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Walter Amaducci: Prologo

Prologo.    


Walter Amaducci


QUEL TREDICI MAGGIO A SAN PIETRO


PROLOGO



Dall'alto del Monte la solenne basilica mariana, perla della badia benedettina, assiste come impietrita al suo ritorno.
Per ora intatta, essa avverte soltanto note sinistre di un presagio.

Il curato invece ha gli occhi già sbarrati per quell'azzurro sbagliato al posto dell'abside, nella chiesa di San Pietro.
Quell'azzurro del cielo di maggio gli trafigge il petto e gli leva il respiro.

La cavallina al termine del viaggio accelera il passo, riconosce i tratti della strada più vicini a casa, ma condivide col padrone l'ansia di un arrivo nuovo. Perché le prime voci non sono più di festa, perché ai saluti si aggiungono pianti e lamenti, e qualche grido mai prima ascoltato.

Una piccola folla è raggruppata sul sagrato, le voci si fanno più forti e più spezzate, e i singhiozzi non lasciano spazio alle parole.

Ora il curato è sceso, ma i suoi passi sono incerti e pesanti.
Le gambe e i piedi non obbediscono come lui vorrebbe e anche la vista non è più sorretta dagli occhiali spessi.
Lacrime inarrestabili scendono dietro le lenti e quello scenario, ormai totalmente velato, si imprime in modo indelebile nella sua anima.

Quel pianto che gli mozza ogni parola, colpisce gli astanti come una lama affilata.
"Fu quello il momento più brutto della giornata" scriverà nel suo diario un ragazzo ancora tutto impolverato, che è uscito illeso dalle macerie fumanti, che ha udito il sibilo e il fragore delle bombe e ha sentito crollare da ogni lato mattoni, travi e calcinacci.

Il momento più brutto è vedere l'angoscia del pastore, schiacciato e reso muto dalla sciagura; è vedergli sul volto, come in uno specchio, concentrarsi tutta lo strazio della sua gente.
Ma ora le voci ritornano, a pianto si aggiunge pianto.
Ora altre pietre, quelle che erano vive, sono oggetto di notizia e di lamento. Prima che scenda la notte, i nomi di nove vittime, uno dopo l'altro, gli vengono comunicati dai familiari in lacrime, e nei giorni seguenti altri due.

Undici figli della sua grande famiglia sono stati cacciati dalle loro case; ma un'altra grande Casa li ha accolti e lui ora deve ricordare solo questo.
Le mani non sono più tremanti perché devono accarezzare guance di figli e di madri, stringere forte mani di padri e di mariti, tracciare un segno di croce su quei corpi martoriati, su quei tumuli che sembrano non finire mai.
Scende la sera sul tredici maggio 1944.

Il mattino di quel sabato, salendo a Montiano, don Enrico ha il cuore leggero di un figlio che ritorna al suo paese natio sicuro di trovare voci di festa e canti di fede: è la festa della Madonna di Fatima, è la memoria della sua prima apparizione avvenuta 27 anni prima, nella Cova d'Iria, in Portogallo.

Dei tre pastorelli oggi solo Lucia è ancora in vita, è monaca ed ha trentasette anni.
Da tre anni si è diffusa la notizia di un segreto in tre parti ricevuto nel 1917, di cui la terza è segreta.

La seconda è inquietante: "La guerra sta per finire, Ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore".
Una nuova guerra mondiale peggiore della prima.
Da cinque anni sta devastando intere nazioni. Gli allarmi divenuti ormai quotidiani avvertono implacabili che l'ora si avvicina. Anche per questa terra, anche per questa gente.

Il lugubre allarme di oggi è stato coperto da rumori, rombi e boati ben più lugubri e spietati.

E' scesa la notte sul tredici maggio.
Domani è domenica. La vigilia del curato si protrae senza fine. Le parole della fede versate come balsamo di speranza sulle ferite altrui continuano a sgorgare dalla sua mente, silenziose, come un rivolo d'acqua dalla roccia.
Quelle parole devono ora dissetare la sua anima, come preghiera ininterrotta illuminare il buio del cielo, della stanza e dei pensieri.

Anche a una notte come questa seguirà il giorno e sarà, nitido segnale che nessuna caligine può offuscare, il Giorno del Signore.

Si apre lentamente uno spiraglio di fiducia, su quel tredici maggio a San Pietro.