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Walter Amaducci: Introduzione

Introduzione.    

INTRODUZIONE



Organizzato dal Dipartimento di Teologia dell’Evangelizzazione della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna si è tenuto a Bologna il 13-14 dicembre 2006 un Convegno di studi su «L’apporto della Chiesa di Bologna al Concilio Vaticano II e la recezione del Concilio nelle Chiese dell’Emilia Romagna». Invitato qualche tempo prima a preparare una comunicazione sulla ricezione del Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina ho accettato l’incarico fortemente stimolato dall’argomento, ma anche consapevole di una fatica di cui probabilmente, in pieno cantiere, mi sarei pentito più di una volta, salvo poi concludere che ne valeva la pena. Tutto questo si è puntualmente avverato.

Quella che allora non immaginavo era l’opportunità di far rifluire in diocesi il risultato della ricerca, eventualmente ampliata tenendo conto di esigenze o coincidenze locali. Due di queste si sono presentate all’inizio dell’anno successivo, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, in occasione di due ricorrenze collegate al ministero episcopale di Augusto Gianfranceschi: il 24 marzo 1957 egli faceva il suo ingresso a Cesena e il 2 giugno 1977 riceveva la cittadinanza onoraria di Cesena, prima di ritirarsi a riposo sul colle Belvedere. Dunque il 2007 si presta a rievocare i cinquant’anni dell’inizio e i trent’anni della conclusione di quell’episcopato.

Nell’impresa conciliare della Chiesa di Cesena-Sarsina è facile vedere come Gianfranceschi abbia giocato un ruolo da protagonista, o se vogliamo rovesciare i termini del binomio, come l’opera di Gianfranceschi sia tutta connotata – come dirà lui stesso – dall’evento del concilio. Dalla chiusura del Concilio ecumenico Va

ticano II (8 dicembre 1965) sono trascorsi ormai quarantadue anni; eppure la sua attuazione continua ad essere oggetto di rinnovati propositi e verifiche. Nel solco del Concilio - per stare all’esempio più autorevole e recente - è il titolo del paragrafo n. 3 della Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il quarto Convegno ecclesiale di Verona «Rigenerati per una speranza viva» (1 Pt 1,3): testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo. Vi si legge: «In questi primi anni del nuovo millennio, spinta dall’eredità del grande Giubileo, che Giovanni Paolo II indicò nella contemplazione del volto di Cristo, la Chiesa italiana ha scelto di mettere al centro della sua azione l’impegno a comunicare il Vangelo in un mondo in profondo cambiamento. È questo un orientamento di cui ancora oggi siamo debitori al Concilio e il 4° Convegno ecclesiale ha costituito una nuova tappa nel cammino di attuazione del Vaticano II, nella perenne continuità della vita della Chiesa».

Una nuova tappa nel cammino di attuazione: quando a metà degli anni sessanta iniziavo il liceo, nella Bologna di Lercaro e Dossetti, mi sembravano inconcepibili certe previsioni sulla necessità di tempi lunghi per la traduzione del Vaticano II. La mia personale esperienza, trent’anni dopo a Cesena, durante i lavori di preparazione e di celebrazione del sinodo diocesano, doveva confermare in pieno quelle previsioni. I grandi rivolgimenti del 1968 avevano trovato una Chiesa vigile, all’erta, già impegnata nell’opera di aggiornamento, ma nonostante questo riuscirono ugualmente a provocare turbamento e dissesto in molte comunità. Strutture, mentalità, persone… marciano sulla via del rinnovamento a velocità diverse, e i risultati appaiono quasi sempre scarsi e tardivi.

Ricordo che le aspettative suscitate dall’annuncio del concilio erano tante e largamente diffuse. Il fervore entusiasta coinvolgeva anche i ragazzini, o almeno quelli che come me erano a contatto con adulti consapevoli del momento storico e pervasi da quella effervescenza. La preghiera quotidiana allo Spirito Santo per il concilio, voluta da papa Giovanni, ebbe tra i primi effetti anche quello di creare un forte senso di attesa, come si vedrà più avanti; e a quei seminaristi che segnalarono al papa la loro pronta adesione ottenendo una risposta di compiacimento a firma del cardinale Tardini, mi aggregai presto anch’io entrando in seminario il 2 ottobre 1961.

Per continuare ad attingere al deposito dei ricordi personali, posso aggiungere che l’immediata vigilia dell’apertura del concilio si cristallizza attorno a due scenari indimenticabili. Il 4 ottobre 1962 sono a Loreto, quasi schiacciato tra la gente nella gremitissima piazza del santuario; ma issato sulle spalle del mio parroco riesco a vedere in tre momenti successivi papa Giovanni, protagonista di quello storico viaggio a Loreto e Assisi. Con altrettanta nitidezza rivedo un grande striscione che annuncia la vicinissima apertura del concilio ecumenico.

Il secondo scenario si riferisce a tre giorni dopo, alla sera di domenica 7 ottobre 1962 e ha come sfondo la facciata della cattedrale di Cesena. Il Vescovo Augusto Gianfranceschi è in partenza per Roma e la città gli porge il suo saluto per bocca del sindaco Antonio Manuzzi. Resto quasi scandalizzato nel sentire pronunciare dal sindaco l’espressione “consiglio ecumenico”, sorpreso che addirittura un sindaco possa permettersi una simile imprecisione, mentre mi pare ovvia la solennità riservata alla partenza per quella che ha tutti i connotati di una vera e propria “missione speciale”.

A causa dei lavori di ristrutturazione dell’episcopio, Gianfranceschi dimorò in seminario durante tutto il periodo conciliare, cosicché la sua presenza a Cesena, negli intervalli in cui erano sospese le sessioni romane, fu porta a porta con noi seminaristi oltre che con i superiori sacerdoti. Questo ci permise di vivere con rinnovata partecipazione la vicenda del concilio e di seguirne gli sviluppi in maniera privilegiata.

Alcuni episodi gustosi ma emblematici costellano i miei ricordi di quegli anni, come il premio di capocannoniere del campionato interno di calcio che si materializzò per me in una copia della costituzione Sacrosanctum concilium sulla Liturgia, o la raccolta di autografi dei vescovi stranieri dai colori più vari che Gianfranceschi invitava e ospitava a Cesena proprio negli ambienti del seminario; durante un’inchiesta a base di interviste sul concilio, fui investito da una fiumana verbale e mi sentii incriminato, come complice di tradimento, per l’abbandono della lingua latina; la pubblicazione dei documenti conciliari significava l’arricchimento di una vera e propria collezione di libretti quadrotti dalla lucida copertina bianca e dalle scritte gigantesche, quelli dell’editrice AVE, mentre le prime riforme liturgiche o la diffusione dei testi della Bibbia già mi davano la netta sensazione di appartenere ad una generazione nuova.

A questo punto capisco che dovrei saper scindere, nella rievocazione personale, la figura del vescovo Augusto dall’evento del concilio; effettivamente il mio legame con Gianfranceschi si è costruito ed approfondito in tante, svariatissime occasioni, fino al momento culminante della mia ordinazione presbiterale, che fu la trentacinquesima e ultima da lui conferita nel ventennio cesenate-sarsinate (per un totale di sessanta ordinati). Ma anche gli anni successivi al suo ritiro dal ministero furono ricchi di una significativa frequentazione da entrambi gradita e custodita.

Ed è proprio questa la ragione che mi ha spinto ad interessarmi con vera passione degli anni del concilio a Cesena-Sarsina e in particolare del ruolo svolto dal vescovo Gianfranceschi nella gestione di quell’impresa. Ho conosciuto o riscoperto lo zelo di questo vescovo e ripercorso, in particolare, la sua personale conversione ai tempi e ai contenuti del Vaticano II. Con crescente sorpresa e ammirazione ho avuto modo di leggere e talora meditare tanti suoi scritti, di seguire lo sviluppo di svariate vicende non sempre gratificanti, anzi talvolta spinose e dolorose. «Non mi sono mai pentito di essere prete – confidava – ma più di una volta mi sono rammaricato di essere vescovo».

Di tutte le pagine scritte da Gianfranceschi, in relazione all’argomento che è stato oggetto della mia ricerca, mi hanno particolarmente colpito le Lettere dal Concilio. Avere avuto il dovere e la possibilità di leggerle tutte e più volte si è rivelata un’opportunità rara, ora che quei testi sono disseminati in raccolte di periodici accessibili solo a prezzo di una discreta dose di pazienza. Così ho pensato che l’avere di fatto già curato per me la raccolta completa delle Lettere poteva avere un seguito nel metterle a disposizione di altri, a loro volta interessati all’argomento o incuriositi e spinti ad interessarsene dalla stessa possibilità offerta.

Mi sembra di avere sufficientemente illustrato la genesi e la composizione di questo volume che, a lavoro ultimato, si presenta suddiviso in tre parti. La prima parte riporta senza variazioni di rilievo, il testo della mia relazione al convegno di Bologna sulla ricezione del Concilio ecumenico Vaticano II nella diocesi di Cesena-Sarsina, la diocesi - s’intende - quale attualmente conosciamo, vale a dire coi confini che comprendono i territori delle precedenti e antiche diocesi di Cesena, di Sarsina e di quattordici parrocchie della diocesi di San Sepolcro.

La seconda parte riprende e approfondisce alcuni aspetti della personalità e dell’azione pastorale del vescovo Gianfranceschi a Cesena in merito al concilio. La motivazione di questa sottolineatura va ricercata nell’obiettiva rilevanza del suo personale apporto rispetto a quello, pure importante e complementare, di tutti gli altri protagonisti.

La terza parte contiene la raccolta completa e verificata delle Lettere dal Concilio. Il criterio della selezione ricalca quello adottato da Gianfranceschi stesso nel Giornale di servizio, che potrei riassumere con uno slogan «non tutte le lettere da Roma e non solo le lettere da Roma», bensì quelle riguardanti in maniera diretta e significativa il concilio Vaticano II.

So bene che anche questa scelta (per la quale le lettere ammontano a quarantaquattro contro le quaranta – in realtà trentanove – elencate da Gianfranceschi) risponde a criteri soggettivi in certa misura opinabili; ma questo non è che un dettaglio all’interno della complessa chiave di lettura di tutto l’evento. Infatti la stessa interpretazione del concilio in tutte le sue fasi è una questione aperta, pone il problema dell’ermeneutica in termini acuti e non camuffabili. Più volte ho affrontato questo argomento previo e ho apertamente esposto il mio punto di osservazione, fondandolo in ogni caso su quella che intende essere una lettura ecclesiale, secondo un’ermeneutica della continuità e della riforma (e non della discontinuità e della rottura - la distinzione e la terminologia sono di Ratzinger), che cerca e legge il rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa.


Walter Amaducci