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Walter Amaducci: Recensione

Recensione.    

Storia La grande imperatrice che volle il Mausoleo di Ravenna


Faceva innamorare i barbari


Galla Placidia: un dramma che parla di lei


di Paolo Turroni


CESENA - Chi si reca in visita nella bellissima Ravenna naturalmente non mancherà di visitare la basilica di San Vitale, e proseguendo, nel giardino della basilica, si recherà a rendere omaggio ad un grande personaggio dell'epoca tardoantica, entrando con ammirazione nel suo mausoleo. Stiamo parlando, ovviamente, di Galla Placidia. Se è notissimo il monumento che ha tramandato il suo nome al grande pubblico dei turisti, rendendo il piccolo, ma straordinario mausoleo uno dei monumenti più affascinanti dell'arte di ogni tempo, meno nota è la donna per cui quel mausoleo fu costruito, e che mai ospitò - ironia della storia - le spoglie mortali della donna che lo volle.

Galla Placidia era nata a Costantinopoli nel 392, figlia dell'imperatore Teodosio. A tre anni orfana di entrambi i genitori, crebbe a Milano, allevata dal generale Stilicone, reggente l'impero d'Occidente al posto del troppo giovane Onorio. A dodici anni, nel 404, Galla con la famiglia imperiale si trasferì a Ravenna, città molto più sicura, visto che Milano era esposta alle invasioni barbariche. Galla Placidia era una giovane donna di diciott'anni quando assistette, nel 410, ad un evento drammatico, che sconvolse - forse addirittura più della sua effettiva violenza - i contemporanei: il sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico. Rapita dal re, Galla Placidia seguì i barbari fino al sud; a Cosenza Alarico morì, e il comando fu preso dal fratello Ataulfo E proprio Ataulfo che nel 413, a Narbona, in Gallia, sposò Galla Placidia, avendo da lei un figlio, Teodosio, destinato a morire ancora infante. Nel 416 Galla Placidia, morto il suo sposo, morti i suoi successori, tornò a Ravenna, riscattata dal generale Costanzo, per ordine dell'imperatore Onorio. L'anno successivo un nuovo matrimonio, questa volta con Costanzo, da cui ebbe due figli, Onoria e Valentiniano. Già nel 421 Galla Placidia-si ritrovò vedova per la seconda volta, e fuggì da Ravenna coi figli, accusata di tradimento. Di fronte alle coste di Efeso, durante una terribile tempesta, fece voto di dedicare una basilica a San Giovanni Evangelista se si fosse salvata. Ciò accadde, e questa è l'origine dell'omonima basilica di Ravenna.

Le lotte politiche erano feroci: morto 1'imperatore Onorio, il Senato di Roma elesse un certo Giovanni: dopo due anni di guerre, lo sconfitto Giovarmi fu portato di fronte a Galla Placidia, ad Aquileia, e per suo ordine fu decapitato. Galla Placidia rimase in sella al potere romano fino alla sua fine, avvenuta il 27 novembre del 450. Fu seppellita nel mausoleo imperiale vicino all'attuale San Pietro in Vaticano. Come si vede, un gran personaggio, che ora rivive in un dramma, composto da Walter Amaducci (Galla Placidia, ed. Stilgraf, Cesena, p: 94, 1 illustrazioni, euro 5).

Don Walter Amaducci è autore di numerosi testi teatrali, di cui si può ammirare la qualità letteraria e artistica, ed anche in questo caso l'opera si fa notare per la sua struttura, ieratica ma non noiosa, e per l'efficace contrasto fra Prologo ed Epilogo, redatti in versi, e la parte drammatica, in prosa, Gli scambi fra i personaggi sono efficaci, delineati con precisione, con particolare riferimento alla storia dell'epoca, ed è quasi un fissarli negli occhi, ritrovarli vivi e vitali, dopo mille e seicento anni, in quel quinto secolo che avrebbe visto, nel fatidico anno 476, la fine dell'Impero romano d'Occidente e la chiusura di una grande parentesi storica. Si tratta di un viaggio nella storia che è guidato dalla consapevolezza di una misteriosa Provvidenza, come dice la stessa protagonista nell'ultima scena del dramma: "Ma io torno a ripetere... che dietro tutta questa agitazione, dietro le raffiche implacabili del vento e i cavalloni neri e impressionanti, come per me e i miei bimbi in quella nave, vigila Qualcuno silenzioso. Sembra dormire, ma forse attende solo un grido più forte, un grido di fede o di desolazione. Lo stesso grido di suo Figlio in croce, quel Figlio che non fu abbandonato".


La Voce - Romagna del lunedì - Lunedì 4 febbraio 2008 - p. 24