 1972, imponeva con tutta l’esuberanza propria della sua «novità». La novità si imperniava attorno all’idea di partecipazione e articolava il territorio in circoscrizioni anche inedite, magari slegate dal riferimento a quelle aggregazioni umane cariche di storia che sono le parrocchie.
Pareva, dunque, che stessero nascendo nuove mega-parrocchie laiche, reali punti di riferimento civico, umano e popolare, all’ombra degli invisibili ma sventati campanili delle sedi di Quartiere.
Anche il decentramento dell’amministrazione civica con la prospettiva di una diretta partecipazione in settori di grande rilievo come la scuola, l’assistenza, la salute, il tempo libero, la cultura, chiamava i cristiani e le comunità cristiane ad un impegno fortemente ancorato al territorio. La Zona Pastorale diventava così l’ambito più adatto per cominciare a rispondere a questa esigenza di impegno.
Sono passati dieci anni e molto è cambiato. Tanti «sogni di quartiere» sono naufragati. La «società complessa» in cui viviamo mostra un volto sempre più sfuggente. La cultura radicale dominante è arrivata già a produrre i frutti inconfondibili di un individualismo sfrenato, deviando l’ineludibile bisogno di solidarietà in forme di corporativismo smaccato e arenandosi col suo pensiero davvero «debole» nelle secche dell’effimero più istintivo. La voglia della partecipazione è precipitata. La delega sorretta da uno scheletro di sfiducia o dall’effetto di uno slogan è diventata, per tanti, la normale forma di rapportarsi alle istituzioni. La frantumazione ha portato ad isolamenti terribili e a gruppismi che hanno azzerato ogni ipotesi di slancio ideale.
La Chiesa vive in questa società, le nostre comunità respirano continuamente quest’aria; ma è consolante rilevare la contro-spinta che l’esperienza cristiana sta dando, pur in mezzo ad innumerevoli ostacoli. C’è una vivacità vera e propria che caratterizza l’esperienza di tante parrocchie, movimenti e associazioni, di comunità cristiane che si rivelano come le reali aggregazioni comunitarie che hanno qualcosa da dire e da dare a tutti, a chi ha molti anni alle spalle e a chi li ha davanti a sè, soprattutto a questi ultimi che cercano un perché degno e carico di vita, di senso e di speranza.
La «nuova evangelizzazione» a cui il Papa ha richiamato anche recentemente nell’esortazione apostolica postsinodale «Christifideles laici» può e deve partire da questa esperienza in atto, con un’urgenza che non ha bisogno di più lucidi gridi d’allarme: comunità cristiane impegnate ad essere sempre di più «Chiesa» e una Chiesa sepre più missionaria.
In che modo la Zona Pastorale può espletare il suo ruolo?

FUNZIONI TIPICHE DELLA ZONA

La Zona, intanto, non è un’entità intermedia tra Diocesi e Parrocchia, ma un raggruppamento di parrocchie «funzionale» alla pastorale; deve, come recita il Codice «favorire la cura pastorale mediante un’azione comune» (can. 374). Anziché un peso o una sovrastruttura superflua, la Zona risulta funzionale già ora quando si tratta di:
- curare una preparazione specifica, sul piano formativo, destinata ad operatori ben individuati (corsi per catechisti, per fidanzati,...)
- promuovere una sensibilizzazione e un impegno nel campo sociale (corsi di formazione sociale e politica)
- partecipare con il proprio apporto di riflessione e di esperienza al governo del Vescovo, offrendogli quel «consiglio» che trova l’ambito di espressione, di approfondimento e di «raccolta» nell’assemblea di Zona e quello di approdo nel Consiglio Pastorale Diocesano.
- convogliare strumenti ed energie su iniziative particolari o straordinarie (campi-scuola, ritiri,...)
- sostenere una presenza dei cristiani nell’ambiente e particolarmente nell’impegno civico, a cominciare da quel Quartiere che ha deluso tanti. Se c’è chi afferma che la struttura del Quartiere è morta, non è certo morto il bisogno della gente; se una risposta non arriva o delude, spesso la domanda rimane e più acuta.

PER UNA FRATERNITÀ PRESBITERALE

Ritornando ai Vicari Zonali da cui è partita questa considerazione, il Codice, nel can. 555 ne richiama con insistenza la funzione di sollecitudine verso i confratelli: una fraternità presbiterale che si manifesta nell’avere a cuore il benessere spirituale di tutti i «chierici» del territorio, il sostegno al loro ministero, la promozione dell’aggiornamento, l’attenzione e la premura in tutte le situazioni di necessità, a cominciare da quelle materiali.
Questo compito dei Vicari non è facile, ma può essere facilitato dalla semplicità e dalla collaborazione che gli altri sacerdoti, in particolare i parroci (come ricorda il Concilio: Ch. D. 30), principali collaboratori del Vescovo, sapranno esprimere nei loro riguardi.
Certo l’iniziativa e la fiducia del Vicario Zonale gioca sempre un ruolo determinante. L’esperienza di questi anni ha mostrato come talvolta la tentazione di «non disturbare» i preti e le rispettive comunità dal proprio cammino individuale o dai propri programmi, ha frenato le possibilità di varie Zone Pastorali.
La Visita Pastorale appena indetta dal Vescovo, nella sua impostazione intende ridestare e rilanciare queste potenzialità. Lo stesso possa accadere in occasione del rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano.
Non è il «fare per fare» che può sollecitarci, né il voler riempire a tutti i costi di contenuto una struttura fine a se stessa: se la Zona Pastorale ha valore è perché risulta la struttura più adatta per rispondere ad alcune particolari esigenze, e queste non hanno altro scopo che la comunione e la vitalità delle comunità cristiane e la loro missione nel mondo.


Walter Amaducci
CC XXII n- 7 –18 febbraio 1989 pp.1.7



Intervista a don Walter Amaducci, vicario episcopale
GEOGRAFIA PASTORALE
“La logica della comunione ci chiede dui scommettere sulle zone pastorali”


Nell’ultima riunione del Centro Pastorale presieduta dal Vescovo è stato affrontato il ‘problema’ delle Zone pastorali; si è cercato di ridefinirne il ruolo nell’ambito dell’azione pastorale promossa e guidata dal Vescovo. Ne parliamo con Don Walter Amaducci, Vicario episcopale per la pastorale e Segretario del Sinodo.

1. Una prima domanda per chi ha poca familiarità con il vocabolario ecclesiastico... Cosa si deve intendere per “Zone pastorali”?

Da circa vent’anni vengono designate con questo nome quelle aggregazioni di parrocchie appartenenti ad un territorio omogeneo che in passato erano chiamate “Vicariati”. La nuova prospettiva, di cui anche il nome è indice, è quella del passaggio da una visione piuttosto giuridica e legata prevalentemente al ministero dei Presbiteri a quella di un servizio a tutta l’attività pastorale delle parrocchie che compongono la Zona: occasione reale di collaborazione tra presbiteri religiosi e laici, aiuto reciproco all’attuazione del piano pastorale diocesano, struttura di riferimento per iniziative di interesse zonale che difficilmente troverebbero tutte le singole comunità autosufficienti, ma che, soprattutto, richiedono un’azione pensata insieme, concertata, in vista di destinatari che hanno caratteristiche e interessi comuni.
Le Zone pastorali della diocesi di Cesena-Sarsina, dopo l’ultima risistemazione geografica avvenuta con decreto vescovile il 17 novembre 1994, sono sette: Centro Urbano (12 parrocchie, 33.094 abitanti), Sarsinate (28 parr., 9769 ab.), Alta Valle del Savio (16 parr., 7.823 ab.), Vie Cervese e Ravennate (14 parr., 28.971 ab.), Mare (11 parr., 27.434 ab.), Rubicone-Rigossa (21 parr. , 26.718 ab.), Valle del Savio-Dismano (20 parr., 24.869 ab.).
Responsabili e promotori delle funzioni delle Zone pastorali sono in primo luogo i Vicari zonali, rappresentanti del Vescovo nelle rispettive Zone, a norma dei canoni 553-555.

2. Com’è vissuta questa responsabilità? Si possono registrare esperienze particolarmente significative?

La comunicazione tra Presbiteri ha, come si diceva, una tradizione che facilita nella maggioranza dei casi il ritrovarsi e il collaborare tra loro anche nel campo più propriamente pastorale.
In alcune Zone il laicato ‘sente’ e vive questa vicinanza in termini sempre più significativi (Mare, Valle del Savio-Dismano, Sarsinate,...).
Varie Zone, ormai, rispondono in maniera soddisfacente ad alcune esigenze quali la preparazione dei fidanzati, la proposta di corsi per catechisti, iniziative di pastorale giovanile, ... Ma la recente riunione del Centro Pastorale intendeva proprio rilanciare queste collaborazioni mettendo a fuoco, in particolare, la natura dei servizi che gli uffici e i delegati del Vescovo sono chiamati ad offrire non solo alle singole parrocchie e alle altre comunità ecclesiali (associazioni, movimenti, comunità religiose) ma alle Zone in quanto tali. E’ stato ribadito, infatti, che il futuro imporrà sempre di più questa metodologia pastorale incentrata sulla Zona, sia per la logica della comunione e della corresponsabilità, sia per l’inevitabile ridistribuzione dei sacerdoti il cui numero, come tutti sappiamo, è destinato ad un forte calo.

3. Nel cammino che sta conducendo alla celebrazione del Sinodo, quale ruolo deve essere esercitato dalle diverse Zone pastorali in cui si articola la diocesi?

Il cammino di preparazione è ormai concluso e quindi, da questo punto di vista, c’è poco da recuperare per quelle Zone che come tali hanno lavorato poco... Si chiedeva loro un particolare riflessione sulla pastorale familiare e su quella giovanile: nel primo caso i contributi sono stati davvero significativi, nel secondo certamente molto meno, benché quello giovanile sia, nei progetti e nelle iniziative, un àmbitopastorale tra i più curati e seguiti in mezzo a notevoli e crescenti difficoltà.
Ora ci attende la celebrazione del Sinodo al quale non parteciperanno né “rappresentanti” né “delegati”: i sinodali, infatti, sono designati dal Vescovo e dovranno essere animati da una sollecitudine pastorale nei riguardi di tutta la comunità diocesana. Ma sarà il Vescovo per primo ad avere un’attenzione nei confronti delle diverse provenienze perché la varietà delle esperienze risulti un reale arricchimento e possa concorrere a un disegno pastorale veramente adatto alla nostra Chiesa particolare, tenuto conto delle sue caratteristiche umane, culturali e territoriali che, dall’Adriatico alla Toscana, presentano particolarità e differenze di notevole rilievo


Walter Amaducci

CC XXXI n 8 – 28 febbraio 1998 – p. 2



 


UNITÀ PASTORALI: TAPPE DI AVVICINAMENTO



Il 30 novembre 2008, prima domenica di Avvento, entra in vigore il decreto costitutivo delle Unità pastorali nella diocesi di Cesena-Sarsina. Inizia, in altre parole, l’attuazione di un progetto studiato a lungo e già oggetto di sperimentazione da parte di alcune parrocchie nel corso degli ultimi anni. Le tappe di avvicinamento sono riscontrabili dentro la costante dinamica della pastorale radicata nel territorio, a partire dalla parrocchia, cellula della diocesi, prima e insostituibile forma di comunità ecclesiale (cf. can. 374). Alla parrocchia devono naturalmente convergere e da essa non possono normalmente prescindere altre aggregazioni o altre esperienze articolate. Ma lo stesso codice di diritto canonico prevede dei raggruppamenti di parrocchie vicine, in vista di un’azione pastorale comune e cita quale esempio i vicariati foranei.
Alla chiusura del concilio Vaticano II la diocesi di Cesena contava dieci vicariati: il vicariato Urbano e quello Suburbano, i vicariati foranei di Luzzena-Borello, di Cesenatico, di Gambettola, di Pievesestina, di Ronta, di San Tommaso-Montereale, di san Vittore in Valle e i vicariati foranei uniti di Longiano e Montiano. Se erano principalmente i presbiteri direttamente interessati a queste suddivisioni della diocesi, da quel 1965 iniziò una maggiore presenza attiva dei laici e anche delle comunità religiose dentro la logica dell’ecclesiologia di comunione che trovò espressione negli organismi di partecipazione. Il primo Consiglio pastorale diocesano connotato da una precisa e quasi meticolosa cura della rappresentatività, fu ufficialmente insediato il 12 marzo 1972; era stato preparato da un lunghissimo lavoro collocabile tra le due grandi assemblee diocesane del 1965 e del 1971. Ma i cambiamenti mostravano già i tratti dell’accelerazione e sette anni dopo si dovette procedere ad una profonda revisione dello statuto. Due grandi cambiamenti territoriali erano intervenuti nel frattempo: nel 1975 quattordici parrocchie della diocesi di Sansepolcro erano state unite a Cesena e nel 1976 la diocesi di Sarsina veniva anch’essa unita a Cesena in persona episcopi.
Inoltre si era imposta da alcuni anni la pastorale d’ambiente, particolarmente vivace nel mondo della scuola e in quello del lavoro.
Così nel 1979, in vista della ripartenza sulla base di un nuovo statuto dell’esperienza del Consiglio pastorale diocesano, veniva ristrutturata la mappa dei vicariati che assumevano la nuova denominazione di Zone pastorali. La preoccupazione di una forte aderenza alle situazioni del territorio e l’attenzione agli ambienti di vita dentro l’unica sollecitudine pastorale, spiegano l’elenco delle dodici zone che risultarono così costituite: Centro Storico, Oltresavio-Dismano, Vie Cervese e Ravennate, Porta Santi-Via del Mare, Valle del Savio, Rubicone, Gambettola-Longiano, Mare, Alta Valle del Savio, Sarsinate, Mondo del Lavoro, Mondo della Scuola. Tre anni dopo, nel 1982, in occasione del rinnovo del CPD, venne abolita la Zona di Porta Santi-Via del Mare rivelatasi troppo piccola per un’attività pastorale zonale che, pur tra fatiche e risposte diversificate, vedeva impegnati i parroci e gli altri presbiteri unitamente alle loro comunità.
Un anno molto importante fu il 1986. L’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero, eretto il 24 ottobre 1985, comportò la soppressione di tutti i benefici, e nei mesi di maggio e giugno 1986 furono decretati l’estinzione e il mutamento di denominazione delle parrocchie delle due diocesi che in data 30 settembre 1986 diventarono l’unica diocesi di Cesena-Sarsina. Anche l’aspetto pastorale riguardante le Zone fu ridefinito: le due “zone” d’ambiente erano state soppresse il 1° gennaio 1986 con trasferimento delle loro competenze alle rispettive Commissioni diocesane, mentre sul versante territoriale la parrocchia di san Rocco, appartenente alla zona Oltresavio-Dismano, veniva aggregata a quella del Centro Urbano. Ancora una volta, dunque, l’attenzione al territorio stava alla base delle nuove rettifiche di confini e appartenenze; l’integrazione tra pastorale territoriale e ambienti di vita che vedeva sempre più protagonisti movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, come pure lo stimolo e la sussidiazione alle diverse iniziative di carattere formativo e operativo nei vari settori della pastorale, trovarono il loro ambito principale nel Centro pastorale.
Proprio in questi anni, si manifestava in Italia l’esigenza di far fronte ai nuovi problemi emergenti sul territorio con una pastorale interparrocchiale dai tratti inediti, quella che si precisò gradualmente attorno alla formula “Unità pastorale” (i primi ad introdurre il problema e ad usare l’espressione ‘Unità pastorale’ furono i membri della Commissione Presbiterale Regionale del Piemonte, in una nota del 1985).
All’indomani del suo ingresso nella diocesi di Cesena-Sarsina il vescovo Lino Garavaglia decise di affrontare questa problematica costituendo una “Commissione di studio per la revisione della struttura geografico-pastorale della diocesi”: il decreto porta la data del 17 settembre 1992. “La Commissione - scriverà il vescovo il 4 novembre 1996 - composta da sacerdoti e da esperti laici, ha intensamente lavorato per un triennio e mi ha già consegnato un Documento sulla riorganizzazione geografico-pastorale della Diocesi, molto serio per l’analisi fatta e le indicazioni prospettate”.
Il Consiglio pastorale diocesano aveva dedicato la riunione del 5 febbraio 1995 ad una riflessione sulle Unità Pastorali, dopo che il vescovo aveva esposto il tema al presbiterio riunito per la festa di san Mauro.
La ristrutturazione aveva intanto già interessato le Zone pastorali che da nove erano state ridotte a sette col decreto del 27 novembre 1994; le Zone “Valle del Savio” e “Oltresavio-Dismano” erano confluite nell’unica Zona “Valle del Savio-Dismano” mentre le Zone di “Gambettola-Longiano” e del “Rubicone” avevano dato vita alla nuova zona “Rubicone-Rigossa”. Ma la vera novità era ormai costituita dalla decisone di introdurre l’esperienza delle Unità pastorali. Per esortare tutti i sacerdoti e fedeli della diocesi ad accogliere le nuove prospettive pastorali il vescovo Garavaglia scrisse una Notifica dal titolo “L’adeguamento delle strutture e la ridistribuzione del personale pastorale sul territorio della diocesi” datata 4 novembre 1996 chiedendo che venisse letta “ad ogni Messa, in tutte le chiese, anche quelle dei religiosi, domenica 1 dicembre 1996, prima domenica di Avvento”.
Il libro sinodale, tre anni dopo, trattava delle unità pastorali con espressioni che denotano, al tempo stesso, senso di opportunità e di fatica: “Purtroppo la formazione e la conseguente mentalità del passato, riscontrabile anche nei presbiteri, unite alla insufficiente conoscenza del soggetto, rendono difficile oggi l’attuazione di unità pastorali, che sono comunque una reale proposta pastorale innovativa” (n. 324).“Si avviino esperienze di unità pastorale, che possano essere di riferimento per le successive programmazioni” (353). “Quale opportuna risposta alle odierne difficoltà pastorali, si raccomanda ogni iniziativa atta a favorire l’approfondimento teologico e sociologico delle unità pastorali ed il loro realizzarsi fra parrocchie vicine” (354).
Affrontata nuovamente la questione dal vescovo Antonio Lanfranchi, il 9 dicembre 2004 - in sede di Consiglio presbiterale - fu costituita un’apposita commissione col compito di “studiare ipotesi concrete” di Unità pastorali e il 22 maggio 2008 il medesimo Consiglio ha approvato l’ipotesi finale sulla costituzione delle singole Unità pastorali che nel decreto del vescovo (14 settembre 2008) risultano ventuno.
Significative variazioni riguardano ancora una volta le Zone pastorali, con parrocchie scorporate e aggregate a nuove Zone, e con la riduzione delle Zone da sette a sei con la fusione di Sarsina e Alta Valle del Savio in un’unica Zona.
Ma le principali novità presentate dal decreto riguardano la suddivisione dell’intera diocesi in Unità pastorali con l’indicazione di partire subito in una collaborazione dentro la logica dell’integrazione e il superamento della “soluzione di necessità” nel recupero di una effettiva ecclesiologia di comunione. Struttura, compiti, rapporto con la Zona e inserimento delle Unità pastorali nel quadro dell’unica pastorale diocesana, sono comprensibili a partire dalle motivazioni di fondo più volte espresse dal vescovo in vari suoi interventi, soprattutto nelle due ultime Lettere pastorali.

Walter Amaducci
CC 28 novembre 2008 - p. 4