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Walter Amaducci: Mengozzi

Mengozzi.    


MARINO MENGOZZI

ANCORA UN VOLUME DI DON WALTER AMADUCCI

Ai nostri giorni un prete che predica non stupisce; diverso è se studia; del tutto inconsueto se scrive. Effettivamente gli scrittori ecclesiastici ieri costituivano una piccola schiera, spesso stimata, non di rado temuta; ne sanno ben qualcosa la città e il contado di Cesena, a partire addirittura dagli Annales Caesenates, se è vero, com'è vero, che gli artefici della nostra più antica cronaca, due-trecentesca, sono i canonici Francesco, arciprete di San Tommaso; Zelino da Luzzena, titolare di San Pietro in Solfrino; e Reale, rettore di San Giovanni in Borgo; né si potranno tacere i sacerdoti Celso Rosini, Mauro Verdoni, Giovanni Battista Braschi (poi vescovo di Sarsina), Domenico Pasquale Nori, Carlo Antonio Andreini, Gioacchino Sassi, Francesco Zarletti, Antonio Cantoni, Giovanni Ravaglia, Pietro Burchi, Leo Bagnoli: tutti reverendi scrittori che caratterizzano la scena cesenate degli ultimi cinque secoli, appassionati di storia e artefici di cronache e testi disuguali sì per valore ma formidabile indice di passione per le memorie e vero monumento alla memoria comunicativa.

La palestra dei seminari, un tempo ben più folta, forniva sì grammatiche e calamai ma addestrava penne capaci; l'odierna rarefazione dei chierici distilla pure i talenti letterari. Non è un giudizio ma una constatazione. Dunque non si vuole suonare la tromba in questa nostra felice circostanza: ma proclamare la bontà degli esiti è giusto e doveroso, a prescindere dalla solennità di luogo e arredo. Del resto la presentazione di un volume non è forse un tipo di celebrazione? E noi qui la faremo in terzo: io e Claudio ai lati, don Walter al centro; che poi, detto in presenza del Vescovo e del Sindaco, è pura topografia metaforica.

Ma veniamo a noi e al celebrato. Appena tre anni fa, in questo stesso luogo e con la medesima solennità, anche allora alla presenza di Vescovo e Sindaco ma in persone diverse, ci occupammo di un volume importante dedicato da mons. Amaducci alla ricezione del Concilio Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina, alla figura pastorale del vescovo Augusto Gianfranceschi e alle sue quarantaquattro lettere dal Concilio, così belle e intense. In quella circostanza sottolineai la proprietà del metodo storico, la qualità della ricerca e la bontà dei risultati, di fatto ammirando ed elogiando lo spessore professionale. Oggi ritorniamo in Malatestiana con un altro lavoro di don Walter, ospitato - come il precedente, anzi a quello giustapposto - nella collana "Saggi e repertori" della Società di Studi Romagnoli: e lo facciamo non tanto per ribadire quegli elogi e quegli attributi, peraltro consolidati, quanto per additare alla città un volume che conduce ad una giornata drammatica della sua storia, induce alla memoria, pone un sorprendente interrogativo e sollecita riflessioni.

Alle prime ore pomeridiane di sabato 13 maggio 1944 Cesena è bersaglio, per la prima volta, delle bombe sganciate dalle forze alleate angloamericane. Gli effetti furono terribili: un centinaio i morti, undici dei quali della parrocchia di San Pietro. E' il suo attuale parroco a fornirci una dettagliata, completa, documentatissima ricostruzione di quell'orribile giornata per una storica chiesa urbana. Tutto comincia osservando foto inedite provenienti dall'archivio del maestro Giuseppe Sirotti: don Walter le scruta con osservazione plurima, con lo sguardo caldo del curato e freddo dello storico, per poi sottoporle alla lente investigativa. Scatta così un'indagine a tutto campo, che arriva ad interrogare l'archivio della parrocchia, le biblioteche e i testimoni sopravissuti; l'approfondimento delle ricerche fa lievitare il coinvolgimento e materializza via via i presupposti di un vero e proprio giallo; scandagliando noto e ignoto, edito e inedito, documenti ufficiali e non, l'autore giunge a squarciare il silenzio del tempo e il velo del mistero, imponendo nuove riflessioni sulle reali conseguenze di quegli avvenimenti e rilanciando ipotesi di forte, ma anche dolente, suggestione. La prima parte del libro è dedicata alle vittime, al bombardamento e alla chiesa fatta bersaglio, esaminata e radiografata nel suo volto diacronico; nella seconda parte spiccano - considerata la specifica e determinante funzione - il ricchissimo apparato fotografico e quindici testimonianze; in chiusura, la dichiarazione delle fonti e della bibliografia.

Ci troviamo in un esemplare caso di narrazione multipla degli avvenimenti e per grado declinata: la tragedia della guerra e gli effetti su popolazione, strutture, cose e patrimonio; gli esiti circoscritti nel microcosmo periferico di un'attiva realtà parrocchiale, costretta a modificare tanto l'ordinaria conduzione pastorale quanto le molteplici attività di risulta; i danni ad un arredo artistico che nel significato liturgico-devozionale aveva radici, ragioni e motivazioni iconografiche; il ruolo dei testimoni scomparsi e sopravvissuti, con il commovente racconto degli allora giovani di Azione Cattolica radunati nel teatro parrocchiale per prove di recita che la sirena strozza; l'uso perspicace e la finalità inquirente del documento fotografico. Al quale è affidata la ragione di considerazioni nuove e di una scoperta inattesa se non sensazionale: due capolavori di Taddeo Zuccari (Sant'Angelo in Vado 1529 - Roma 1566) e Corrado Giaquinto (Molfetta 1703 - Napoli 1765), secondo la vulgata distrutti nel bombardamento di San Pietro, in realtà sopravvissero a quella tragedia, come attesta inequivocabilmente l'inedita documentazione qui per la prima volta offerta. Il crollo del tetto ha danneggiato, strappato e impolverato i quadri, ma le ancone sono intatte e le tele al loro posto: l'una all'altare maggiore e l'altra al laterale sinistro.

Dove sono dunque finite La consegna delle chiavi a Pietro di Zuccari e i Santi Elia profeta, Maria Maddalena de' Pazzi, Alberto più un quarto non meglio identificato, di Giaquinto? E' uno dei quesiti che il volume a ragione propone e che in parte permangono aperti: ma questo era nelle prerogative dell'autore, che si augura - con ineccepibile metodo di lavoro - di suscitare ulteriori testimonianze e far sì che possa essere trovato "un bandolo plausibile della matassa se non proprio la soluzione di ogni enigma". In effetti fino a oggi si è detto e scritto che quelle tele andarono perdute nei tragici accadimenti: ma le foto dimostrano che le opere pittoriche oggi scomparse non andarono distrutte in quella circostanza bellica. Che cosa è veramente accaduto? Furono ben presto sottratte? In seguito vendute? Finite chissà dove all'estero o in Italia? Oppure ancora a Cesena? E' pensabile (addirittura sperabile) un loro ritrovamento? L'autore non tralascia alcun quesito, ardisce talune ipotesi e lascia aperta ciascuna prospettiva: nella certezza, tuttavia, d'aver posto la giusta questione con il metodo appropriato.

Il volume si legge tutto d'un fiato, si fa percorrere indifferentemente dall'inizio o dalla fine, si guarda e riguarda, invitati persino a osservare le immagini con la lente d'ingrandimento, in un coinvolgimento di matrice plurima (storica per l'appassionato degli avvenimenti bellici, estetica per l'indagatore dell'arte e dei beni artistici, emotiva per il parrocchiano di ieri e di oggi). Merito senza dubbio del contenuto e della passione, così come della narrazione e della scrittura dell'autore, distintosi per le frequentazioni tanto del versante storiografico quanto drammaturgico.

Il duplice binario effettivamente sorprende, anche considerando la diversa curvatura di timbro e registro: ma li accomuna una propulsione investigativa ibrida nelle motivazioni e nelle risultanze. Ho già fatto cenno al volume sugli effetti conciliari nella nostra diocesi: potrei aggiungere Case Finali. Una storia di 890 anni, un lavoro ove microstoria e microdocumentazione fanno compatto e fruttuoso sistema; oppure Giovanni Paolo II a Cesena, un testo ramificato di storia e cronaca, costruito nella formula molteplice di libro, catalogo e album, che meriterà d'essere risfogliato il prossimo 1° maggio, quando quel grande pontefice avrà il sigillo della beatificazione e noi potremo rivivere da testimoni l'emozione indimenticabile della sua lunga visita cesenate giusto venticinque anni fa.

Quanto alla drammaturgia amaducciana, essa nasce anni addietro e si sviluppa in un felice intreccio di matrice biblica e storica: i testi più giovanili sono raccolti in miscellanea dal titolo Drammi; fra i più maturi e recenti, a mio parere raccomandabili soprattutto per la riuscita caratterizzazione delle protagoniste e la forza introspettiva di tre figure femminili tra loro così lontane nel tempo, segnalo Galla Placidia, singolare dialogo fra la principessa romana e il suo celebre mausoleo ravennate; Qualche cosa di grande, incentrato sulla Serva di Dio Benedetta Bianchi Porro di Dovadola; Orabile dei Conti di Giaggiolo, la moglie di Paolo Malatesta di Rimini che Dante immortala con Francesca nel V canto dell'Inferno.

Quel tredici maggio a San Pietro riposiziona l'autore sul trasporto per la storia, ancora una volta affrontata e praticata con destrezza e disinvoltura, padroneggiando i ferri del mestiere. Primo fra tutti, come attesta questo volume, le immagini: perché esse permettono la visione della storia e la percezione diretta del passato, con tonalità affettive ed emozioni che percorrono lo spazio interiore e il suo contesto.

Il libro di don Walter imparte una lezione, che si può riassumere così: per non dimenticare occorre rivivere; non si rivive il vissuto ma la sua orma che è il messaggio, tanto più forte quant'è il dolore impresso; fare memoria è indispensabile per rinnovarsi e, prima ancora, riconoscersi: ma presupposto irrinunciabile resta conoscere la propria storia.
Piccola o grande che sia.




IL BOMBARDAMENTO DELLA CHIESA DI SAN PIETRO

13 maggio 1944


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