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Walter Amaducci: Presentazione

Presentazione.    

Presentazione

WALTER AMADUCCI

Il concilio a Cesena
La ricezione del Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina

Cesena, Stilgraf-Società di Studi Romagnoli
("Saggi e repertori", 35), 2007



In un ideale dizionario del Novecento la parola concilio occupa senza alcun dubbio un posto di rilievo e necessita di adeguata estensione, costituendone un avvenimento capitale ed un vero spartiacque storico, culturale, spirituale, teologico e pastorale: come dimostra il conio semantico che vi attinge e che da allora tutto partisce è anche in forza di evidenti o volute forzature è in pre-conciliare e post-conciliare. Ho detto forzature, in quanto la cifra ontologica di quell'accadimento epocale sta stretta nelle sole dimensioni del passato e del futuro, mentre respira - agostinianamente - nel presente che la fa e la vive. Del resto il concilio - per bocca di chi lo volle e attuò, così come di chi da allora lo additò e tuttora lo addìta - non intendeva costituire alcuna rottura; l'idea stessa di frattura appartiene più all'affollata e talvolta eccitata schiera degli interpreti che ai protagonisti: ad ogni modo tenne banco, un frequentato banco, ma fu un malinteso, più o meno calcolato e malcelato, di certo interessato, che costò, sviò e attardò, anche e ben oltre il prevedibile.

La parola concilio trascina immediatamente un volto e un'immagine: il volto è quello di Giovanni XXIII, il papa "buono", ritornato visibile dopo la beatificazione; l'immagine è quella della navata centrale della basilica di San Pietro, trasformata in aula conciliare e divenuta simbolo e sintesi di quel grande avvenimento: un'immagine senza alcun dubbio potente e commovente, di suggestiva forza evocativa e universale leggibilità, entrata persino nella storia della fotografia.

Quando il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dall'ascesa al soglio pontificio, nella basilica di San Paolo fuori le Mura papa Roncalli diede l'annuncio di voler indire un concilio ecumenico, si registrò una doppia reazione: i cardinali presenti ascoltarono in "un impressionante e devoto silenzio", che, tradotto, significava quanto meno riserve; nel mondo, invece, la notizia ebbe immediatamente un effetto deflagrante. La ragione era semplice: un papa appena eletto, di 77 anni d'età, scelto - si diceva - per una tranquilla transizione quale uomo di mite conservazione, avviava la sua missione prospettando un disegno che poteva determinare esiti imprevedibili, veri e propri effetti tellurici. Che cosa era accaduto in neppure cento giorni di governo? Papa Giovanni aveva constatato la crisi della società moderna determinata dal decadimento dei valori spirituali e morali: come per ispirazione gli balenò l'idea di chiamare a raccolta tutti i pastori della terra per riflettere collegialmente sulle soluzioni e insieme incamminarsi sulla via del rinnovamento e dell'aggiornamento. Era, fuor di dubbio, un progetto audace, che poteva apparire addirittura utopico o proibitivo se commisurato alle fragilità e debolezze - così almeno apparivano - di un pontefice anziano e bonario. Ma lo Spirito, che soffia dove e quando vuole, illuminò, incoraggiò e sostenne il successore di Pietro, la cui statura reale differiva dallo stereotipo veicolato: la macchina conciliare prese forma, vita e via, nonostante lentezze, incertezze, tensioni, ostacoli e incomprensioni. Per "ispirazione dell'Altissimo", stava per sbocciare un "fiore di inaspettata primavera" (come si legge nella poetica espressione del motu proprio del giugno '60). L'11 ottobre 1962, nella basilica di San Pietro trasformata in aula, Giovanni XXIII apriva - trepidante e assorto ma festoso, commosso e ottimista - il concilio ecumenico Vaticano II, ventunesima assise nella storia della Chiesa cattolica. Nel cuore fisico e storico della cristianità risuonarono le parole, poi divenute celebri, con cui esordiva la mirabile allocuzione latina papale, autentica "carta del concilio": Gaudet mater Ecclesia. A quel gaudio si associava, col cuore colmo di speranza, l'intera umanità.

Il Vaticano II fu un'autentica impresa, faticosa e meravigliosa: uno spettacolo di verità, unità e carità. Sei anni di lavoro fra preparazione e svolgimento; due pontefici implicati (morto papa Giovanni il 3 giugno 1963, i lavori furono poi condotti e portati a termine da Paolo VI); circa duemilacinquecento partecipanti ad una vera assemblea mondiale, comprendente padri, esperti, osservatori e uditori; quattro periodi operativi e nove sessioni; discussi tutti gli argomenti centrali e maggiori: Chiesa nel mondo contemporaneo, Rivelazione, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Laici, Sacra Scrittura, Liturgia, Missione, Ecumenismo, Libertà religiosa; promulgati sedici documenti: quattro Costituzioni (una liturgica, due dogmatiche, una pastorale); nove Decreti e tre Dichiarazioni. L'8 dicembre 1965, con una cerimonia grandiosa in piazza San Pietro, furono letti i messaggi a diverse categorie rappresentative di tutta l'umanità. Lo scetticismo dell'apertura cedeva all'euforia della chiusura. Terminava il concilio e cominciava il post-concilio.

Nell'omelia dell'epilogo Paolo VI invitò i vescovi a operare, ciascuno nel proprio àmbito, per il "rinnovamento di pensiero, di azione, di costumi, di forza morale, di gioia e di speranza, che è stato lo scopo stesso del concilio". Ripieni di Spirito e santa letizia, i pastori fecero ritorno alle rispettive diocesi desiderosi di agire e mettersi all'opera. Fra costoro c'era anche Augusto Gianfranceschi, vescovo di Cesena già da otto anni.

Veneziano d'origine, di buona formazione e solidi studi, nella città lagunare aveva rivestito numerosi incarichi (pastorali, organizzativi, giornalistici), potendo godere della piena stima e fiducia dei suoi patriarchi. Tenace e dinamico, era stato eletto vescovo nel 1953, ausiliare del patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, che lo stimava e gli voleva bene; di quella collaborazione dirà, a distanza d'un trentennio: "Gli anni trascorsi al servizio del cardinal Roncalli mi hanno giovato ad aprirmi al concilio ante litteram e ad assecondare la mia tendenza a non chiudermi alle novità e, qualche volta, a modestamente anticiparle. Me lo riconosceva sorridendo anche papa Giovanni". Quel sorriso doveva abbracciare molti significati, dalla schietta sincerità alla soddisfazione consuntiva: ma la notazione autobiografica del vescovo Augusto era vera e sincera.

Quattro anni dopo, nel 1957, Gianfranceschi veniva trasferito a Cesena, ove giunse con la breve ma intensa esperienza pastorale in una grande diocesi e col vigore dei suoi 55 anni. Un'energia sottesa allo stesso motto episcopale, Veni ministrare, ove si palesano il dinamismo del pastore e la percepita urgenza di chi è venuto a curare e governare una porzione della vigna del Signore, ne sente la responsabilità ed entra subito in azione. Il nuovo vescovo di Cesena si mette dunque al lavoro: comincia dalla cattedrale, impiantandovi un imponente cantiere; cura il magistero e la catechesi, segue il sociale e il politico, di tutti e a tutto s'interessa. All'annuncio dell'assise ecumenica ha ormai completato la prima, accuratissima, visita pastorale. Dopo un quinquennio di governo - come ha scritto con grande efficacia don Bruno Benini nella Storia della Chiesa di Cesena - Gianfranceschi "era preparato al concilio", anche in forza della sua predisposizione d'animo. E pure "la diocesi aveva, non diversamente dalle altre ma con la sua tipicità, alcune tensioni al nuovo".

Quali furono, nella nostra diocesi, gli effetti del concilio? Come fu presentato e attuato? Quali le dinamiche della sua ricezione? A tali quesiti risponde, con serietà di metodo e puntualità di riscontri, questo libro di don Walter Amaducci, non nuovo alle fatiche editoriali (voglio qui menzionare il contributo sull'episcopato Amaducci nella citata Storia della Chiesa, un volume di testi teatrali e il recente album per i vent'anni dalla visita cesenate di Giovanni Paolo II). La ricerca intende altresì rievocare i cinquant'anni dall'inizio e i trent'anni dalla conclusione dell'episcopato Gianfranceschi, sigillato con la cittadinanza onoraria di Cesena.

L'autore partisce la materia in due segmenti narrativi: nel primo esamina e declina le conseguenze del concilio nell'àmbito diocesano cesenate-sarsinate, nel secondo compie una zoomata su Gianfranceschi e Cesena; una terza parte, di grande suggestione documentale, contiene le quarantaquattro Lettere dal concilio, la raccolta completa e verificata di testi molto significativi e preziosi. Il tutto corredato da quarantaquattro fotografie che hanno carattere, fascino e valore di documento. Nitido e dichiarato il punto di osservazione, che don Walter fonda - con ricorso alla terminologia di Ratzinger - su una lettura ecclesiale, condotta dall'ermeneutica della continuità e della riforma che individua il rinnovamento postconciliare nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa.

Gianfranceschi si era immerso con fede nella stagione conciliare, fino ad uscirne plasmato e convinto paladino, nonostante lo smarrimento - certo non soltanto suo - degli inizi. Non era la prima volta, del resto, che l'osservazione e la ragione piegavano il primo rigido movimento della sua natura impulsiva: come accadde alla notizia dell'elezione di papa Giovanni, quando se ne uscì con la battura "State sicuri che Roncalli a nessuno pesterà i calli"; se ne ricredette ben presto (così come fecero, d'altra parte, molti altri) e ne fu orgogliosamente felice.

Con quale spirito Gianfranceschi si era preparato a partire per Roma? Ecco cosa scrive nella prima delle Lettere, datata giugno '62: "Portando nel cuore, con le gioie che Gesù non fa mancare ai suoi servi, le ansie di un ministero arduo, la mestizia di incomprensioni e di incorrispondenze, delle ostilità degli uomini e delle resistenze spesso invincibili degli avvenimenti, i vescovi escono dall'umiltà del loro paziente e metodico servizio quotidiano, silenzioso e ignorato, per assurgere al ruolo di Padri conciliari, aventi, assieme al papa e subordinati a lui, infallibile competenza dogmatica e morale su tutta la Chiesa di Dio. Nel numero di questi Padri ci sarà, se Dio vuole, anche il vostro umilissimo vescovo. Voi non lo potrete seguire nella sacra assemblea, però egli non vi andrà senza di voi. E non solo perché il suo pensiero, il suo cuore, nella preghiera saranno continuamente rivolti a voi, non solo perché resterà informato della vita della diocesi e continuerà a distanza ad averne cura, ma anche, e più ancora, perché voi costituite la ragione della sua partecipazione al concilio: egli infatti ha diritto di sedervi in quanto vescovo della vostra comunità diocesana. [...] Nella luce del concilio, nella convergenza delle idee e delle esperienze di tanti altri Padri, il vescovo potrà acquistare maggiore sicurezza e partecipare ai suoi fedeli i comuni tesori del concilio, che verranno alla fine presentati e applicati con quella maggiore incidenza che deriverà dall'autorità di tutta la Chiesa docente. Voi dunque non siete degli estranei al concilio [...], voi vi parteciperete ugualmente nella persona del vescovo [...], come i figli sono presenti nel padre là dove si trattano gli interessi di famiglia. Una domanda tuttavia vorrei rivolgervi: posso portare con me al concilio la sicurezza che voi risponderete con fiducia e con sincera docilità a quelle che saranno le richieste del concilio? Vi ripeto ciò che ormai più volte ebbi occasione di dirvi: la riuscita del concilio, oltre che dalla saggezza delle decisioni che porteranno il sigillo dello Spirito Santo, dipende dall'attuazione di esse da parte dei sacerdoti e dei fedeli. Perciò occorre suscitare fiducia fervorosa nella Chiesa docente, disposizione ad accettare novità che potranno forse sembrare ardite, a rispondere generosamente e prontamente a sacrifici che ci verranno richiesti, senza dilazioni e senza pigrizia né mentale né fisica, senza pretesa di voler tutto criticare e a tutto contraddire; con propositi di intelligente e fedele collaborazione, convinti che la Chiesa, "ringiovanita e aggiornata" per virtù dello Spirito Santo, avrà ancora la capacità di illuminare il mondo intero".

C'è tutto Gianfranceschi in questa densa, accorata pagina: sincera e autobiografica, fidente e realista, magisteriale e confidenziale. Sui medesimi registri poggia la totalità delle Lettere di un vescovo che cerca e dà ora luce, ora conforto, ora incitamento. L'impressione è quella di una partecipazione intensa e attenta, raccolta e concentrata, che rifugge da distrazioni e che mai dimentica l'amata Chiesa cesenate, via via informata con dedizione e premura, specie nel richiamare ad una corretta, essenziale e non inquinata informazione, come ammonisce la Lettera 13 dell'ottobre '63: "Dilettissimi, dalle mie corrispondenze da Roma non aspettatevi curiose informazioni intorno al concilio. Anzi, mi permetto di mettervi in guardia contro il pettegolume di certa stampa che persiste a guardare al concilio come ad un qualunque avvenimento politico, a giudicarlo con criteri a questi relativi, a voler creare per forza il sensazionale, il fazionismo, i colpi di scena. Se volete informazioni serie leggete "L'Avvenire d'Italia" o il nostro settimanale 'La Voce'". Parole inequivocabili, molto chiare e nette, ancora oggi attualissime.

Gianfranceschi giunge al termine dell'eccezionale avvenimento col desiderio e l'ardore di un'attuazione pronta e fedele, con lo sguardo già fisso al ringiovanimento della Santa Chiesa. Egli scrive: "Partecipare all'azione del concilio significa distogliersi dal torpore della vita ordinaria, risvegliare in noi la coscienza della nostra vocazione e della nostra missione, accettare l'eccitamento a proclamare la nostra fede, a testimoniare con la vita la verità della dottrina rivelata e il valore della Redenzione che è difesa dello spirito, tutela del destino umano, speranza di beni non caduchi e insieme ordine ed elevazione di tutta la vita, buona convivenza e pace".

C'è dunque in lui, netta, la sensazione di un'era nuova: lo manifesta a partire dalla forma scelta per gli auguri del Natale '65, definito "primo dell'epoca post-vaticana"; sull'esempio dei messaggi conciliari proclamati in piazza San Pietro, Gianfranceschi si rivolge - seguendo un ordine significativo - ad autorità, uomini di pensiero, artisti, lavoratori, sofferenti, giovani e donne, "a tutti augurando di trovare nella Chiesa la tenera Madre, l'Amica capace di tutti comprendere, amare e servire".

Nel vescovo Augusto il concilio aggiunge audacia ad audacia: ma soprattutto in lui agisce e risuona l'ardimento del cristianesimo, ridestato dal coraggio giovanneo, implicato persino nel linguaggio nuovo del magistero scritto gianfranceschiano.

Don Walter enuclea con molta efficacia i settori fatti segno del portato del Vaticano II: a partire dal rinnovamento liturgico, non a caso il primo movimento della sinfonia conciliare, il più evidente, convincente e rivoluzionario segno offerto alla platea cristiana universale (si pensi appena all'abbandono del latino e all'altare rivolto ai fedeli).

Ma era tutta la sensibilità pastorale a mutare: ecco allora l'apertura missionaria, che porta oltre oceano alcuni figli della Chiesa cesenate; il ruolo del laicato e dell'associazionismo cattolico, così cangiato dalla pedagogia postconciliare; la molteplice azione di aggiornamento cui si sottopone il presbiterio; l'insorgere impetuoso del movimento ecumenico.

Fedele al magistero conciliare, di cui si sostanziò il suo episcopato, Gianfranceschi condivise la distinzione giovannea tra la sostanza dell'intera e immutabile dottrina e la forma della presentazione: cogliendo nel loro equilibrio e nella loro sintesi il cuore della pastorale. Così come percepì l'aggiornamento non quale rottura con il passato ma quale crescita e perfezionamento del bene che è la Chiesa: nella piena consapevolezza del nuovo e stretto rapporto che lega l'ecclesiologia, la cristologia e l'antropologia del Vaticano II.

In tanta stagione, egli poté giovarsi di operose e intelligenti collaborazioni, fra le quali non si può tacere quella di don Lino Mancini. Il vescovo Augusto, non certo aduso agli encomi, elogia "l'apporto energico, fervoroso e diligente della sua chiara intelligenza, della sua non comune preparazione e capacità di espressione, sempre in leale e deferente intesa e cordiale disinteressata collaborazione al suo vescovo, animata questa da spirito di fede e da calore umano, sostenuta da princìpi teologici tanto chiaramente posseduti e comunicati".

Ricezione e attuazione conducono naturalmente al di là del tempo di Gianfranceschi, sino a pervadere gli episcopati di Luigi Amaducci e Lino Garavaglia: alla lunga durata dei tre vescovi, infatti, appartiene il programma pastorale che conduce sino al sinodo, il primo della diocesi di Cesena-Sarsina, celebrato da Garavaglia nel '98. Ma il cammino del concilio prosegue ancora oggi: decenni di cambiamenti in protagonisti, strutture e metodi non hanno affatto esaurito l'enorme energia prodotta e tesaurizzata dalla sapienza dei Padri.

Come ebbe a dire Giovanni Paolo II, il cui lungo pontificato costituisce una grande tappa attuativa del magistero di quell'assise, il concilio "resta l'avvenimento fondamentale della vita della Chiesa contemporanea": esso l'ha "preparata al passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo".

Al tempo tragico e balordo del nostro oggi, alla cultura breve e a consumo rapido, alla scarsa memoria dei viventi, l'umanesimo cristiano e la forza giovane del Vangelo hanno molto da dire e offrire. La formidabile e fascinosa responsabilità di questo messaggio poggia ora sul magistero del papa Benedetto XVI e del vescovo Antonio.


Marino Mengozzi

Cesena, Biblioteca Malatestiana,

16 novembre 2007